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L’Ici dei vescovi, gli emolumenti degli onorevoli e la rete

"La CEI che “vuole” pagare l’Ici e gli Onorevoli che “vogliono” abbassarsi gli stipendi sono due notizie che, ne sono assolutamente certo, senza la rete non avremmo mai letto".

Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Bagnasco dichiara che non vi sono pregiudiziali, da parte del clero italiano, ad accettare una revisione delle norme che esentano la Chiesa dal pagamento dell’Ici per edifici che non siano destinati ad attività sociale o culturale.

La manovra Monti, al comma 23, prevede che le retribuzioni dei nostri politicanti si allineino alla media di quelle dei loro colleghi europei. Ovviamene si sono alzati alti lai da parte di molti degli occupanti semi-abusivi del nostro parlamento. In particolare si sono fatti sentire Lamberto Dini, forte del proprio carisma e della propria autorevolezza, che ha pianto miseria, “le nostre retribuzioni sono già sotto la media europea” (usa una strana matematica il buon Lamberto: al netto della diaria, gli italici onorevoli portano a casa 11.704 euro al mese, più del doppio dei 5.339 euro al mese percepiti, in media, dai parlamentari della zona Euro), e Alessandra Mussolini che, non avendo mai avuto troppi pudori, ha protestato contro la “macelleria sociale” uscendosene con un memorabile: “Togliere il vitalizio è istigazione al suicidio”.

Al grido di “non si violi l’autonomia del Parlamento”, insomma, difficilmente la norma prevista nella finanziaria passerà così com’è, e il taglio alla fine non sarà della metà come questa prevede, ma l’idea che debbano, sostanzialmente, ridurre i propri stipendi è ormai ben piantata nello coscienze dei nostri politicanti e la cosa mi pare assolutamente rimarchevole.

La CEI che “vuole” pagare l’Ici e gli Onorevoli che “vogliono” abbassarsi gli stipendi sono due notizie che, ne sono assolutamente certo, senza la rete non avremmo mai letto.

Non intendo dire che sarebbero state tenute nascoste dai giornali tradizionali; piuttosto che, senza la rete, l’indignazione dei cittadini nei confronti dello stato delle cose non avrebbe avuto modo di esprimersi o non avrebbe avuto un modo altrettanto efficace di farlo.

Se è vero che neppure il 50% degli italiani utilizza internet (una statistica elaborata da Eurisko nel 2009 fissava questa quota al 37%, ma il dato era in forte ascesa) e che molti fanno della rete solo un uso ludico, è pure vero che gli internauti appartengono in media ai settori più giovani, più preparati e più attenti della nostra società.

Di più: si può dire che se esistono utenti della rete che hanno il più sovrano disprezzo delle cose della vita pubblica, è pure vero che ben difficilmente, oggi, chi a questa sia interessato non usi la rete. In rete, insomma, quelli che si occupano di politica e dintorni ci vanno quasi tutti. A cominciare dagli stessi onorevoli e dai loro collaboratori.

Benito Mussolini riceveva ogni giorno un rapporto dell’OVRA sulla considerazione che gli italiani avevano di lui e del regime; veniva così a sapere, spesso in forma debitamente edulcorata, delle reazioni dei cittadini alle sue iniziative e si faceva un’idea, molto approssimativa, dell’umore del paese. I nostri Onorevoli, per sapere quel che i cittadini pensano di loro, quale sia la considerazione di cui godono presso strati amplissimi della nostra società, devono solo connettersi.

Un tempo i politici non erano mai, o quasi mai, direttamente confrontati con la protesta.

Questa saliva dalle piazze, ridotta a slogan che, attribuendoli alla parte politica avversa, era facile ignorare (perlomeno fino a che i manifestanti non entravano nel palazzo, ma questa è un’altra storia). Gli uomini di potere, nell’ambiente sterile, protetto, costituito dalla cerchia dei loro partigiani, riuscivano a  vivere indisturbati, per quante marce di protesta si potessero organizzare per le vie di Roma,

Oggi si trovano di fronte la protesta ogni volta che accedono alla pagina elettronica della propria organizzazione politica; ogni volta che, magari proprio dal Parlamento, mentre si annoiano durante una discussione, accedono alla propria pagina di facebook.

Una protesta , spesso proveniente dalle file dei loro stessi elettori, che è tanto più efficace in quanto scaturisce da una pluralità di cittadini e non da una massa omogenea facilmente etichettabile.

