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 Home page > Tribuna Libera > Io amico di Impastato vi dico perché Peppino fa sempre notizia

Io amico di Impastato vi dico perché Peppino fa sempre notizia

Ormai tutto quello che riguarda Peppino fa notizia. Il procuratore aggiunto Ingroia ed il giudice Francesco Del Bene hanno riaperto le indagini, con l’obiettivo di individuare qualcuno dei responsabili del depistaggio fatto dopo la morte di Peppino e qualche altro elemento trascurato nel contesto delle indagini di allora.

Mesi fa è venuta fuori la notizia che negli scantinati del Palazzo di Giustizia di Palermo ci fossero ancora sacchi contenenti materiale sequestrato nella casa di Peppino Impastato nel giorno dopo la sua morte, ma di fatto non è stato trovato niente e c’è da dubitare che qualcosa possa essere trovato.

Adesso viene fuori il ritrovamento di una persona, tal Provvidenza Vitale, che era stata data per emigrata negli Stati Uniti e che invece non si era mai spostata da Terrasini: costei era la casellante in servizio, la sera del l’8 maggio 1978, in un casello ferroviario ubicato a circa cinquecento metri dal posto in cui venne ucciso Peppino Impastato.

A suo tempo, nel dicembre 1978, a nome della redazione di Radio Aut, inviai al giudice Rocco Chinnici un dettagliato documento nel quale si facevano rilevare tutta una serie di indagini che avrebbero dovuto essere fatte e non erano state fatte. Al punto 4 del documento era scritto: “Il casello ferroviario dista circa 500 metri dal luogo dell’esplosione: come mai il casellante non ha sentito niente? Riteniamo opportuno sentire la versione di costui e, se fosse necessario, ripetere l’esplosione nello stesso posto, onde accertarsi di eventuale falsa testimonianza”.

Il documento si può leggere a pag. 219 del mio libro “Peppino Impastato, una vita contro la mafia”, Rubbettino editore. La pista venne poi tralasciata, in quanto non influente ai fini dell’indagine. In verità la signora Vitale, che oggi ha 88 anni, anche nell’ipotesi che avesse ammesso di avere sentito l’esplosione, non avrebbe potuto aggiungere altro.

Pertanto il ritrovamento di questa donna è una notizia, nel senso che è stata fatta una ricerca molto più attenta di quella che non era stata fatta a suo tempo dagli investigatori, ma non aggiunge nulla a quanto risaputo. Il sostituto Del Bene ha anche interrogato Andrea Bartolotta e lo scrivente Salvo Vitale.

Personalmente ho chiesto al giudice di indagare sulle attività neofasciste del ’78, sulle manovre relative a campi di addestramento paramilitare fatti a Menfi, cui parteciparono alcuni giovani di Cinisi e Terrasini, sulle strane manovre di Gladio, che aveva un aeroporto segreto nella zona di Castelluzzo, sulla pista individuata dal Procuratore Ignazio De Francisci nel 1991, riguardante la deposizione del neofascista Angelo Izzo, il quale parlava del coinvolgimento, nell’omicidio di Peppino, di elementi dell’estrema destra “e in particolare di un certo Miranda detto “Il nano”.

Izzo avrebbe raccontato la cosa all’altro noto neofascista Pierluigi Concutelli, il quale invece, in sede processuale, ha negato. Il Miranda non è mai stato interrogato, ma si tratta di un noto personaggio che, qualche anno fa, è stato candidato alla Provincia di Palermo nella lista Fiamma tricolore. Nella sua sentenza di chiusura delle indagini il giudice De Francisci ritenne inattendibile quella testimonianza. (la sentenza è pubblicata nel mio libro “Nel cuore dei coralli", pag. 305-307). 

L’articolo apparso il 20 dicembre su Il Fatto Quotidiano a firma Giuseppe Pipitone contiene diverse inesattezze e, tra tutte, quella che gli assassini di Peppino Impastato siano ancora senza volto. Come dichiarato dal pentito Salvatore Palazzolo, gli assassini di Peppino Impastato furono Francesco Di Trapani, Nino Badalamenti e un certo Salvatore Palazzolo, detto Turiddazzu, omonimo del pentito.

La posizione di Giuseppe Finazzo, anche lui tra i possibili omicidi, venne derubricata dal processo, in quanto costui era deceduto, ucciso dai corleonesi il 20 dicembre 1981. Turiddazzu invece non è stato mai interrogato, in quanto non si sono trovati altri riscontri che confermassero le dichiarazioni del pentito.

E infine una nota riguardante la strage della casermetta di Alcamo Marina, avvenuta il 27 novembre 1976, quando vennero uccisi i carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, Per il duplice omicidio furono condannati quattro giovani, Giuseppe Vesco, Gaetano Santangelo, Giuseppe Gulotta e Vincenzo Ferrantelli. Vesco, accusato di essere un terrorista, venne trovato morto in carcere, senza che si scoprisse la causa della morte, mentre agli altri tre venne estorta, forse con la forza, una confessione poi rivelatasi falsa.

Attualmente le indagini hanno chiarito che costoro non c’entravano niente, così come non c’entravano i terroristi, ma che, con ogni probabilità si trattò di un delitto di mafia. In quella circostanza a casa di Peppino e di qualche altro elemento dell’estrema sinistra venne fatta una perquisizione assolutamente inutile e provocatoria. Per quel che ci consta, Peppino non stava avviando alcuna particolare indagine sul fatto, poiché se ne stavano occupando i compagni di Castellammare del Golfo.

Discutibile anche, nel citato articolo, l’affermazione che la casellante sia la “testimone chiave del processo”. Di quale processo? E poi, cosa potrebbe testimoniare la povera vecchietta? Forse che dormiva e non ha sentito niente, o, tuttalpiù, che non ricorda.

In conclusione non possiamo non apprezzare lo sforzo dei magistrati fare chiarezza su alcune vicende oscure dell’omicidio di Peppino, ma dubitiamo che si possano riuscire a portare sul banco degli imputati tutta una serie di responsabili, alcuni dei quali oggi scomparsi, altri promossi ad alte cariche, a partire dal Generale Subranni, al Maresciallo Travali, al carabiniere Carmelo Canale, all’allora pretore di Carini Trizzino, al giudice Signorino, ai giudici Scozzari, Pizzillo - nei cui confronti il giudice Chinnici, nel suo diario scrive delle cose terribili - al Giudice Gaetano Martorana e a tutta una serie di personaggi di cui sono state rilevate le omissioni, l’arbitrio e, in taluni casi la malafede nel condurre le indagini.

Ci farebbe più piacere che invece di parlare del “caso Impastato” si parlasse di Peppino Impastato e delle sue idee.

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