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L’ombra di Berlinguer

Alla manifestazione del 25 ottobre a Roma, l’attesa dell’annuncio di una data per lo sciopero generale è stata delusa. Sono stati indicati tempi lunghi, e tappe intermedie assolutamente non necessarie: perché ad esempio una manifestazione a parte dei pensionati? Per indebolire l’eventuale manifestazione comune? E perché annunciare una manifestazione separata del pubblico impiego, che è invece sottotiro esattamente come il settore privato, dal momento che l’attacco è sferrato direttamente, agli uni e agli altri, dal governo?

Molti lavoratori, già bruciati in passato, temono che l’annuncio fatto dalla Camusso sia un inganno: cosa si deve aspettare, che il Jobs Act sia approvato definitivamente, e che grazie al concerto unanime della stampa padronale (praticamente l’unica in circolazione, a parte qualche piccolo giornale con tirature ridottissime) si crei un atmosfera di ulteriore rassegnazione?

A me l’annuncio della Camusso ha ricordato il cosiddetto annuncio di disponibilità a sostenere un’eventuale occupazione della FIAT, fatta a caldo da Berlinguer davanti ai cancelli di Mirafiori il 26 settembre 1980. Molti di coloro che ascoltarono le sue parole le interpretarono come il risultato di una commozione profonda di fronte alla appassionata partecipazione degli operai, e certo questo aveva pesato perché aveva reso evidente al segretario del PCI che il grosso dei dirigenti locali e nazionali del suo partito (a partire da Piero Fassino, allora responsabile fabbriche di Torino) non capiva lo stato d’animo dei lavoratori e sosteneva nelle riunioni interne che ai cancelli c’era solo la pressione di pochi estremisti. Non è un caso che Fassino e il segretario generale della CGIL Lama subito dopo il comizio improvvisato rimproverarono Berlinguer, domandandogli se credeva di aver fatto bene. Berlinguer rispose: “Questo è un momento in cui bisogna spendere tutto e dar la prova ai lavoratori che siamo con loro.”

Già, questo rende onore a Berlinguer e ne rivela una sensibilità che altri dirigenti non avevano, ma ciò non toglie che era proprio quel 26 settembre che gli operai volevano una parola di incoraggiamento, e volevano far fare alla lotta un salto qualitativo con l’occupazione, mentre ebbero solo una promessa vaga di disponibilità, condizionata alle scelte di un gruppo dirigente sindacale che in grande maggioranza l’occupazione di fabbrica non la voleva affatto. Così, rimanendo sempre sulla difensiva, passarono tre lunghe settimane, in cui lotta appariva sempre uguale, mentre il padronato ebbe il tempo di organizzare la sua contromossa, con la manifestazione detta dei “40.000 quadri” (in realtà anche per La Stampa e la Questura erano 15.000) che offrì il pretesto per la capitolazione del gruppo dirigente sindacale.

Così, fatti trascorrere giorni preziosi, in cui molti lavoratori avevano aspettato fiduciosi l’aiuto promesso da Berlinguer, si era preparata la trappola. L’amministratore delegato della FIAT Cesare Romiti ha ricostruito sinceramente quella vicenda, registrando la voglia di capitolazione di Lama e della burocrazia sindacale. “A Roma, al Ministero del lavoro, verso mezzanotte, Romiti entrò nell'ufficio di Foschi: "Seduti intorno al ministro c'erano già i tre leaders sindacali. Stavano in silenzio. Carniti era molto teso,sembrava in preda all'ira. Benvenuto aveva l'aria del pugile sconfitto. Lama mi sembrò il più sereno, fumava la sua pipa e mi guardava. Domandai: allora, che cosa facciamo? Lama parlò per tutti. Parlò con grande dignità. Disse: abbiamo già i biglietti dell'aereo per Torino, partiamo domani mattina con il primo volo, diremo negli stabilimenti che la vertenza è finita, abbiamo perso. Chiesi: ma come lo mettiamo giù questo accordo? E Lama: metta giù lei il testo dell'intesa, dottor Romiti”.