Oltre all’ovvia democratizzazione dell’informazione (piaccia o no, su un blog o in un forum chiunque può rendere pubblica la propria opinione. A chi contrappone i seri “professionisti” della carta stampata ai “ciarlatani” della rete non è neppure il caso di rispondere; lo fanno ogni giorno Belpietro, Sallusti e tanti loro colleghi), la principale conseguenza di internet è proprio questa disgregazione delle masse, protagoniste della storia degli ultimi due secoli, in  somma di distinte individualità.

E’ un fenomeno di segno diametralmente opposto a quello rappresentato dalla televisione che, somministrando ad ognuno lo stesso polpettone, trasforma i singoli, nei soggiorni delle loro case, nella massa dei telespettatori.

In rete abbiamo un’infinita (almeno apparentemente) possibilità di scelta e, qualunque cosa facciamo, conserviamo la nostra singolare personalità; agiamo individualmente e conserviamo coscienza del nostro individuale agire anche quando ci uniamo ad altri, magari associandoci ad una iniziativa di protesta.

Credo che internet sarebbe piaciuta a Spinoza; che lui avrebbe trovato ammirevole questa riconquista della coscienza del singolo, delle sue individuali potenzialità e responsabilità, dentro il tutto di una struttura così complessa.

Per certo, dopo un ventennio o giù di lì, è ancora troppo nuova perché se ne siano comprese tutte le implicazioni.

Che sia un’arma formidabile per la difesa della democrazia e sotto gli occhi di tutti.

Che con l’avanzare di nuove tecnologie, possa trasformarsi in uno strumento di condizionamento e controllo dell’opinione pubblica più potente di qualunque altro, mi pare un pericolo altrettanto reale. In rete siamo tutti individui, ho scritto, e come tali siamo soli; molto più soli di quanto lo siamo partecipando a quel rituale collettivo per antonomasia che è la visione di un programma televisivo o di quando sfogliamo, magari discutendone con colleghi, famigliari od amici, le pagine del nostro quotidiano.

Chi dovesse riuscire a controllare quel che “troviamo” in rete, chi riuscisse ad infilare i propri messaggi in contenuti che pensiamo neutri, potrebbe facilmente superare le difese già abbassate del nostro senso critico e influenzarci in modo più profondo di quanto abbiano fatto le altre forme di propaganda.

Dopo aver visto quel che i regimi totalitari del secolo scorso han fatto con cinema, radio e giornali, per non parlare delle nostre esperienze televisive, un’eventualità a cui dovremmo prestare, già ora, la massima attenzione.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.85) 12 dicembre 2011 11:18

    Concordo in pieno: oggi la rete e’ un formidabile veicolo di informazione e di indignazione; e’ per questo che il suo controllo o la sua manipolazione sono pericoli molto gravi.

    Sono convinto che ci siano molti professionisti della disinformazione che stanno lavorando in quelle direzioni; ad esempio, la circolazione di catene di san antonio che contengono informazioni sballate mi puzzano tanto di essere esperimenti di quei professionisti: chi si ricorda la ripresentazione di appelli per Amina due anni dopo che il caso si era felicemente concluso?

    Dissento pero’ su un punto che ritengo importante, non una pignoleria: Mussolini era attentissimo alla immagine sua e del fascismo, sia giornalistica che fotografica. Direttamente e attraverso l’agenzia Stefani inviava minuziose veline a tutti i giornali, radio e cinegiornali; anche il Minculpop era attivissimo. Non soltanto l’OVRA raccoglieva informazioni sull’umore e i sentimenti degli italiani.

    E’ grazie all’attentissimo controllo dei flussi di informazione che in una quindicina di anni gli italiani sono diventati quasi tutti convinti fascisti.

    Berlusconi, prima di entrare personalmente in politica, disponeva di quasi tutti gli esperti pubblicitari italiani. I pubblicitari non si limitano a costruire messaggi convincenti ma misurano accuratamente, attraverso le vendite e le scelte dei consumatori, l’effetto dei loro messaggi.

    Un esempio clamoroso e’ stato quello del lancio di tanti mega-cartelli stradali con un pupo grassoccio che diceva "Fossa Itaia", quasi un anno prima che "improvvisamente" B si inventasse la sua "Forza Italia". L’effetto fu tale che papa Woytila, durante una partita di calcio esclamo’ : "Forza Italia!" e fu "casualmente" ripreso in TV. Poi, sempre "casualmente" B chiamo’ "Forza Italia" il suo partito e domino’ l’Italia per quasi un ventenio con un consenso altrimenti inspiegabile...

    Oggi, quegli esperti non progettano cartelli stradali, ma blog e campagne di interventi sui blog.

  • Di Geri Steve (---.---.---.85) 12 dicembre 2011 11:46

    Scusa: mi accorgo soltanto adesso di non aver fatto il log-in e quindi di aver mandato un commento anonimo.

    Geri

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