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Napolitano e lo ius soli

Che gli stranieri residenti in Italia concorrano fattivamente al progresso e alla sostenibilità dell’Italia è una verità ormai acquisita. Basta riflettere sull’apporto che gli immigrati danno in molti settori dell’economia e delle nostre vite quotidiane per comprendere come la loro presenza sia diventata insostituibile.

Immigrazione non vuol dire soltanto extracomunitari ai semafori, sulle spiagge, campi clandestini e centri d’accoglienza, problemi di integrazione e criminalità urbana, come la semplificazione mediatica, per mera propaganda politica ha imposto, nell’immaginario collettivo.

Immigrazione è sinonimo di risorsa soprattutto per uno stato come il nostro che vive da anni un drammatico calo demografico.

Se per assurdo oggi, scomparissero i nostri concittadini filippini, indiani, egiziani, rumeni ed ucraini, non un ristorante del centro di Roma, non un cantiere di Milano potrebbe rimanere aperto. Molte imprese del nord sarebbero costrette a chiudere o a delocalizzare, l’agricoltura vedrebbe dimezzati i suoi prodotti ed i suoi profitti, mentre il sistema previdenziale ed assistenziale nazionale andrebbero al collasso. Senza contare il contributo che la nuova imprenditoria degli immigrati, che di per sé è innovativa, fornisce pragmaticamente alla nostra economia.

La società italiana si fonda su diversi equilibri (più o meno precari, più o meno stabili): quello tra generazioni (che sembra scricchiolare), quello delle relazioni tra regioni del nord e quelle del sud (da molti anni in crisi) e l’equlibrio (forse il più importante, ricomparso negli ultimi 35 anni) che mette in relazione la massa di persone che lasciano l’Italia per cogliere le opportunità estere, e quella di coloro che giungono nel nostro paese spinti dalla necessità, colmando i vuoti occupazionali e produttivi.

Questi equilibri vanno mantenuti e regolati se non si vuole che le nostre comunità si disgreghino.

I tempi appaiono quindi maturi affinché si affronti nel paese e in Parlamento una discussione su una legge che conceda la cittadinanza italiana a tutti coloro che sono nati nel nostro paese anche se figli di immigrati (il cosiddetto ius soli) non in virtù della nazionalità dei genitori (ius sanguinis). Che ciò accada non è soltanto doveroso, ma anche lungimirante e costiuisce un segno di civiltà. Ha fatto bene Giorgio Napolitano a parlarne ieri in un’occasione pubblica, accendendo i riflettori sul problema e raccogliendo il consenso di molti partiti politici.

Non a caso le forze più conservatrici del paese, la Lega ma anche ampi settori del Pdl hanno alzato sul tema delle barricate ideologiche adducendo il fatto che le priorità del governo sarebbero altre, in primis l’economia.

Il mantenimento dello staus quo aiuta coloro che non vogliono farsi carico del cambiamento e coloro che della società italiana hanno una visione parziale.

I 4.570.317 stranieri, pari al 7,5% della popolazione totale italiana, che rappresentano un bacino enorme di consumatori e lavoratori, costituiscono di per sé una parte fondamentale della nostra economia, e attendono risposte. Non si possono più disattendere le aspettative di coloro a cui vengono riconosciuti soltanto doveri e pochissimi diritti.

Tra lo ius soli che vuole stabilire un elemento di civiltà nel nostro ordinamento e le istanze di una parte politica miope che opera solamente alimentando le paranoie di ampi strati della società, per meri tornaconti elettorali non si può che scegliere il primo.

L’Italia e l’Europa devono diventare ambienti sempre più equilibrati e organizzati. Con giustizia.

Un’Italia ancor più divisa, impaurita, difesa dalle ronde padane, regolata dalle gabbie salariali e previdenziali, chiusa in sé stessa, con i mari pattugliati ed i dazi alle frontiere, dilaniata dalle contraddizioni, e abitata da cittadini di seria A e di serie B va lasciata ad i sogni (o meglio agli incubi) dei leghisti. Noi, italiani, padani oppure immigrati abbiamo bisogno di altro. Stiamone certi.

 

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