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L’Aquila: emergenza terremoto, dalla Protezione Civile al Commissario

L'Aquila: emergenza terremoto, dalla Protezione Civile al Commissario

L’Aquila – Il passaggio di consegne dalla Protezione Civile alla Regione segna una passaggio importante dell’emergenza terremoto in Abruzzo ed a L’Aquila in particolare. Il comandante in capo è stato promosso sul campo a Ministro della Repubblica. Speriamo che si ricordino che la nomina dei Ministri è riservata al Presidente della Repubblica. Ma, ormai, alla logica dello svuotamento o indebolimento degli organi istituzionali, per affermare una costituzione materiale, ci stiamo quasi abituando. La protezione Civile, sicuramente, in Abruzzo, ha fatto un salto di qualità. Da strumento partecipativo è diventata un organo autarchico dove la decisione è riservata a ben poche persone. Gli organismi decisionali territoriali hanno solo avallato le decisioni. La cosiddetta semplificazione del processo decisionale basata sul manuale Augustus è un’appendice di una macchina complessa dove centinaia di persone sono state utilizzate con una parcellizzazione del lavoro per svolgere lavori semplici e definiti nelle modalità e nel tempo. Un apparato mastodontico che, al di la dei costi, alla fine del processo il risultato ci doveva essere per forza. Se lo stesso apparato e modalità organizzativa venisse utilizzata da qualsiasi Ente Locale o Palazzo di Giustizia, il risultato sarebbe sicuramente migliore. Se a questa considerazione aggiungiamo la questione finanziaria dove il neo Ministro ha potuto utilizzare le risorse economiche da sprecone, il bilancio che possiamo fare, in riferimento al rapporto costi-benefici il risultato è negativo.

Alla fine di questa premessa è che, pur con tutto ciò, gli obiettivi non sono stati raggiunti, vi sono ancora tante persone che aspettano un’adeguata sistemazione ed ogni giorno si spendono 500.000 Euri per l’alloggio in alberghi.

In questi mesi abbiamo sempre affermato e sostenuto che emergenza terremoto ed emergenza lavoro andavano di pari passo. Abbiamo assistito ad una netta sottovalutazione dell’emergenza lavoro ed ora che i buoi sono scappati è molto difficile porvi rimedio. Le aziende in crisi non si contano, le ore di cassa integrazione hanno subito un aumento del 618%, gli indicatori economici (PIL diminuito di oltre il 5%, produttività ed esportazioni idem) sono negativi.

L’unico dato positivo è l’aumento delle partite IVA aperte presso le Camere del Commercio e soprattutto a quella dell’Aquila. Un dato che in verità dovrebbe preoccupare perchè è il sintomo di un fenomeno che evidenzia un incremento di lavoro sottopagato ed in nero. Se poi andiamo a considerare che in questi mesi solo nella Città dell’Aquila abbiamo avuto il più grande cantiere del mondo e vi sono stati investimenti per il progetto C.A.S.E. per 850 milioni di Euri ed il dato occupazionale è negativo, il nostro giudizio sul modo di gestire l’emergenza rimane confermato e rafforzato. A questo punto bisogna chiedersi quali sono le vie d’uscita, ma per trovare una giusta risposta a questo problema bisogna capire chi sono gli interlocutori.

La Regione, in primis, non svolge il suo ruolo: ogni tanto annuncia finanziamenti e per il comune cittadino è anche difficile capire se sono sempre gli stessi finanziamenti che vengono pubblicizzati o altri di diversa natura. Non vi è un quadro legislativo a cui fare riferimento. Sono diversi mesi che ha costituito una task force (sicuramente pagata a peso d’oro) diretta da un illustre professore ma non vi è segno dei risultati di questo lavoro. La crisi incalza e cambia natura accentuando gli aspetti strutturali della crisi ed il Presidente Chiodi annuncia con grande enfasi che l’Agenzia Moody’s ha ritenuto affidabile la Regione dal punto di vista della sua capacità di saldare debiti a investitori internazionali. Sicuramente un dato interessante ma non utilizzabile per superare la crisi strutturale. Un altro interlocutore importante è il Sindacato ma anch’esso naviga a vista e diviso al suo interno. Non ha elaborato una sua piattaforma per fronteggiare questa fase ed i militanti sindacali delle aziende in crisi, il più delle volte, sono costretti a fronteggiare le controparti con una borsa da lavoro con pochi attrezzi dentro. C’è una scarsa riflessione sulla crisi e su come un Sindacato moderno e di classe la affronta. La fase neo-liberista è sconfitta dalla crisi stessa e si continua a lavorare con gli attrezzi utilizzati per cavalcare questa fase.

Sicuramente vanno difesi gli strumenti utilizzati in questi anni (cassa integrazione e mobilità) ma il problema centrale rimane la questione della soggettività a cui si fa riferimento per costruire linee politiche e sindacali adeguate. All’interno dei posti di lavoro la composizione sociale dei lavoratori è cambiata in tutti i sensi e determinata soprattutto dalle modalità occupazionali della Legge Biagi: precarizzati, sottosalariati e ricattati, questa è la condizione dei giovani occupati e altamente professionali. C’è bisogno di un Sindacato diverso dove il radicamento non si esplica solo in azienda ma anche e soprattutto sul territorio. Di fronte a questo quadro non positivo, l’unica ancora di salvezza è che l’iniziativa non solo sindacale ma anche economica e sociale riparta dal basso.

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