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L’ipocrisia della lotta alla mafia

Se ne parla da quasi un secolo. E’ diventato quasi un sinonimo dell’Italia. Centinaia, ormai, i servitori dello Stato che si sono sacrificati per combatterla, bensapendo che è impossibile sconfiggerla perchè è lo Stato, o meglio i suoi governanti, che non lo vogliono.

Almeno un terzo dei seggi parlamentari ha una sua "quota azionaria" in varia misura collegata - e controllata ? - ad un elettorato che risponde a precisi dictat ben lontani dall’impegno civile.

Stupefacente la carriera di certi personaggi, inquisiti e pure condannati, che siedono in Parlamento e influenzano il dibattito poltico mentre un’altra società si ritrova a commemorare le vittime delle stragi di mafia che, furbescamente, ne riversa sullo .stato la responsabilità.
Anche quest’anno.

Abbiamo ricordato, davvero in pochi, la strage di Via D’Amelio. Pochi erano i politici presenti per testimoniare, ed il bisogno non cessa mai, la volontà di debellare questa terribile malattia di tutta la nostra società.

Chi si illude di vivere lontano - dalle zone che crede “infette” - della mafia sa dalle cronache degli omicidi, delle retate, dei processi. Non la vive come fatto sociale anche se, inconsapevolmente, contribuisce ai suoi business. La mafia ricicla ovunque i suoi soldi: apre negozi, pizzerie, alberghi, centri fitness, ogni genere di attività redditizia. Tutte spiccano per l’opulenza dell’arredo e delle attrezzature. Usa prestanomi, magari gli stessi titolari che hanno ceduto la licenza e, tranne in rare occasioni, il meccanismo funziona molto bene.

Al Sud non ci sono occasioni per investire i proventi illeciti e le bocche da sfamare (le famiglie della manovalanza) sono tante. Ecco che mafia, camorra e ’ndrangheta, esauriti i filoni degli eterni appalti gonfiati si trasformano in vere e proprie imprese commerciali con tutte le carte in regola. Assumono personale qualificato, forniscono servizi di qualità ed a buon prezzo. Reggono, insomma, alla concorrenza orientale. Sono quasi dei benefattori, Cavalieri del Lavoro li faranno.

Ma la repressione? In questo scenario l’azione repressiva di deve limitare a far sentire la sua presenza rincorrendo i pesci piccoli e, solo per punire qualche sgarro, a pizzicare qualche bulletto troppo intraprendente. L’eco nei media deve dare l’impressione che la “guerra alla mafia” continua. Non è difficile dato che gli italiani sono abituati a digerire qualunque notizia e pochi giornalisti seri hanno interesse, e fegato, a raccontare queste pericolose verità.

Per un’azione decisiva e risolutiva serve quello strano ingrediente che in Italia non è mai esistito: la volontà politica. Frase che solo a scriverla se ne afferra la vacuità.
Già, la volontà politica che dovrebbe arrivare, prima di tutto dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene. Ma l’Italia è un’espressione geografica (Stato è già una parola grossa) alquanto bizzarra. I suoi elettori hanno deciso che a guidare il Governo sia il capo di un partito che ha avuto come suoi fondatori l’avvocato Cesare Previti, cacciato dal Parlamento, dopo la condanna per corruzione di magistrati e Marcello dell’Utri in attesa di appello dopo una condanna a 9 anni per mafia.

Non che l’opposizione (anche questa è una parola grossa) stia meglio. L’UDC il partito di Casini aspirante a succedere a Berlusconi alla Presidenza del Consiglio ottiene molto del suo potere dalla corrente di Salvatore Cuffaro ex presidente della regione Sicilia, titolare dell’ industria - l’unica - delle clientele che ha paralizzato i bilanci dell’ente, anche lui condannato in primo grado per favoreggiamento.
Chi ha buona memoria ricorda l’exploit di voti in Sicilia, era il 1987, dei radicali e del PSI, un primo segnale della mafia di voler abbandonare la DC il suo tradizionale “partner”politico.

Anche il dato dei 61 deputati a zero ottenuti dal Polo della Libertà nel 2001 rappresenta con una chiarezza palmare quale sia la tragica situazione in quell’isola perché tutti sanno, ma fingono non saperlo che non si possono ottenere questi risultati in Sicilia senza l’appoggio della mafia.

Non dobbiamo immaginare che ci sia bisogno di chiederlo, questo ingombrante appoggio. Arriva da solo. La mafia annusa il cavallo vincente ed elimina i concorrenti. E nemmeno dobbiamo immaginare che all’incasso si presentino emissari baffuti con panciotto coppola e lupara.

Ogni politico siciliano sa da dove viene il suo potere ed a chi deve rendere conto. Al politico fa più paura l’isolamento dall’elettorato che le minacce di violenza.
Le attuali lotte dentro alla destra siciliana sono guerre mafiose. Le dichiarazioni al TG di Lombardo & C. sono recite degne del peggiore avanspettacolo. Se un Miccichè arriva a minacciare, in accordo con Dell’Utri, l’uscita dalla maggioranza il messaggio al governo è abbastanza chiaro: in Sicilia devono tornare risorse da gestire, altrimenti anche questi politici verranno "scaricati"

In questo contesto non si spiega l’inerzia delle forze del centro sinistra che potrebbero approfittarne per organizzare un’azione politica di smascheramento di questo indecente spettacolo di obbedienza alle logiche spartitorie sottomesse al crimine organizzato. Un’inerzia che si può spiegare solo con la consapevolezza che anche l’elettorato di sinistra delle zone infette da mafia, camorra & C. se non è compreso, è certamente compresso, per ragioni di sopravvivenza, in queste manovre.

