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L’Aquila a sedici mesi dal sisma: rassegnarsi o continuare a lottare

Sono trascorsi 16 mesi dal terremoto, un periodo abbastanza lungo per avere un quadro della situazione che ci permetta di guardare la realtà in faccia, così com’è: nuda e cruda.

Sono trascorsi 16 mesi dal terremoto, un periodo abbastanza lungo per avere un quadro della situazione che ci permetta di guardare la realtà in faccia, così com’è: nuda e cruda. In questi mesi abbiamo memorizzato tante cose. Immagini tragiche: le nostre case distrutte, 308 vittime con giovani, vecchi e bambini che non hanno avuto neanche il tempo di rendersi di ciò che stava accadendo, di altre vittime, cosiddette collaterali (i decessi sono aumentati almeno del 16%), gli usi dei psicofarmaci aumentati, sulla base della ricerca svolta dall’Università dell’Aquila, di almeno il 30% e poi il lavoro che manca pur a fronte del più grande cantiere del mondo. Cassa integrazione incrementata di oltre il 600%, la disoccupazione di oltre il 9% rispetto ad un tasso dell’8% a livello regionale, imprese che chiudono a tal punto che non se ne parla più, attività commerciali chiuse o riaperte che sopravvivono. Questo quadro drammatico anzichè essere il pane quotidiano di chi governa la Regione, lo Stato, la Provincia o il Comune, diventano motivo per rideterminare gli assetti economici e politici della nostra Città. Questa situazione diventa motivo per valutare non tanto le opportunità collettive ma individuali. I gruppi si concentrano e si ridisgregano nll’arco di una giornata: dipende dagli affari in corso. Gli scandali che ci troviamo a subire in questi giorni sono la più evidente prova di questa situazione. Non me la sento di entrare nel merito degli indiziati, ci pensa sicuramente la magistratura, ma ciò che avverto, come cittadino impegnato, è una difficoltà di fondo: la difficoltà a tenere insieme non solo il punto di riferimento ma la chiave di lettura di questi fenomeni. Quando scrissi un comunicato dopo almeno dieci giorni dal terremoto, mi imbattei con la citazione di Silone che denunciava, in riferimento al terremoto del 1915 nella Marsica “…Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia, per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli, frodi, furti, camorre truffe, malversazioni di ogni genere cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale..” ed essa divenne un punto di riferimento per la lettura della situazione che vivevamo. Mi auguravo che quelle cose non succedessero ma oggi il quadro che abbiamo davanti è desolante e disarmante nello stesso tempo ed anche la chiave di lettura di Silone diventa riduttiva per una situazione così complessa. Oggi coloro che rubano o che commettono reati, il più delle volte vengono premiati dal voto popolare.

E’ una situazione che vista nel suo ambito può portare alla rassegnazione, alla presa di coscienza che si è tutti uguali, che è inutile lottare per un mondo migliore e diverso, che è meglio farsi gli affari propri. In fondo il processo identificazione dell’uomo della strada, che sia operaio, disoccupato, impiegato, contadino, commerciante o imprenditore con il potere, porta alla conseguenza drammatica di essere disarmati non tanto nel senso della parola ma in termini culturali prima di tutto e sociali ed economici. Non posso dimenticare l’illusione di molti attivisti della prima Forza Italia che pensavano che il giorno dopo la vittoria elettorale del governo Berlusconi sarebbero diventati tutti ricchi e che le porte della Borsa si sarebbero aperte anche agli sprovveduti. In fondo questa illusione non era solo un miraggio della destra; un’altra cosa che non posso dimenticare è la premessa alla riforma della pensioni. Nel sindacato ci veniva detto in tutte le salse che non era possibile reggere il sistema previdenziale solo con il sistema pubblico, ma bisognava aprirsi al libero mercato. Se tiriamo il bilancio, dopo tanti anni, rimane solo l’amarezza di non aver lottato abbastanza per rompere il giocattolo delle politiche neoliberiste che hanno imperversato negli ultimi trent’anni e la constatazione che il livello di difesa delle pensioni non solo s’è abbassato ma il sistema previdenziale pubblico deve ricoprire i debiti dei fondi pensione privati e la Borsa è diventata la peggiore trappola per i piccoli risparmiatori. Insomma, quello che ci troviamo a vivere è un processo manipolatorio della coscienza di ciascuno di noi dove la realtà vera, quella dura, viene alienata nel mondo virtuale o nella falsa coscienza, come diceva Marx. Dopo le manifestazioni del mese di giugno e del 7 luglio a Roma, il movimento di “LIBERAZIONE” come lo definisce il Prof. Colapietra, si trova ad un bivio.

Il rapporto con le istituzioni, tanto invocato, diventa complicato e la trasparenza e la partecipazione, altrettanto invocate, se non gestite correttamente, possono diventare le sabbie mobili del movimento ma anche delle istituzioni.

 

 

 

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