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L’Atac in casa e l’Antitrust all’uscio

Roma Capitale affida nuovamente la gestione del trasporto pubblico locale al suo carrozzone domestico fantasticando di sinergie e risparmi di costi ma l'Antitrust non ci sta: confidiamo nelle riforme del PNRR, non nei suoi soldi. 

Riuscirà il nostro paese a mettere a gara il trasporto pubblico locale, prima della fine dei tempi? In questi giorni pare riaccendersi una fioca speranza, almeno per chi punta a questo esito ritenendo che serva a migliorare la qualità del servizio e ridurre i costi di esercizio. Lo segnala un articolo dell’Osservatorio Conti Pubblici italiani (Ocpi) dell’Università cattolica, scritto da Rossana Arcano, Alessio Capacci e Giampaolo Galli.

THE BUS IS IN THE HOUSE

L’antefatto: lo scorso ottobre il comune di Roma ha rinnovato sino al 2027 l’affidamento “in house” ad Atac S.p.A. per la gestione del trasporto pubblico locale non periferico, motivandolo con il conseguimento di risparmi di costo e miglioramenti della qualità del servizio. Lo so, cercate di restare seri e continuate a leggere. A seguito di quella decisione, lo scorso novembre l’Autorità Garante per la concorrenza e il mercato (AGCM, per gli amici Antitrust) ha deciso di adire la giustizia amministrativa, ritenendo tale affidamento fondato su una mera “dichiarazione d’intenti”.

In effetti, l’ente capitolino avrebbe motivato l’affidamento in house sulla base di imprecisati “rapporti sinergici” con Atac, per poter meglio realizzare gli obiettivi strategici. Se bastasse questa tautologica e circolare motivazione, ogni affidamento da parte di enti locali dovrebbe avvenire con la modalità “in house”, per definizione. O forse le sinergie esistono ma nel senso di produrre voragini nei conti.

Inoltre, Roma Capitale tra le motivazioni fa riferimento a “incrementi qualitativi e quantitativi attesi dall’offerta del servizio da parte di Atac grazie ai fondi provenienti dal PNRR e dal Giubileo 2025”. Tali da portare a un aumento dei ricavi, a parità di tariffe, del 12 per cento rispetto ai valori del 2019. Detta in questi termini, suona come “arrivano li sordi, semo salvi“. Pare inoltre che quell’incremento stimato di ricavi sia definito assiomaticamente, e più non dimandate. Forse l’aria del Giubileo ha fatto ritenere a Roma Capitale di poter dare numeri indisputabili ed ex cathedra. O forse è la fiducia nei miracoli.

Con lo stesso metodo, tra speranza ed editto, Roma Capitale quantifica i risparmi di costo derivanti da affidamento in house ad Atac in 150 milioni di euro rispetto all’affidamento mediante gara pubblica. Se queste sono le premesse, voi capite che l’Antitrust difficilmente avrebbe potuto esimersi dall’opposizione a questo singolare affidamento, pena la perdita della faccia persino in un paese come l’Italia.

IL RUOLO DEL PNRR, OLTRE “LI SORDI”

La cosa pregevole, dell’opposizione dell’Antitrust, è la considerazione dell’inidoneità e insufficienza delle motivazioni di affidamento ad assolvere gli obblighi richiesti dal quadro normativo vigente. Ma di quale quadro stiamo parlando?

Del cosiddetto “Testo unico sulla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, Dlgs 201/2022, approvato in via preliminare il 16 settembre 2022 dal governo Draghi e confermato in via definitiva dal governo Meloni. Si tratta di una delle cosiddette “riforme abilitanti” del PNRR , e ha contribuito all’erogazione della terza rata. In tale capitolo del PNRR si prevede la limitazione del ricorso all’affidamento a società in house e partecipate, anche per il trasporto pubblico locale.

Il sopracitato testo unico stabilisce di conseguenza, che la scelta tra affidamento in house e ricorso al mercato deve avvenire sulla base:

  • delle “caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare […];
  • della situazione delle finanze pubbliche;
  • dei costi per l’ente locale e per gli utenti;
  • dei risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili;
  • nonché dei risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica”.

L’ente che affida il servizio deve inoltre svolgere periodiche verifiche della gestione per rilevare “il concreto andamento dal punto di vista economico, della qualità del servizio e del rispetto degli obblighi indicati nel contratto di servizio”. E qui, riguardo Atac, diremmo che le evidenze urlano, anziché parlare.

Nel senso che gli utenti lamentano il costante deterioramento (eufemismo) della qualità del servizio. Inoltre, il mancato raggiungimento degli obiettivi del contratto di servizio ha determinato, dal 2016 al 2019, che Roma Capitale abbia irrogato penali ad Atac per importi compresi tra 3,8 e 6,1 milioni di euro annui.