L’economia malata delle regioni ad alta concentrazione mafiosa non fa esenzioni. Non ci sono cittadini buoni (antimafiosi) e cattivi (pro mafia) esistono solo cittadini inermi che devono trovare - alcuni in modo dignitoso, altri purché sia – le vie per ottenere stipendi o lavori che permettano loro di mantenersi.


Ogni risorsa, ed in Sicilia sono prevalentemente pubbliche, deve essere centellinata, equamente ripartita secondo esasperanti regole di appartenenza a questo o a quel notabile politico che a sua volta fa riferimento a questo o a quel gruppo. Non si scappa.

Chi viene da fuori ed opera occasionalmente in certe zone non sempre percepisce questa realtà e sono gli stessi siciliani che, quasi con vergogna, cercano di nasconderla, ma bastano poche domande su circostanze, apparentemente inspiegabili, per smascherare il castello di intrecci e legami che sorreggono qualunque operazione economica siciliana.

Ci mancava la minaccia di Berlusconi che vuole essere ricordato per aver sconfitto la mafia a rendere ancora più tragico il quadro della situazione che di anno in anno peggiora e vanifica le vite inutilmente sacrificate dei servitori dello stato.

Una “ricetta” per contrastare seriamente la mafia ovviamente non esiste. Esistono però leggi, forse troppe, che devono essere applicate. Riguardano l’economia, la materia prima della criminalità organizzata. Ma è proprio il governo Berlusconi che vara la legge sullo “scudo fiscale” con norme che proteggono i titolari dei capitali esportati. Esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare.

Già. Cosa si dovrebbe fare? Sicuramente ciò che non si farà mai. Qualche esempio?

In Sicilia vi è la più alta concentrazione di sportelli bancari. È la Banca d’Italia d’Italia che li autorizza. Un governo serio chiederebbe a Draghi di far controllare, ad una ad una, dai suoi funzionari, insieme alla Guardia di Finanza tutti i depositi. Dividere quelli collegati alle partite Iva da quelli personali e tra questi quelli superiori a 50.000 euro devono essere adeguatamente motivati. In una economia “povera” come quella siciliana queste cifre sono già ragguardevoli e una manovra di “ripulitura” dei depositi bancari non adeguatamente giustificati non solo porterebbe molto denaro alle casse dello stato ma obbligherebbe la malavita ad una affrettata conversione degli investimenti con probabili smagliature facilmente individuabili.

Chi vuole davvero debellare la mafia non potrà opporsi o invocare segreti bancari o difesa della privacy. In stato guerra si devono usare metodi emergenziali ed una temporanea rinuncia ai privilegi delle economie sane non dovrebbe, comunque, turbare i sonni di chi non ha nulla da nascondere.

Poi l’analisi del PRA. Tutti i possessori di auto superiori a 2500 cc devono dare dimostrazione delle fonte di acquisto e manutenzione dei detti veicoli. Non solo, la verifica deve interessare le auto intestate a ultrasessantenni ed a tutti i non patentati. I manovali della malavita, quelli da 2000 euro al mese, ed i capi mandamento, con ville e guardie del corpo, devono dimostrare come fanno a campare. Altro che studi di settore!

Poi è la volta delle Camere di Commercio. Bisogna bonificare i registri delle imprese a partire dai controlli tra sedi legali (spesso fasulle per ottenere benefici dell’obiettivo 1) e sedi operative. Attivare verifiche sui soci di capitale secondo gli stessi criteri dei controlli bancari per individuare tutte le capitalizzazioni in sentore di opacità.

Poi il capitolo appalti. Qui il lavoro è complesso e molto pericoloso. Serve una task force composta da specialisti esterni e svincolati dai paludosi meandri della burocrazia. Controlli sistematici, altro che su “campioni mirati”, sull’attendibilità dei D.U.R.C. (regolarità contributiva) sulle dotazioni organiche, sulla capacità tecnica, sulle costellazioni dei subappaltatori. Per decenni abbiamo vissuto, complice una criminale omertà, in un doppio regime fondato su un’apparente regolarità formale che ha mascherato una realtà ben diversa, con le carte tutt’altro che in regola.

È un processo di “sanificazione” che la gente vede come un miraggio e che potrà trovare consenso solo se verrà avviato da una classe politica non compromessa e con le mani pulite. Ed è questo che lo renderà impossibile perché nessuno - al di là della propaganda che non costa nulla - avrà potere, interesse e coraggio a proporre una simile azione che richiede una “mobilitazione” nazionale di tutti i settori dello Stato.

Finora contro la mafia abbiamo mandato pochi magistrati e poliziotti che sono stati sterminati. L’accordo, non scritto: niente stragi, ma lasciateci lavorare, quello di sempre, sembra funzionare e richiede qualche azione dimostrativa. Questo è quello che la mafia vuole ed è quello che gli stiamo servendo. Il carcere duro per pochi capi ormai privi di potere è un prezzo che pagano volentieri sperando in qualche concessione umanitaria.

Ci vuol ben altro che i sinceri appelli di un anniversario da troppi ignorato. Non è più tollerabile ascoltare appelli all’antimafia da chi non sta facendo nulla o, addirittura è complice o colluso.

La vera lotta alla mafia dovrà essere come un nuova “resistenza” civile per sconfiggere un nemico, infiltrato ovunque, che non solo logora la nostra economia ma ci espropria della libertà e deve vedere i cittadini, i politici onesti e le imprese sane, tutti impegnati a fare ciascuno la sua parte, necessaria per tentare, almeno, di raggiungere questo obiettivo vitale per dare un migliore futuro alle nuove generazioni.

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