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Ipertrofia dell’io e intolleranza

Ipertrofia dell’io e intolleranza sono due facce dell’unica medaglia costituita dal relativismo del pensare, divenuto il massimo pregiudizio della specie umana (ma bisognerebbe dire umanoide in quanto gli esemplari della specie non accettano in sé stessi non solo l’idea del possibile individualismo etico ma lo stesso concetto di inviduo o di "io" o di egoità, che combattono con ogni loro forza in nome del "noi" del "collettivo" o del gruppo). Tale pregiudizio è analizzato scientificamente dal filosofo Rudolf Steiner nel suo libro "La filosofia della libertà", nel quale il concetto di esemplare della specie è ben distinto da quello di individuo, che per definizione si libera dai condizionamenti di essa.

Ipertrofia dell'io e intolleranza

Oggi le cose sono invece degenerate al punto che gli esemplari della specie sono accomunati da una speciale - appunto - caratteristica di tipo gregario, consistente nell’alzare la voce, nell’odiare e nell’insultare tutti coloro che non si conformano ai condizionamenti (razza, stirpe, popolo, famiglia, sesso maschile e femminile, ecc.) della specie stessa.
 
Non così l’individualità, la quale è dotata di pensiero sano e consapevole dell’universalità del pensare umano. L’individuo crede quindi nel diritto degli uomini e lo considera frutto di tale universalità.
 
Il giustizialista invece che fa? Crede che il pensiero sia debole.
 
Faccio alcuni esempi. In quanto individuo, io preferisco dieci colpevoli in libertà a un solo innocente in prigione. Ciò non significa che l’individuo sta dalla parte dei colpevoli, bensì che egli è piuttosto per i diritti di chi è accusato. In altre parole egli crede che qualcuno sia colpevole solo se la prova a suo carico sia oltre ogni ragionevole dubbio. Se invece la prova è a suo discarico egli non lo può giudicare colpevole.
 
La civiltà degli individui può essere detta dello Stato di diritto.
 
Per le culture autoritarie vale invece il contrario, dato che per gli esemplari della specie che sostengono il principio di autorità sono preferibili dieci innocenti in prigione a un solo colpevole in libertà. Questo tipo di attitudine o di abitudine mentale si chiama giustizialismo, e può essere detta dello Stato etico, oppure, sotto il profilo storico, barbarie o linciaggio. Infatti ciò non significa essere dalla parte della giustizia. Significa piuttosto essere contro i diritti dell’individuo.
 
Chi pratica il linciaggio non è dunque un individuo umano ma un mero esemplare della specie umana. Costui ha addirittura in abominio l’individuo (l’io è da lui creduto come sovrastruttura della materia, quindi come qualcosa che non ha realtà, dato che non si può percepire coi sensi materiali) in quanto per definizione l’individuo è colui che si libera dai condizionamenti della specie (che sono il collettivo, l’appartenenza ad un partito, ad una religione, ecc.). Questo praticante del linciaggio è un vero e proprio neogiacobino giustizialista, in quanto malato di pensiero debole, o in quanto privo del minimo giudizio critico. Dunque è assolutamente favorevole all’uso della carcerazione preventiva per estorcere la confessione (vedi la stragrande maggioranza dei media e dell’opinione pubblica da essi influenzata, nell’Italia degli anni di Tangentopoli).
 
Il sano di mente, fermo nella sua indipendenza di giudizio, è invece convinto che anche la giustizia sia una manifestazione dell’umana fallibilità.
 
Chi non ha tale fermezza è infermo.
 
Figlio della barbarie, l’infermo di mente non ha dubbi, convinto com’è nel suo conformismo, che la giustizia sia una rappresentazione dell’etica.
 
Nell’uomo sano, vale il principio illuminista: non condivido ciò che dici, ma mi batterò fino alla morte affinché tu abbia il diritto di dirlo. Sul terreno della giustizia ciò significa dare la parola anche a chi è accusato delle peggiori colpe affinché possa esprimere le proprie ragioni. L’uomo libero da pregiudizi possiede pertanto spirito di tolleranza e di ricerca della verità.
 
Nella barbarie, vale invece il principio opposto, cioè il principio oscurantista, dato che col credere nell’homo homini lupus (ogni uomo è un lupo per l’altro uomo) e nel pensiero debole (il pensare umano è soggettivo e perciò non ha alcun valore in sé) non si può credere che sia possibile pervenire alla verità di un fatto. E dunque: poiché non condivido ciò che dici, non voglio che tu abbia il diritto di dirlo. Ciò significa, sul terreno della giustizia, negare anche a chi è innocente di poter provare la propria estraneità all’accusa. Per il malato mentale giustizialista vige la preconcetta assunzione di una sola verità e lo spirito di intolleranza.
 
La differenza fra fermezza e infermità (o barbarie) non è ancora molto chiara a troppa gente, soprattutto a coloro che anelano alla reintroduzione della pena di morte nella Costituzione. Siamo pertanto in piena sindrome - di anacronistica e tragica memoria - mutuata da una concezione salvifica della giustizia di tipo escatologico, che poco si addice al senso della misura che dovrebbe possedere colui che emette per professione il suo giudizio (giudice, magistrato).
 
