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L’Università dei Baroni e dei Massoni

Oggi vi parlerò del libro “L’Università dei Baroni. Truffe, favori, abusi di potere. Logge segrete e criminalità organizzata. Come funziona l’Università italiana” (www.chiarelettere.it, 2009).

Vi devo però confessare che sono talmente disgustato e addolorato da questa visione truffaldina e parassitaria dell’università italiana che non mi sono rimaste troppe energie per dire qualcosa di interessante. Oramai il cancro virale della politica partitocratica e dell’inciviltà familistica ha devastato con le sue metastasi ogni angolo d’Italia e l’unica soluzione per vedere una società migliore è quella di andarsene all’estero o più direttamente all’altro mondo: l’Italia ha una sola Università tra le prime 200 del mondo (è l’Università di Bologna che è intorno al 190° posto).

Purtroppo nelle Università italiane “esistono due grandi gruppi egemonici che per anni hanno dominato: l’area cattolica (Comunione e Liberazione, Opus Dei) e la cosiddetta intellighenzia di sinistra” (p. 18). Molti altri soggetti sono legati alla tradizione dei baroni neri di estrema destra e alla massoneria (Rosacroce, Gran Loggia Nazionale, Zamboni-de Rolandis, Grande Oriente d’Italia). Circa la metà dei rettori italiani risulta iscritta alla massoneria (Stefano Podestà, ex ministro dell’Università, 1996).

Molte testimonianze sono state prese con un registratore portatile per memorizzare su nastro “le regole del gioco” che ha volte comprendono scambi di natura sessuale. Il ricatto sessuale viene poi utilizzato da alcuni professori nei confronti delle semplici studentesse (stranamente sono in poche a denunciare). Perciò questo libro racconta l’università dei privilegi, delle prepotenze e degli abusi, ma anche l’università di chi lavora seriamente tutti i giorni e per pochi soldi. Le storie di chi si è ribellato contro i concorsi truccati rivelano un sistema fortissimo, basato molto sull’obbedienza e molto meno sul merito: esistono delle vere e proprie gerarchie nazionali per ogni disciplina, chi occupa il vertice comanda su tutti. Quindi sono pochi i veri docenti e i veri ricercatori, e ci sono moltissimi servi e padroni (come descritto anche nel saggio “L’università truccata” di Roberto Perotti, Einaudi, 2008).

Questi sistemi sono oggetto di generale indignazione di facciata, ma vengono ben accettati. L’importante è non fare i nomi dei protettori politici. Grazie alla politica ci sono stipendi d’oro assegnati con un criterio gerontocratico: con qualche anno di anzianità si finisce per guadagnare più del 90 per cento dei professori americani. L’impegno è limitato: il “tempo pieno” di un professore ordinario è 3 ore e 39 minuti al giorno e i ricercatori spesso si dedicano totalmente alla didattica. Inoltre si può arrotondare molto bene con le consulenze (c’è anche il business dei libri di testo e delle Università Telematiche pubbliche e private). L’Università italiana si è infatti indebitata quanto la Sanità e quanto i Comuni e le Regioni. E fino a quando reggerà il “Sistema che Sistema” italiano? Inoltre, “nella percezione delle comunità locali (più esattamente dei loro rappresentanti istituzionali), gli atenei stanno prendendo il posto che avevano fino a pochi anni fa gli ospedali: ogni centro ne voleva uno a portata di mano” (p. 16). I Comuni che ospitano almeno una costola di ateneo sono 251 (sette anni fa erano 196). E per favorire il clientelismo i corsi di laurea si sono inflazionati: oggi sono a quota 5.545, prima della riforma erano 2.336 (p. 15).

Dunque gli studenti, i dottorandi e ricercatori, devono sottostare a questa forma di “Mafia d’élite”, magari dopo una vita di studio, esperienze all’estero e pubblicazioni in riviste autorevoli. A volte la loro rabbia ricerca una valvola di sfogo nei blog e nei siti internet per difendere l’università pubblica, la meritocrazia e la giustizia. Ma anche un preside di facoltà è costretto ad ammettere che non ha mai conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri meriti (Paolo Bertinetti, Preside di Lingue e Letteratura a Torino).

Gli autori del libro inchiesta sono Davide Carlucci e Antonio Castaldo. Carlucci ha 39 anni e dal 2000 scrive per «la Repubblica», prima per la redazione di Bari e dal 2007 a Milano, dove si occupa prevalentemente di cronaca giudiziaria. Laureato in Lettere moderne, ha frequentato l’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. Ha collaborato con «il manifesto» e diverse altre testate – tra le quali «L’espresso». Ha seguito varie inchieste sul nepotismo e sugli scandali nelle università. Ha scritto anche di ambiente, criminalità organizzata ed economia. Antonio Castaldo ha 33 anni, fa il giornalista da quando ne aveva 17. Laureato in Lettere moderne, redattore del «Corriere del Mezzogiorno», prima a Caserta e Napoli, poi a Bari, dove dal 2003 si occupa di cronaca giudiziaria. Nell’estate del 2004 ha vissuto così, in trincea, l’esplosione dei primi casi di corruzione universitaria che dalla facoltà di Medicina hanno poi contagiato l’intero ateneo barese. Ha collaborato con «Panorama», «Il Sole 24 Ore», «Diario» e scrive per il «Corriere della Sera».

Ma in Italia e in tutto il mondo c’è un altro problema: l’educazione dei primi anni di vita. Ciò fa la differenza tra i paesi più civili è questo tipo di educazione: molti dei figli delle popolazioni del Sud d’Europa e del Mondo acquisiscono tutti i comportamenti familistici e locali poiché molti di questi bambini non vanno negli asili (e a volte nemmeno a scuola) nell’età che va dai tre ai sei anni, dove si addomesticano precocemente i comportamenti verbali e le emozioni più egoistiche dettare dalle regole genitoriali o dal clan familiare. Inoltre “la lettura e la dedizione agli studi sono vocazioni naturali per una minoranza della popolazione. Per la maggior parte dei giovani, leggere e studiare costituisce un sacrificio, anche se molti, col tempo apprezzano sempre più i vantaggi di una solida cultura professionale e generale. Ma se non c’è nessuna differenza tra laurearsi in una buona o cattiva università e il posto di lavoro viene ottenuto grazie al supporto familiare o uno scambio di favori, non si vede perché i giovani dovrebbero optare per il sacrificio e l’impegno” (Pietro Corsi, Università di Oxford in “Saperi e poteri”, Egeaonline.it).

Comunque una soluzione per eliminare molte forme di favoritismi e raccomandazioni potrebbe essere quella di avere dei Rettori universitari internazionali: la cultura non ha patria è l’unico modo per superare gli egoismi nazionali e quelli culturali occidentali e orientali è quello di imporre nelle migliori Università delle personalità non appartenenti alla Nazione in cui ha sede l’Università.

E ricordo che già adesso, per fortuna, stiamo interagendo quasi tutti nella nascente Società del Web e della Conoscenza, e Internet diventerà a breve la Libera Università dei Cittadini del Mondo.

P.S. Altri testi che riguardano l’istruzione dei più giovani sono i seguenti: “Per la scuola” di uno dei padri della Costituzione italiana: Piero Calamandrei (Sellerio) e “Fragile e spavaldo” dello psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet (Laterza). Inoltre segnalo anche un sito interessante: www.fondazioneintercultura.it.

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