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L’Iran propone la pena di morte per i bloggers


A questo indirizzo c’è una proposta di legge tradotta in inglese introdotta nel Parlamento dell’Iran il giorno 2 luglio. Si tratta di alcune iniziative tra le quali quella di espandere alcuni crimini alla condanna della pena di morte per quelle persone che fanno attività di blogging e gestiscono siti web che “promuovono la corruzione, la pornografia e l’ateismo“. Qualcuno pensa che anche la Cina farà lo stesso.

Credo che quanto sia stato proposto dal governo dell’Iran si commenti da sè. Il Berkman Center for Internet & Society ha recentemente realizzato uno studio sulla blogosfera in Iran (file .PDF) che ha dimostrato la presenza di 60 mila blog continuamente aggiornati, un movimento giovane che sviluppa alcune contraddizioni.
Il paper descrive la blogosfera in Iran come un luogo dove le donne possono parlare dei loro diritti, i giornalisti combattere contro la censura ed i dissidenti esprimere il loro parere ed organizzarsi. Dall’altra parte però, la blogosfera Iraniana è abitata da persone che difendono la Rivoluzione Islamica, celebrano gli Hezbollah, hanno opinioni completamente differenti.


La religione è di certo uno dei temi più discussi insieme alla storia Persiana, la musica, le arti visive, lo sport e soprattutto la poesia. I bloggers Iraniani più famosi sono (come si vede nella mappa di sopra) nel settore dei “secular/reformist” che include i dissenti e quelli che hanno lasciato l’Iran negli ultimi anni per le critiche nei confronti del governo. Ci sono poi altri tre gruppi (ed i relativi sottogruppi) abbastanza diversi ed eterogenei tra loro.

Basta questo pluralismo di voci ed espressioni libere presenti online per affermare che l’Iran sia un Paese realmente democratico? Qual è la cognizione sociale che esce fuori dai nuovi media rispetto a quelli tradizionali?

In un paese liberal democratico i blog sono la maggiore e forse migliore espressione degli strumenti di comunicazione presenti su Internet: il governo in Iran blocca, filtra e censura la visibilità di molti blog facendo spostare così le conversazioni (e la loro qualità) nelle chat room e in un modello offline del tipo “taxi culture”, abbastanza simile alla condivisione delle informazioni che avviene nella blogosfera.

Questo è quanto ho potuto capire da una prima lettura dell’interessantissimo studio.

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