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La deludente prudenza della riforma Obama

E’ giunta alla firma del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama la riforma della finanza, studiata e predisposta dal Segretario di Stato al Tesoro Tim Geithner. Nessuna novità di rilievo è maturata durante il suo iter di definizione e di approvazione rispetto alle ipotesi iniziali e, forse proprio per questo, serpeggia un certo rammarico fra gli addetti ai lavori.
 
In breve essa appare intervenire in maniera alquanto soft sul funzionamento della finanza americana e, certamente, non nei termini decisi auspicati dall’ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker, da sempre critico severo della deregulation del settore.

Le sue principali innovazioni riguardano la creazione di una Agenzia a tutela del risparmiatore ed alcune procedure obbligatorie nella stipula di contratti di derivati, con conseguente introduzione di principi di trasparenza in questo tipo di attività finanziaria. Sempre ad opera dell’Agenzia saranno gradatamente stabilite le regole per mutui, carte di credito, prestiti, etc., ossia per i prodotti del credito al consumatore. Manca, invece, una netta separazione fra l’attività di esercizio del credito e quella di tipo finanziario speculativo ad alto rischio, quale quella con gli hedge funds. Insomma, Wall Street e la sua azione di lobbing hanno avuto un certo qual significativo successo, malgrado il conto finale per il contribuente americano per evitarne la bancarotta sia stato stimato fra i 2 ed i 3mila miliardi di dollari.

Il risultato ottenuto dalla riforma Obama è stato mirabilmente sintetizzato dal presidente della Fed Bernanke, il quale, nell’audizione alla Commissione bancaria del Senato americano, ha dichiarato che questa riforma della finanza «riduce la possibilità di crisi future»; «riduce», appunto, ma non «annulla» questa possibilità. Pertanto riduce, ma non annulla, le possibilità di azione per gli speculatori con accollo a qualcun altro, e precisamente al contribuente, dei rischi assunti, con buona pace del principio dell’azzardo morale.

Forse era questa la migliore delle riforme possibili: la cultura statunitense non riesce proprio ad accettare i malfunzionamenti del libero mercato, neanche quando assumono l’aspetto di crisi sistemiche globali.

Che debba, poi, comunque far parte delle libertà civili quella di “far denaro dal denaro”, orbene noi italiani non possiamo assolutamente essere d’accordo : la nostra Costituzione comincia proprio dicendo che la nostra «è una Repubblica fondata sul lavoro» e non abbiamo alcuna intenzione di cambiare. E’ auspicabile che sia proprio questo il principio fondamentale adottato dalla Comunità Europea per disciplinare il settore del credito e della finanza, a fianco di quello del contenimento del debito pubblico.

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