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L’Italia ha bisogno di un’agenda dei diritti umani

Le elezioni politiche del 2013 sono alle porte. Il 24 e il 25 febbraio gli elettori saranno chiamati a scegliere i loro candidati per i prossimi cinque anni. Inutile ricordare l’importanza di queste votazioni che si svolgono in un momento così difficile per l’Italia.

La violenta crisi economica di questi anni ha fatto perdere all’Italia oltre 1 milione di posti di lavoro, la disoccupazione è aumentata negli ultimi 3 anni del 25%. A causa della recessione in tutto il mondo fino al 2011 si sono persi 21, 3 milioni di occupati, che vede tassi ancora più alti quando si parla di giovani.

Ma non sono soltanto i numeri dell’occupazione a far preoccupare. L’Italia vive una crisi culturale, oltre che una crisi economica. Una crisi dei diritti, oltre che una crisi degli indici di borsa. Lo spread tra noi e gli altri aumenta vertiginosamente di giorno in giorno. Ma non si tratta dello spread trai nostri titoli di stato e quelli tedeschi. Il nostro è il differenziale dei diritti umani, non quantificabili economicamente e per questo ancora più importanti. Quei diritti che sono l’ingrediente fondamentale per la pace e per la felicità.

Dobbiamo diminuire il nostro spread quando parliamo di tortura. Solo uno Stato che non nutre molto rispetto per i propri cittadini può convivere con l’assenza di una legge che vieti la tortura. In Italia ancora non esiste una legge per un crimine così orrendo. E così agli indagati sui fatti di Bolzaneto legati al G8 di Genova è stato contestato solamente il reato di abuso di ufficio.

Dobbiamo diminuire il nostro spread quando parliamo di uso della forza da parte delle forze dell’ordine. Sono ancora vive nelle nostre menti le immagini, risalenti allo scorso autunno, degli studenti picchiati mentre manifestavano a favore della scuola pubblica. I governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno attuato con forza una politica di repressione generalizzata, restringendo quotidianamente gli spazi del dissenso adducendo ogni genere di violenza a black bloc e anarchici. In quest’ultimi anni, inoltre, si è assistito a un uso massiccio dei gas lacrimogeni e degli idranti su manifestanti, a volte anche minorenni, totalmente pacifici. Uno stato serio introdurrebbe misure di tutela del manifestante, attiverebbe inchieste e perseguirebbe i diretti responsabili. In Italia non si fa.

Dobbiamo diminuire il nostro spread quando parliamo dei diritti LGBT. L’Italia non prevede alcun riconoscimento per le coppie di fatto, siano esse omosessuali o eterosessuali. Siamo nel fanalino di coda dell’Unione a 27, quasi tutti gli stati membri prevedono una qualche sorta di riconoscimento giuridico. Anche le leggi anti discriminazione in Italia non prevedono pene aggravate per discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale. Uno stato serio e responsabile metterebbe tutti i cittadini sullo stesso piano, dando loro gli stessi diritti. Si fa così in Spagna, in Norvegia, nei Paesi Bassi, perché non da noi?

E analoghe differenze le possiamo notare parlando dei diritti dei migranti, troppo spesso trattati negli ultimi anni come merce pericolosa da reprimere e controllare. Siamo arrivati fino al punto di inventare reati come quello dell’immigrazione clandestina e alla pratica dei respingimenti forzati di persone, di esseri umani, tra cui molte donne e molti bambini. E dobbiamo sempre ricordarci che sono più di 18.000 le persone morte nel Mediterraneo per rifarsi una vita in Europa. Ma si potrebbe parlare anche della situazione delle carceri italiane, la cui gravità è conosciuta da tutti ma per i quali il parlamento non ha mosso un dito. E questo speciale differenziale potrebbe continuare ancora per molto.

L’Italia è però anche quel paese che ha dato i natali a persone come Cesare Beccaria, che tanto si erano battute contro la pena di morte, questo è il paese dei Dante, dei Calvino, dei Falcone e Borsellino, dei tanti poeti e dei tanti scienziati. E’ il paese che ha avuto il coraggio di creare una sanità pubblica aperta a tutte e tutti, e il paese dei tanti ricercatori che con amore e con impegno portano avanti il loro lavoro. E allora come siamo arrivati fino a questo punto? 

Probabilmente anche noi abbiamo bisogno di una primavera dei diritti umani, di un’Italia che rispetti i diritti di tutte e di tutti. E’ una primavera che deve partire dalla coscienza di ogni singolo, ma che deve anche sapersi tradurre nella concretezza dei programmi elettorali delle forze politiche. L’Italia può cambiare solo se si capisce l’importanza, e la si porta in Parlamento, di un’agenda dei diritti umani. E’ responsabilità di tutti noi portarla avanti, batterci affinché questa agenda sia parte essenziale dei prossimi anni. Chi ci sta?

(©immagine di copertina: alcuni diritti riservati a riacle)

 

 

 

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