Un momento: l’ente affidante chiede una penale al gestore, ma il gestore è posseduto al 100 per cento dall’ente medesimo. Quindi, di che stiamo parlando? Una partita di giro, anzi di presa in giro. Stendiamo poi un velo pietoso sull’andamento esangue degli investimenti, che i soliti noti giustificheranno con due eventi traumatici: l’ammissione di Atac al concordato preventivo, su iniziativa benecomunista della giunta di Virginia Raggi nel 2017, da cui l’azienda è uscita nel 2022 con squilli di fanfara del nuovo sindaco capitolino, Roberto Gualtieri, e il Covid.

Quantità e composizione degli investimenti di Atac, pur facendo la tara per questi due eventi straordinari, restano da monito della presa in giro criticità della situazione:

[…] per il periodo 2018-2022 dai bilanci di Atac risultavano a consuntivo 28 milioni di euro di investimenti in nuovi autobus finanziati da Roma Capitale, a fronte di 7 milioni di euro in autofinanziamenti acquistati dal gestore. Tuttavia, i preventivi originali stabiliti nel Piano Concordatario erano ben diversi: 89 milioni di euro autofinanziati da Atac e 118 milioni di euro finanziati da Roma Capitale, per un totale di 207 milioni.

LA GARA A DOPPIO TAGLIO

Che fare quindi, in attesa che il Tar del Lazio si pronunci? L’Antitrust propone la messa a gara del TPL non periferico capitolino, mediante divisione in lotti del servizio, portando a favore di questa proposta l’esempio della città di Londra, dove

[…] le 675 tratte di autobus vengono pianificate dal Transport for London (l’ente responsabile dell’organizzazione e il funzionamento del trasporto pubblico locale). Le tratte vengono poi messe a gara singolarmente, con una tempistica a scaglioni che consente di mantenere una pressione concorrenziale sui prezzi. La pubblicazione delle gare è infatti continua, per cui in media ogni anno viene messo a gara il 15-20 per cento dei servizi della rete londinese (circa 90-120 linee): in altre parole, si svolge in media una procedura di gara ogni 2-4 settimane. La durata di questi contratti è pari a 5 anni, estendibili al massimo per altri 2 anni.

In tal modo, la quota dei costi di servizio coperti da ricavi è arrivata a circa il 98 per cento, contro il 60 per cento di un quindicennio addietro, permettendo di abbattere i sussidi pubblici al TPL del 93 per cento. Malgrado ciò, il tasso di soddisfazione dell’utenza è rimasto su valori molto elevati, intorno al 90 per cento.

Alcune considerazioni spicciole su queste proposte. In primo luogo, occorre fare una scelta: premesso che occorre ottimizzare la struttura dei costi, quanta parte del servizio deve essere coperta con soldi pubblici, cioè con fiscalità generale, e quanta con biglietto? Questo è dirimente, anche prescindendo temporaneamente dal tema dell’evasione del pagamento dei biglietti. Sono ragionevolmente certo dell’esistenza di un ampia quota di benecomunisti per i quali il servizio andrebbe fatto pagare ai contribuenti. Anzi, temo che questo orientamento possa essere il mainstream, in questo paese. Di questo aspetto l’Antitrust è consapevole, quando cita “le clausole di protezione sociali, spesso troppo ampie e restrittive”.

Secondo punto: attenzione a pensare che la messa a gara sia la panacea. L’ente locale e i suoi vertici politici pro tempore potrebbero agevolare amici e amichetti, con un disegno sartoriale su questi ultimi dei termini della gara. Una cosa del tipo “croce vince il gestore, testa perdono utenti e contribuenti”. Ad esempio, mediante sistemi di indicizzazione delle tariffe basati sui costi del gestore e non su recuperi di produttività. Qualcuno ha detto Autostrade?

La stessa Agcm è perfettamente consapevole di questo rischio, quando compara il modello Londra con quello francese:

In Francia, anche quando l’affidamento avviene con gara pubblica c’è una fase di contrattazione privata, per cui spesso diverse condizioni contrattuali sono definite al di fuori della gara; nei fatti, i contratti più diffusi sono quelli che trasferiscono in tutto o in parte il rischio d’impresa all’autorità pubblica.

Morale: i costi per veicolo-chilometro a Londra sono calati ma in Francia continuano ad aumentare. Ecco il verosimile incrocio tra amichettismo delle gare e protezione sociale.

CERCASI MERCATO DISPERATAMENTE

Ora, non dite che sono il solito disfattista e pure immobilista: non sono affatto per la conservazione dello status quo. Il caso di Atac, poi, grida vendetta davanti al dio dei bilanci pubblici e dei contribuenti, e sinora siamo andati avanti tra improbabili procedure concordatarie e afflusso di risorse pubbliche, magari con la premessa che “Roma Capitale deve avere più risorse, che diamine”. Oppure no, che dite?

Ma non possiamo tacere della fine ingloriosa che da queste parti tendono a fare i tentativi di introdurre meccanismi e -soprattutto- cultura di mercato. Al punto che, alla fine, l’opinione pubblica depredata finisce col commentare che “se questo è il mercato, meglio il pubblico”. Appunto. Dalla padella alla brace, vince sempre il nostro socialismo surreale, temo.

Foto: Matteo Basile/Pexels

Questo articolo è stato pubblicato qui

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