[1] Pansa - Romiti, Questi anni alla Fiat, Rizzoli, Milano, 1988, p. 127-128]

Un ampio ricostruzione di quella fondamentale vicenda, scritta dal compagno Raffaello Renzacci, è disponibile in FIAT4, un capitolo del libro collettivo Cento… e uno anni di FIAT. Si veda anche il capitolo sulle discussioni a caldo nella burocrazia sindacale romana dopo la marcia in FIAT 5, sempre di Raffaello Renzacci. Meraviglioso il quadretto del massimo dirigente sindacale della CGIL che incarica il capo della FIAT di “mettere giù lui il testo dell’intesa”…

Va detto che nel 1980 il malcontento operaio rispetto all’accordo fu grandissimo, e si espresse nel voto dei delegati (ignorato dalla burocrazia sindacale) e anche dall’assalto a Pierre Carniti dopo l’assemblea alle Officine Meccaniche in cui la maggioranza schiacciante aveva votato contro l’accordo, mentre dal palco era stato annunciato spudoratamente che era approvato (su questa assemblea esiste un filmato RAI in cui l’esiguità dei voti a favore appare evidente). Ironia della sorte, Carniti, era l’unico dirigente che in una riunione nazionale aveva tentato per un momento di proporre uno sciopero generale…

Probabilmente senza le illusioni sull’appoggio del “grande e glorioso partito comunista” promesso da Berlinguer, a cui apparteneva non solo lui, ma anche il grande architetto della sconfitta Luciano Lama, e tanti altri “miglioristi” come Napolitano, pronti a far di tutto per ottenere la fiducia della borghesia, la truffa delle votazioni ignorate o falsificate non sarebbe passata.

Oggi è necessario evitare che la speranza suscitata dal ritrovarsi in tanti in piazza sia presto logorata e delusa. Manifestazioni come quella del 25 ottobre hanno la caratteristica di poter essere organizzate solo da un apparato ramificato e che dispone di grandi mezzi, che ovviamente impone le sue condizioni. Il rischio principale è che le usi per un piccolo mercato di scambio col governo. Per il momento è Renzi che rende poco verosimile questa ipotesi, per la rigidità con cui rifiuta perfino di ascoltare gli argomenti dei vertici della CGIL. Le polemiche violente, ancorché generiche e prive di contenuti concreti (come: “Renzi è stato portato al governo dai poteri forti”, ricambiato da insinuazioni facili della Picierno sulla “scarsa democrazia” e le “tessere false” nella CGIL) non fanno fare un solo passo avanti.

Non serve a molto neppure che a tratti Landini, magari in un comizio del discutibile “Patto degli Apostoli” con Vendola e la sinistra PD, minacci genericamente di “occupare le fabbriche”. Con che forza, tenuto conto del logoramento della classe operaia in questi anni di immobilismo e arretramenti, e anche dello scarsissimo lavoro educativo fatto dallo stesso sindacato della categoria più combattiva?

Casomai, riflettendo sui tanti casi di lotte che si sono logorate perché lasciate isolate, come nel caso della FIAT del 1980 e anche del 1920, si dovrebbe appoggiare la spinta alla radicalizzazione concreta dei lavoratori di alcune aziende come la Thyssenkrupp, che hanno discusso se occupare, sostenerla col peso di tutta la FIOM e dei sindacati di base, puntare a ricollegare a quell’esempio tante altre situazioni disperate ma ancora disposte alla lotta. Insomma arrivare a una generalizzazione partendo da casi concreti… Tanto più che intanto la polizia picchia i lavoratori come ai tempi di Scelba. E se i lavoratori non sono lasciati soli nello scontro, possono fare un salto qualitativo decisivo nella comprensione politica della natura di classe dello Stato, dei suoi apparati, della sue istituzioni.

PS: In questo breve articolo ho parlato di una delle poche cose giuste fatte da Berlinguer (che attesta la sua dirittura morale, anche se fu utilizzata dai cinici che volevano solo chiudere quella lotta straordinaria che smentiva anni di “non possiamo, non abbiamo le forze per farlo”…). Ma il suo culto, riproposto ad esempio nel PRC, merita che sia esaminata criticamente tutta la sua opera, e in particolare la liquidazione sommaria dell’esperienza della rivoluzione d’Ottobre, la esaltazione della NATO come “ombrello protettivo”, e gli avalli dati alla peggiore DC, nella speranza che il PCI fosse finalmente ammesso nel consesso dei partiti borghesi e conservatori. Su Berlinguer si veda quanto ne scriveva Livio Maitan, in Al termine di una lunga marcia, dal PCI al PDS, Erre Emme, Roma 1990, in particolare alle pagine 88-97.

Renzi appare spesso come un clone di Berlusconi, ma tra i suoi peggiori consiglieri – oltre a Napolitano – che ne sono molti che hanno studiato bene quell’operazione che cancellò l’identità comunista del PCI e lo traghettò dove sta oggi il PD, un operazione di cui fu protagonista proprio Berlinguer, dapprima convinto, poi esitante ma ormai incapace di tornare indietro. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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