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Io mangio con don Raffaé

Rafa Benitez, l'allenatore del Napoli, trasmette il suo carisma alla squadra azzurra.
Una nuova mentalità europea ed un sano divertimento, perché nel calcio - come in cucina - vince la semplicità.
E allora invito don Raffaé a casa mia per il pranzo domenicale...

Avrei potuto scrivere questo post dopo le due trionfali bastonate del Ciuccio alla Zebra ma sarebbe stato come segnare a porta vuota, troppo banale. Invece l’elogio al godereccio Rafa Benitez lo pubblico dopo il digiuno di Parma e l’inevitabile pioggia di polpette sul nostro pacioccone mister.

Sarà per quella faccia a forma di torta ripiena, il fisico sedentario indice dell’amore per la buona cucina, il sorriso beffardo di chi è a dieta perenne ma ha appena rubato un cucchiaio di Nutella, quell’aria furba da buongustaio impertinente…a me lo spagnolo piace.

Perché una vera squadra assomiglia al suo allenatore ed il Napoli e don Raffaé sono come la salsiccia con i friarielli, una ricetta perfetta. Un gioco pepato e mai insipido, a tratti dolce ma sempre spettacolare con l’inevitabile peccato di ingordigia che spinge gli azzurri a commettere errori grossolani. Ma Hamsik e compagni garantiscono l’abbuffata: i gol (fatti e subiti) si sfornano come pizze calde, lo show segue un menù delicato ed appagante e sotto l’attenta direzione dello chef di sala che prende appunti, registra gli ingredienti ed incita i suoi ragazzi: gli avversari vengono cotti a puntino.

Al novantesimo don Raffaé, inzuppato di sudore come un babà al rum, si presenta sazio davanti le telecamere: con le guance rosso fragola risponde alle perfide domande dei giornalisti avari di scoop e con l’intelligenza tipica di colui che viaggia ed apprezza la cultura dei popoli respinge le provinciali osservazioni nostrane e ci ricorda che il calcio è un gioco: a volte si vince, spesso si perde ma l’importante non è il risultato bensì conservare la propria identità. Sempre. Indipendentemente da chi hai dall’altra parte del campo.

E allora mi spingo oltre ed invito ufficialmente Benitez a casa mia per un pranzo napoletano.
Non rimarrà deluso perché io la penso come lui: la bellezza del calcio è nella sua semplicità, come un piatto di spaghetti al pomodoro.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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