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La crisi degli avvocati: il rapporto del Censis

La professione forense si trova oggi ad affrontare una complessiva perdita di prestigio.

A pensarla così è il 60% degli avvocati italiani, che indicano il calo di reputazione come il primo problema attuale. Anche perché sulla loro efficienza pesa ancora una zavorra strutturale: per il 49% la professione sconta la persistente inefficienza del sistema giudiziario.

E’ quanto emerge dal primo rapporto sull’avvocatura italiana, realizzato dal Censis per conto della Cassa forense, presentato nel corso della conferenza nazionale della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, recentemente svoltasi a Rimini.

Risulta inoltre che la professione forense ha subìto i pesanti effetti della crisi economica. Solo il 30% degli avvocati italiani è riuscito a mantenere stabile il fatturato dell’attività professionale nell’ultimo biennio, per il 44% è diminuito (e la percentuale sale al 49% tra gli avvocati del Mezzogiorno), mentre il 25% lo ha visto aumentare.

Nonostante ciò, c’è stata una tenuta occupazionale. Il 76% degli studi ha mantenuto invariato il numero degli addetti e il 9% lo ha persino aumentato. Ma tale professione è caratterizzata da una bassa specializzazione. Infatti è una professione ancora fortemente organizzata su base individuale. Due avvocati su tre (il 67%) sono titolari unici dello studio.

A prevalere è l’attività giurisdizionale, che assorbe il 66% del fatturato complessivo, contro il 29% che proviene dall’attività di consulenza e assistenza stragiudiziale, e il 5% dalle mediazioni e dagli arbitrati.

E la professione appare ancorata a una generica specializzazione civilistica. Il 54% degli avvocati dichiara come prevalente la specializzazione in diritto civile, l’11% in materia penale, il 9% in diritto di famiglia (ma tra le donne avvocato la quota sale in questo caso al 14%), solo il 3% in diritto societario e appena l’1% in diritto internazionale. Solo l’11% degli avvocati indirizza la propria attività verso servizi specializzati.

Inoltre la grande diffusione delle tecnologie digitali anche nel sistema della giustizia non ha ancora trovato spazi significativi di investimento da parte degli studi legali. Oggi solo il 26% ha un proprio sito web a scopi promozionali e, fra questi, solo il 5% lo usa per interagire con i clienti. Ma il miglioramento organizzativo e l’innovazione tecnologica sono la principale priorità per i prossimi due anni indicata dagli avvocati, preceduta solo dall’ampliamento del mercato.

Il presidente della Cassa forense Nunzio Luciano ha così commentato i risultati della ricerca: “La ricerca realizzata in collaborazione con il Censis dimostra che è il cambiamento la prospettiva più urgente con cui fare i conti. E, con il cambiamento, anche l’esigenza di una rappresentanza più incisiva degli interessi degli avvocati”.

Non c’è dubbio che gli avvocati debbano cambiare. Si devono specializzare, devono intrattenere con i propri clienti dei rapporti più chiari e trasparenti, anche perché spesso le parcelle richieste sono oggettivamente troppo elevate.

Ma occorre aggiungere che il loro numero è eccessivo. Se, talvolta il loro reddito non è soddisfacente dipende anche dal fatto che vi è un eccesso di offerta rispetto alla domanda.

E, in prospettiva, se davvero si riuscirà a riformare, anche parzialmente, il sistema giudiziario, riducendo il numero dei processi e la loro lunghezza, quell’eccesso di offerta potrebbe accrescersi anche considerevolmente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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