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Islam radicale: neonazismo teocratico

Il dibattito è aperto.

Da più parti si discute se le carneficine avvengono per mano di terroristi-lupi più o meno “solitari” o per mano di psicopatici, più o meno schizzati o depressi.

Naturalmente la cosa più ovvia è che queste diatribe sono un modo come un altro per non affrontare il nodo storico, tragico quanto sanguinoso, che il mondo intero, con l’eccezione - per ora - dell’estremo oriente, sta attraversando. Ivi compreso il mondo islamico stesso, dicono le statistiche in modo assolutamente indiscutibile.

Che molti dei terroristi fossero profondamente disturbati o addirittura schizofrenici credo sia al di là di ogni dubbio; secondo uno studio francese circa il 10% dei foreign fighters lo è (o lo era); ma è altrettanto evidente che la loro malattia non è rimasta chiusa in se stessa, trovando magari le classiche cruente conclusioni all’interno della cerchia familiare, ma ha trovato un suo inserimento preciso nel disegno strategico di ampio respiro che altri, ben più lucidi e molto meno disposti al sacrificio personale, hanno pianificato e stanno perseguendo con pervicace costanza.

Corrispondentemente viene evidenziato, lo fa ad esempio Rossella Tercatin sul portale dell’ebraismo italiano Moked, un dibattito accademico circa la natura del terrorismo islamico: si tratta di radicalizzazione dell’islam o di islamizzazione del radicalismo?

Sembra una questione di lana caprina ed è invece il vero cuore del problema. Cerchiamo di capirlo con le parole di Olivier Roy, sia quelle pubblicate un anno fa da Internazionale dopo il doppio attacco a Charlie Hebdo e al negozio Cacher, sia quelle più recenti in un’intervista del Corriere in cui parla dell’attacco di Nizza:

L’“islamizzazione del radicalismo” indica l'origine dell'adesione ai dettami teocratici nella rabbia repressa dei giovani di origine araba, francesi, perlopiù maghrebina, di seconda o terza generazione, ma anche africana. E lo stesso discorso potrebbe valere per gli inglesi di origine prevalentemente pakistana.

Giovani che trovano nell’islam una propria identità “forte”, non necessariamente una fede da seguire o, tantomeno, da praticare.

L’identità islamica è tale da costituire un vero e proprio contraltare alla cultura dominante in Occidente; qualcosa che viene visto come “altro da sé” per motivi sociali più che religiosi. La causa jihadista sarebbe quindi una sirena estremamente seducente non solo per qualsiasi squinternato o emarginato del continente di cultura islamica, ma anche per tutti gli avversari del sistema, compresi i non arabi e non islamici, proprio perché è “l’unica davvero radicale sul mercato”.

Opinione diversa è quella che afferma una progressiva radicalizzazione dell’Islàm che avrebbe ri-trovato le sue radici in quella lettura wahabita del XVIII secolo, nata a sua volta per riaffermare le primitive origini “pure” dell’Islàm, contro ogni modernità.

Le due opinioni si affrontano come i classici galli nel pollaio, soprattutto in Francia dove i temi socio-filosofici assumono spesso la coloritura di un confronto culturale altamente narcisistico. Ma sono due opinioni che, alla fine, non sono davvero così contrastanti.

Sembrano al contrario convergenti verso una credibile sintesi.

La radicalizzazione dell’islam è evidente; in tutti i paesi dove si è votato in elezioni sufficientemente libere - Algeria, Tunisia, Egitto, Palestina, Turchia, Libano - i partiti islamisti hanno ottenuto il consenso della maggioranza popolare. E in tutti i paesi, esclusa la Tunisia, una qualche forma di colpo di stato ha cercato - a volte riuscendoci - di escluderli dal potere.

In Palestina il contrasto fra Hamas, espressione locale della Fratellanza Musulmana, e la storica ANP è arrivato allo scontro armato e alla sostanziale divisione delle aree di pertinenza: Hamas si è presa Gaza e l’ANP la West Bank, contribuendo a rendere impossibile una trattativa, su basi condivise, con il governo israeliano. Allo stesso modo il libanese 'partito di Dio', Hezbollah, si è di fatto arrogato il diritto ad armare una propria milizia ben più forte del legittimo esercito nazionale.

In Algeria ed Egitto i militari hanno preso il potere stroncando nel sangue i tentativi islamisti di mettere mano alle rispettive costituzioni. Nell’ex colonia francese la guerra civile che è derivata dal golpe ha lasciato sul terreno almeno 200mila vittime. In Egitto la repressione è tuttora durissima e le carceri sono piene; sappiamo in che condizioni. E il caso Regeni è emblematico di quello che succede laggiù.

Della Turchia conosciamo bene le reazioni spietate al fallito putsch, qualcosa che appare molto simile all'incendio del Reichstag, un attentato che di fatto fornì ai nazisti l'occasione perfetta per sospendere i diritti civili e la costituzione repubblicana, in "difesa dello stato e del popolo". Il governo turco, guidato dal partito di Erdogan, l’AKP, molto vicino anch’esso alla Fratellanza Musulmana, sta facendo le stesse cose, dopo aver pianificato con cura la strada da percorrere: ne parlavo già mesi fa.

L’estrema espressione della radicalizzazione islamista è ovviamente il Califfato di area siro-irachena con le sue diramazioni locali in Africa (Libia, Tunisia, Mali, Niger, Nigeria).

Ovunque nel mondo islamico, è palesemente in atto una strategia del terrore che mira a indebolire i governi, più o meno venuti a patti con la globalizzazione a guida occidentale, per favorirne la caduta e la radicalizzazione. 

Contemporaneamente abbiamo assistito ad una crescente attività islamista in Occidente.

Sia attentati che prendevano di mira singoli individui o istituzioni ebraiche, fatte passare ottusamente come la “logica” ricaduta del conflitto israelo-palestinese, in realtà nient'altro che una forma di antisemitismo malamente mascherato.

Sia terrore puro in metropolitane, ferrovie, luoghi di ritrovo comune o passeggiate a mare in cui l’etnia o la religione delle vittime non aveva più alcuna importanza. E molti infatti sono stati i morti di origine islamica ovunque, anche a Nizza.

In questi fatti il radicalismo assume la sua forma più spietata di nichilismo e l’islamizzazione ne è solo una copertura funzionale alla strategia globale pianificata altrove. Inutile cercare la “fede” degli attentatori; può esistere come può anche non esistere. Esattamente come la loro sanità mentale. L’importante è che, qualsiasi motivo sociale, politico o psicologico li muova, essi agiscano inserendosi nel Grande Meccanismo distruttore.

Islamizzazione del radicalismo e radicalizzazione dell’islam trovano quindi il loro punto di incontro e di fusione in una funzionalità univoca: determinare lo scontro proponendo un superamento nichilistico dello stato di cose attuale. È la rivoluzione anticapitalista rivista in senso teocratico che vuole riportare l'umanità (le donne in primis) ai fasti dell'oscurantismo medievale.

Chiunque abbia un minimo di conoscenze storiche può facilmente comprendere quanto di nazismo sia insito in questo processo e in questo progetto.

Il che non significa affatto condividere la cultura politica occidentale così com’è, né nella sua versione filosofico-illuministica né, tantomeno, nel suo versante economico del turbocapitalismo globalizzato; ma fra una modernità imperfetta ed un perfetto nazismo avrei pochi dubbi.

Se non altro per poter ancora scrivere quello che scrivo.

 

p.s. mentre completo questo articolo a Monaco di Baviera c'è stato un altro attentato. È ancora presto per capirne la matrice, quindi mi astengo da qualsiasi commento.

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