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La corruzione secondo il P.G. della Corte dei Conti

Quasi quasi non fa più notizia l’annuale denunzia dei fenomeni corruttivi da parte dei vertici della Corte dei Conti in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario. Eppure l'altroieri il Procuratore Generale Mario Ristuccia non ha usato mezzi termini nel lanciare il suo grido d’allarme: senza un cambiamento di rotta sulla corruzione, l’economia del Paese rischia la bancarotta.

Sarebbe interessante se gli economisti ci dicessero come si dovrebbe tenere conto a fianco del P.I.L., per valutare la qualità della vita nel Paese, delle conseguenze dei fenomeni corruttivi in termini di ostacolo all’attività economica e professionale dei cittadini, e perciò di causata rinunzia all’attuazione di potenzialità e di conseguente riduzione di libertà fondamentali.

Da quanto nella relazione del dottor Ristuccia, si deduce che il problema della corruzione è di tipo sistemico, più che da imputare a singoli soggetti, siano essi pubblici amministratori o pubblici funzionari. Inoltre, assumendo ad esempio i dati riportati sul fenomeno nel settore della sanità, esso ha una marcata disomogeneità distributiva geografica, che vede il Meridione interessato in misura decisamente maggiore rispetto al Settentrione (ma questo ce lo aspettavamo un po’ tutti).

Ad uscire bocciata dalle parole del dottor Ristuccia è stata la classe politica del Paese: invece di affrontare il problema della corruzione per riportare risultati concreti ed incisivi cambiamenti rispetto agli anni già trascorsi, si preoccupa solamente di rendere più difficile l’azione di contrasto da parte delle forze dell’ordine limitando l’uso delle intercettazioni telefoniche.

Inutile aggiungere quello che l’alto magistrato non ha detto perché al di fuori del suo compito istituzionale, ma che con ogni probabilità pensa: dinanzi ad un problema che tocca così gravemente la struttura di base del Paese, porre adeguato rimedio significa attuare profonde ed incisive riforme strutturali, restando l’azione repressiva sicuramente necessaria e lodevole, ma non mai decisiva da sola.

Il vostro cronista ritiene che la prima delle riforme necessarie per contrastare la corruzione sia quella del sistema di legalità perché, in un contesto in cui le sue discrasie impediscono di fatto a cittadini ed imprese di adire proficuamente i tribunali per tutelare i propri interessi legittimi ed i propri diritti soggettivi, il ricorso alla corruzione è praticamente automatico ed ineludibile.

Il vostro cronista vorrebbe fare al riguardo una citazione del pensiero di Amartya Sen sul fenomeno mafioso: «In effetti, anche in Italia, il ruolo della mafia ha più di una connessione con le differenze istituzionali e di valori esistenti tra diverse parti della società, probabilmente non prive di un impatto significativo sui risultati economici delle diverse regioni. Malgrado la mafia sia un’organizzazione detestabile, è necessario cercare di comprendere le basi economiche della sua influenza, unendo al riconoscimento della forza delle armi quello delle attività che fanno della mafia una parte rilevante del funzionamento dell’economia. Questa attrazione funzionale potrebbe cessare se e quando due fattori combinati – l’imposizione legale dei contratti e un comportamento ad essa conforme, legato alla fiducia reciproca ed a codici di condotta – rendessero superfluo il ruolo della mafia in questo campo. In generale, esiste un legame fra il carente sviluppo delle norme di condotta economica e la forza delle organizzazioni criminali.» Sin qui il premio Nobel per l’economia Amartya Sen.

Ovviamente anche da questo rispetto la nostra classe politica si mostra non all’altezza: essa ha da sempre visto la riforma del sistema di legalità all’interno della lotta per il potere in relazione alle vicende giudiziarie dell’attuale premier. Insomma, dei cittadini e delle imprese che soffocano sotto la corruzione a causa di un sistema di legalità al collasso, a lor signori interessa ben poco: quello che per loro conta è solamente utilizzare l’arma giudiziaria per riuscire a far cadere l’attuale governo (o per impedire la sua caduta, a seconda della fazione di appartenenza).

Esistono, poi, alcuni specifici settori dove il giusto utilizzo del pubblico denaro è una chimera e sui quali il legislatore si guarda bene dall’intervenire per riportare ordine, trasparenza ed efficienza. Ai due indicati dalla relazione del dottor Restuccia (sanità e ripartizione dei fondi pubblici anche europei) se ne possono aggiungere altri. Ad esempio la gestione del territorio, il trattamento dei rifiuti solidi urbani, lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabili, le consulenze alle Pubbliche Amministrazioni, la gestione delle risorse destinate dalla disabilità, i contratti della Pubblica Amministrazione e così via. Ognuno di essi dovrebbe essere oggetto di una profonda riforma di settore in difesa del bene comune e contro ogni forma di utilizzo strumentale e deviato di pubbliche risorse. Ed invece l’unica cosa che la classe politica è riuscita a fare sinora è stata quella di contenere alla meno peggio il deficit pubblico (cosa certamente lodevole, ma altrettanto certamente insufficiente per far progredire il Paese).

Purtroppo, con i tempi che corrono, c’è poco da sperare per la prossima relazione di inizio d’anno della attività della Corte dei Conti, quella del 2012: sarà più o meno come quella dell’anno attuale.

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