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Intorno alle “amazzoni di Gheddafi”…

La sottile linea rossa ha compiuto il suo tragitto inesorabilmente, fino alla fine, e in un attimo si è dissolta, sparita.
 
Il video di YouTube è finito già da un po’. La reazione è la stessa suscitata dalla notizia appresa dalla televisione e dal giornale: lo sguardo rimane fisso lì dove prima guardava la serie di ragazze (tra)vestite di bianco e nero per l’occasione. Quelle ragazze che davanti alle telecamere assumono, immancabilmente, un’aria allo stesso tempo greve e frivola, timorosa e spavalda.
 
Quelle ragazze che, a testa bassa, scendono dai pullman come chi scende le scale di un tribunale senza poter dire nulla. Alcune, invece, si concedono ai giornalisti: alzano la testa e ostentano una sicurezza imposta. Purché nessuno pensi che non abbiano la situazione sotto controllo, si mostrano consapevoli e partecipi. Ciononostante tradiscono un senso di dignità precario.
 
Perché è di precariato della dignità che qui si parla.
 
Vorrei dirlo alla ragazza che nel ricevere la proposta ha accettato perché sarebbe stato un contributo ai suoi studi universitari.
 
Vorrei dirlo alla ragazza che ci è rimasta male quando ha saputo che non poteva pubblicare le foto dell’evento su Facebook, ma che si è risollevata quando ha constatato una certa soddisfazione nel fare la misteriosa davanti alle telecamere.
 
Vorrei dirlo anche alla ragazza che prima di accettare ha cercato su Wikipedia la voce “Gheddafi”.
 
Non mancherei di dirlo alla ragazza che non abita vicino a Roma e che oltre al rimborso spese sperava in qualcos’altro, così finalmente potrà rifarsi il seno.
 
E anche alla ragazza che non vedeva l’ora di vedere Berlusconi dopo quella volta in piazza; a quella che ha trovato il colonnello un uomo piacevolissimo e a quella che ha provato molto disagio nell’ascoltare certi discorsi.
 
A loro e a tutte le altre vorrei dire di vivere serene, di non sprecare le proprie energie nel cercare di apparire come donne dotate di autonomia nel “mondo che conta”. Rende il tutto solo più grottesco.
 
Ogni tentativo di caratterizzazione stride con il contesto. Non sono questi i luoghi in cui poter affermare la propria individualità, perché la scena di cinquecento ragazze è uguale a una scena vuota.
 
Care ragazze, non prendete certi articoli o certi commenti sul personale, perché è proprio di un io che mancate ed è lo stare in massa sotto gli occhi di tutti che non fa giustizia a te studentessa o a te aspirante opinionista di moda. In fondo, quando volete convincerci del vostro entusiasmo, siete in conflitto con il vostro stesso compito: apparire, esserci. Invece accettatelo e portate il rimborso spese a casa.
 
Cari giornalisti, in verità avrei anche una cosa da dire a voi: evitate di chiamarle amazzoni. Confondete loro e chi si accorge che non si tratta di guerriere, ma dell’ennesima consegna delle armi

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