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La contesa dell’Ucraina

I leader occidentali sono alla disperata ricerca di una soluzione per la crisi ucraina. Il tutto mentre appare ormai auspicabile il maxivertice che prevede anche la presenza di Vladimir Putin e Petro Poroshenko. 

Nell'ultimo anno gli scontri tra filo-governativi e filo-sovietici e antigovernativi e filo-europeisti hanno infiammato il Paese e scoperchiato un vaso di Pandora che ha attirato l’attenzione delle due (ex?) super potenze della Guerra Fredda. Dal novembre 2013 - momento della rivolta di piazza Maidan a Kiev - i morti sono più di 4mila e più di 10mila sono i feriti e gli sfollati sono 1 milione. La tensione tra Mosca e Washington appare come un’eco di politiche di bilanciamento di potere che sembravano scomparse dopo la caduta del muro di Berlino.

L’Ucraina, in particolare, si trova in una posizione strategica, sospesa tra la tradizionale sfera di influenza russa, rafforzata anche dalla frammentazione linguistica ed etnica della regione, e la crescente attrazione esercitata dall’Unione Europea e dall’alleato americano, enfatizzata dal processo di integrazione che ha portato all’ingresso nella UE dei Paesi confinanti, come la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria e la Romania.
Un ulteriore elemento che giustifica, da un lato, il crescente interesse geopolitico sulla vicenda e, dall’altro, l’esplosione della tensione è l’importanza strategia dell’Ucraina: una pedina indispensabile per tutti gli attori esterni in gioco, sebbene in campi differenti.

A complicare il quadro si aggiungono la mancanza di una univoca politica estera da parte dell UE e la sua dipendenza energetica dal gas russo. In questo contesto, assume rilievo la posizione geografica dell’Ucraina, attraversata da quasi 40.000 km di gasdotti e, quindi, Paese strategico affinché l’Europa possa accedere alle risorse energetiche di cui ha bisogno. Alla luce di questo elemento, appare chiaro come l’interesse ucraino verso l’Europa rappresenti una buona notizia per Bruxelles. Dal punto di vista di Mosca, Kiev rappresenta l’ultima propaggine dell’ambizioso progetto orientato alla creazione di una potenza territoriale guidata dal Cremlino.

Senza Ucraina, non sarebbe possibile l’implementazione di una comunità economica euroasiatica subordinata ad una rinata potenza russa. Come dichiarato dall’ex Segretario di Stato americano Zbigniew Brzezinski: “Senza l’Ucraina, la Russia non è più un impero”.

Inoltre, sulla scia dell’ossessione dell’impero asburgico per l’Adriatico, per Mosca è centrale la ricerca di uno sbocco diretto o indiretto anche sul mare Mediterraneo, che continua ad essere baricentro, non solo geografico, dell’intero continente e del suo illustre alleato d’oltreoceano. È proprio questo l’elemento che caratterizza l’interesse americano alla questione ucraina.

Nonostante l’attitudine al soft power del Presidente Obama, gli Stati Uniti non sono disposti a cedere sfere di influenza in territori tanto critici al nemico storico, su nessun fronte. Sostenere, perciò, l’ala filo-europeista del fronte ucraino è un modo per marcare i confini del proprio potere a scapito dell’espansionismo russo.

L’atteggiamento orientato alla conquista ed al mantenimento di alleati solidi ai confini non costituisce una novità per il grande Stato guidato dall’ex capo del Kgb, abituato da sempre a dover difendersi su molti fronti. Il senso di insicurezza che ne deriva ha prodotto un’élite politica promotrice di una politica estera offensiva ed aggressiva. L’Ucraina è soltanto l’ultimo esempio di un atteggiamento espansionistico su vari livelli che coinvolge anche la crisi siriana. Il supporto di Putin al regime di Assad, infatti, è una ramificazione della stessa radice, fondata su una serie di elementi pragmatici e non ideologici. La Russia possiede un ampio spettro di interessi di tipo economico ed energetico a Damasco. Di conseguenza, mantenere il regime al potere significa non solo rafforzare un alleato storico, per di più affacciato sul Mediterraneo, ma anche assicurare la sopravvivenza a quella parte di industria russa, in particolare del settore bellico, che deve il suo sviluppo alle esportazioni in Siria.

È nostro dovere non dimenticare ciò che è successo nel nostro continente nell’ultimo secolo e le storie di tanti uomini, donne, ragazzi caduti in Italia e in Europa. È a loro che dobbiamo una riflessione sulla violenza di tutti i conflitti. Nonostante questi a volte sembrino una partita tra grandi potenze, vanno a toccare, influenzare e, spesso, distruggere tante vite umane. In Ucraina, così come in Siria, Palestina, Egitto, Libia.

 

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.154) 13 febbraio 2015 11:47
    Damiano Mazzotti

    Mi sbaglierò, ma non sono così sicuro che Putin sia in grado di controllare i capi dei ribelli. Se qualcuno vuole davvero l’autonomia prima o poi riesce a prendersela, se trova qualche nazione in grado di appoggiarla. Pure il puzzle italiano è riuscito a diventare una nazione indipendente grazie alla Francia e all’Inghilterra e al lento e costante sfacelo dell’Impero Austro-Ungarico.
    E aggiungo questo: l’Ucraina prima o poi dovrà destinare alcuni territori a nuovi stati filorussi. Più l’Ucraina perderà tempo nell’accettare il nuovo status dei nuoi stati e più territorio perderà.
    Se i capi inizieranno a ragione ci sarà meno spargimento di sangue.
    La Repubblica Ceca e quella Slovacca si sono separate senza problemi, grazie all’intelligenza del loro presidente e alla maturità culturale dei cittadini.
    La creazione del Kosovo dal nulla ha creato un’ulteriore legittimità a molte regioni di chiedere l’indipenza.

    In questo caso è inutile chiedersi chi ha sparato per primo, chi ha fatto più vittime civili o chi ha tirato giù un aereo civile. Nel 2014 se una regione chiede l’indipendenza e l’autonomia non puoi sparare addosso ai suoi cittadini. Se poi questi cittadini vogliono diventare un nuovo stato, lo stato centrale si deve rassegnare.

    Facciamo un esperimento mentale: se l’Alto Adige domani chiedesse di diventare indipendente, o di diventare parte della Svizzera o dell’Austria, l’esercito italiano non ci può più mandare i carri armati.
    Però l’Italia può far pagare alla nuova nazione un sacco di soldi per gli investimenti fatti dalla Repubblica Italiana fino al giorno della dichiarazione di indipendenza... 
    E per tutte le tasse da cui sono stati esentati i tirolesi e le province autonome negli ultimi anni... E potremmo metterci anche i danni per l’immagine nazionale danneggiata...

    Ma nel 2014 deve diventare solo una questione economica e non una questione di fucili, di bombe e di missili...

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