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Kos: una cartina di tornasole

Le vicende dell’isola di Kos, meta di sbarchi di un gran numero di rifugiati siriani, iracheni e afghani che possono raggiungere facilmente dalla vicina Turchia il territorio greco anche con mezzi precari e senza bisogno di scafisti, hanno suscitato stupore e amarezza.

 

Ma come, in Grecia c’è il governo Tsipras, un “governo di sinistra”, e la polizia carica a manganellate la folla dei richiedenti asilo che si accalcano davanti alla porta del misero ufficio che dovrebbe rilasciare qualche visto di transito? Alcuni video hanno immortalato un poliziotto che colpiva con un lungo bastone chi protestava e li minacciava con un coltello. È stato annunciato che sarebbe stato sospeso cautelativamente, ma intanto la richiesta del sindaco (proveniente dal Pasok) di avere rinforzi da Atene è stata subito esaudita, e i corpi speciali in tenuta antisommossa sono arrivati a Kos e su altre isole che si trovano nella stessa situazione perché distano solo poche miglia dalla Turchia.

È un’altra delle verifiche che il governo guidato da Alexis Tsipras è costretto sempre più a fare o avallare azioni che sono in profonda contraddizione con il programma su cui si è presentato agli elettori. Gli accordi militari con Israele (e l’Italia) sono un esempio, ma non certo l’unico. La polizia non è stata epurata minimamente, nonostante abbia fatto spesso soprusi e abbia manifestato idee di estrema destra (non a caso i seggi collocati in alcune caserme hanno visto in testa nelle elezioni la lista di Alba Dorata). Ma come farlo, se esercito e polizia sono sotto la protezione di Panagiotis Kammenos, ministro della difesa e difensore dei “valori” della retrograda chiesa ortodossa, oltre che padrino degli accordi con Israele? E non dipende certo solo da lui.

Se si fa un alleanza con un partito di centro-destra, qualcosa bisogna pur dargli. In primo luogo, riconoscergli la rappresentanza di determinati interessi. Anche tutti (tutti!) i governi “progressisti” dell’America Latina non hanno toccato minimamente esercito, polizie e magistratura. In Brasile, Argentina, Uruguay, Bolivia e a maggior ragione in Cile (che è proprio difficile definire progressista) non hanno intaccato il potere della gerarchia militare. L’esercito del Brasile, ad esempio, al di là dell’impunità assicurata per i crimini compiuti durante la dittatura militare, risponde più a Washington che a Brasilia, tanto è vero che gli Stati Uniti gli hanno ceduto la responsabilità a tutti i livelli della Minustah, il corpo di “pacificazione” sotto l’egida dell’ONU che mantiene sotto controllo la semicolonia di Haiti.

E in Italia (o in Grecia, dove Tsipras appena arrivato al governo ha detto di voler seguire l’esempio di Lula) si dimentica che dopo varie sconfitte elettorali dovute a brogli e a un uso scandaloso dei mass media da parte delle classi dominanti, la vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva è stata assicurata da accordi interclassisti con diversi partiti inequivocabilmente borghesi. Fin dalla prima presidenza di Lula, assicurato il consenso delle masse meno politicizzate con una politica assistenziale che ha dato qualcosa ai più poveri ma non ha intaccato i rapporti di forza nella società brasiliana, il governo è stato puntellato periodicamente con una campagna di acquisti di parlamentari di varia provenienza e dubbia moralità (il famoso mensalão), e ora, nonostante gli sforzi per arginare i procedimenti penali, rischia di essere travolto dalle continue rivelazioni di un uso sistematico della corruzione da parte del governo e dei suoi gioielli imprenditoriali: Petrobras, Odebrecht, ecc. Polizia ed esercito sono rimasti gli stessi, e continuano a essere usati contro chi protesta per le spese insensate per nuovi stadi costosissimi costruiti distruggendo interi quartieri di favelas. La magistratura, soprattutto in alcuni Stati del Brasile, ha quasi sempre chiuso gli occhi su assassinii di sindacalisti o militanti ambientalisti combattivi e incorruttibili.

Perfino in Venezuela, nonostante la provenienza dall’esercito di Hugo Chávez, una parte degli alti gradi continua ad essere poco sicura (e regolarmente ammansita con l’elargizione di privilegi e l’assegnazione di ben retribuite cariche nell’amministrazione dello Stato), tanto è vero che – al di là delle voci di possibili golpe, è emersa più volte la collaborazione dei militari con i pessimi servizi colombiani anche per catturare sul suolo venezuelano esponenti delle FARC o giornalisti scomodi. In Ecuador Correa scoprì che diversi esponenti militari collaboravano all’insaputa del governo con i commandos colombiani, consentendo loro incursioni sul territorio nazionale. In Bolivia ogni anno il presidente Evo Morales rende omaggio alla memoria di Ernesto Che Guevara sul luogo in cui fu assassinato, mentre nelle caserme si celebra la “grande vittoria” riportata dall’esercito boliviano inquadrato dagli Stati Uniti su quel piccolo nucleo di guerriglieri isolati, senza collegamenti, feriti e malati senza medicine. Chiaramente un avvertimento: noi siamo sempre qui.

In diversi di questi paesi, dal Venezuela all’Ecuador e al Brasile, oltre alla permanenza intatta del vecchio apparato repressivo, sono esplosi casi di magistrati che hanno interferito con la giustizia indigena. Insomma, la questione è che la scelta dei nuovi governi (anche se sostenuti da un consenso iniziale importante) è che l’apparato statale non si tocca, ed è quello che è, forgiato in anni di violenza e di potere incontrollato. E che magari (come è accaduto recentemente proprio in Grecia) ogni tanto fa balenare la possibilità di un colpo di Stato…

Il “realismo” di Tsipras, di Lula, di tanti altri “progressisti” finora è stato giustificato o approvato dalla maggior parte della pur ridotta sinistra italiana. Ma sarà sempre più difficile accettarlo, a mano a mano che, per effetto delle nuove imposizioni della Trojka, o delle difficoltà generate in tutta l’America Latina dalla contrazione degli acquisti da parte del colosso cinese, i sacrifici richiesti alle masse diventeranno più duri e insostenibili.

 

Foto: Zenino/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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