Recentemente ho caratterizzato la massima forma di infermità mentale nel portatore di ipertrofia dell’ego, personificandola in Supernoise, esemplare della specie in cui l’infermità mentale è divenuta appunto mania di grandezza, super debolezza del pensiero, e super intolleranza nei confronti dei propri simili che non la pensano come lui.
 
Super pilotato dal suo partito di sinistra o di destra, il fenomeno è specifico di oggi, dato che questa speciale “ipertrofia dell’io” ha superato di gran lunga ogni possibile narcisismo, ed è percepibile solo a pochi: soprattutto a persone sensibili, poeti, artisti del pensare. Dunque non è di certo l’uomo della specie ad accorgersene, ma l’individuo, che per definizione - come sopra accennato - si emancipa dai condizionamenti della specie.
 
L’egocentrismo patologico si estende così a vaste comunità e popoli, dunque all’organismo sociale di tutto il pianeta, tutto l’organismo sociale, generando disarmonia, disordini e guerre, secondo una molto semplice dinamica: alcuni sedicenti filosofi o eroi o grandi uomini, o grandi nazioni, o grandi complessi economici, religiosi, politici (in realtà piccolissimi e mediocri per cuore e cervello) si credono illuminati mentre sono solo abbagliati da dogmi ed agiscono esclusivamente per la spavalda e sfacciata magnificazione del proprio io.
 
Quando insomma ci si trova a ragionare (anzi a non poter ragionare) con esemplari della specie umana che non ne vogliono sapere di diventare individui, o con popolazioni “elette” che appartengono a qualcuna di queste categorie gonfie del proprio ego o di un “io collettivo” etnico o religioso, si è sempre di fronte ad una situazione psicopatologica assai difficile da sanare, perché questa speciale “sindrome borderline socio-politica” è una forma paranoide costituita appunto da un lato da intolleranza (politico-religiosa) e dall’altro di “ipertrofia dell’io” estesa a interi gruppi sociali (cfr. per il rapporto fra ipertrofia dell’ego e intolleranza gli scritti psichiatrici di Gillo Dorfles).
 
Questo stato delirante, che può essere fatto risalire a una fanatica esaltazione del proprio ego (personale o comunitario), pone l’individuo sano (per esempio colui che è ancora in grado di commuoversi di fronte ad opere come “La fonte meravigliosa” di Ayin Rand) a chiedersi: in quale modo il sano di mente, fermo nell’universalità del pensare può convincere l’infermo, cioè il portatore di pensiero debole, il politico, il sociologo mentecattocomunista o un intero popolo circa i pericolosissimi errori di giudizio della sindrome psichica di cui è vittima? Non saranno certo le buone parole e tanto meno le minacce a poter correggere una mentalità patologicamente alterata. E d’altra parte non si può fare nulla con i portatori di questa mentalità, dato che essa non saprà e/o non vorrà per nulla risalire alle origini stesse del pensiero delirante, all’ipertrofia dell’ego o a un estremo narcisismo unito ad estrema intolleranza. Per dirla con una battuta: come si fa a dire al cretino di non fare cretino? È impossibile. Oppure ancora: come fa il cervello a studiare il prione (della mucca pazza) se il prione ha già invaso il cervello? È difficile.
 
Credo che l’unica risposta sia informare i sani, cercando di fare un cerchio intorno ai malati. Quando nel 1999 mi occupavo di psichiatria, d’accordo col l’equipe medica di un istituto per gravi (malati psichiatrici organici) massimamente pericolosi, ricordo che per non legarli al letto o per non usare camicie di forza, decidemmo di formare attorno a loro un cerchio mobile fatto di infermieri, educatori ed altro personale dell’istituto, in modo da lasciare il malato libero di dare i suoi pugni nell’aria fino a stancarlo con le sue stesse forze distruttive. Credo che sia questa l’unica situazione da attuare per il tipo supernoise che è un altro matto furioso ma a piede libero.
 
L’humus della "D.O.D.I. & C.", acrostico da me inventato in questi anni per caratterizzare la “Compagnia Dove Ogni Deficiente Impera", è appunto l’ambito dell’intolleranza, a sua volta profetizzato da George Orwell nel suo romanzo “1984”, in cui dominano gli odii dei sudditi schiavi, in guerra fra di loro (la cosiddetta guerra dei poveri).
 
Cercando di analizzare queste dinamiche di infermità mentale si scopre sempre più la costante dell’uomo aggruppato o gregario, quello che secondo Rita Levi Montalcini usa solo il cervello rettiliano o limbico, così che la neocorteccia si atrofizza sempre più generando l’uomo-bestia (bestialismo materialistico pratico, che è tutt’altro che la categoria surreale inventata dal comico Bracardi col detto "L’uomo è una bestia", ma è una realtà di oggi).
 
L’impazzimento dell’uomo, culturalmente cocainizzato ha infatti il suo prototipo in Nietzsche ed il suo giustificatore in Freud, il quale scrive addirittura un libro sulla coca. Il nichilismo chiassoso del nerd o dello sfigato supernoise è in fondo proprio quel non-essere, o non ente, dunque quel ni-ente, che strangola l’uomo di oggi, facendone un pericoloso gregario dipendente dal branco, un tossico dipendente dalla materia, ed un cretino. Ecco perché non si può minimamente pensare di dirglielo ed occorre fargli solo vuoto intorno

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