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Intervista a Salvatore Borsellino: spero che le cose cambino

Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, ha fondato il Movimento delle Agende Rosse, formato da cittadini di ogni età che chiedono allo stato verità sulla strage di via D’Amelio, avvenuta il 19 luglio 1992, in cui trovarono la morte il fratello e gli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Dopo l’esplosione della bomba, dalla macchina ancora in fiamme, è stata trafugata dalla borsa di pelle del magistrato, la sua agenda rossa, in cui il giudice annotava, tra le varie cose, le testimonianze dei collaboratori di giustizia sui rapporti tra Mafia e personaggi delle Istituzioni. Salvatore Borsellino, insieme ad alcuni familiari delle vittime della scorta, in occasione di un incontro organizzato dal Movimento Agende Rosse della Sardegna e dall’associazione “Legal-mente” di Lotzorai, è arrivato in Ogliastra a gridare la sua voglia di verità e giustizia.
 
Trattativa Stato-Mafia. Improvvisamente uomini delle Istituzioni ritrovano la memoria a distanza di quasi 20 anni. Lei, spesso passando per pazzo, ha sempre sostenuto che suo fratello sia stato ammazzato proprio per essersi opposto a questa trattativa. Cosa pensa oggi che la questa ipotesi è sempre più reale?
A me non interessa essere preso per pazzo, perché bisogna vedere chi sono i pazzi e da che parte stanno. Da un lato dovrei essere soddisfatto del fatto che finalmente sta venendo fuori l’esistenza di questa trattativa, che ho sempre sostenuto essere avvenuta. Di più, sostengo che mio fratello sia stato ucciso proprio per essersi opposto a questa contrattazione. Quello che veramente mi lascia l’amaro in bocca è che oggi, finalmente, ci sono personaggi delle Istituzioni che ne stanno parlando, a vent’anni di distanza, e stanno iniziando ad ammetterne l’esistenza. Tutto semplicemente perché un mafioso, come Gaspare Spatuzza, anche se oggi collaboratore di giustizia, e il figlio di un mafioso, come Massimo Ciancimino, hanno svelato l’esistenza di questa trattativa. E in più hanno rivelato che il terminale istituzionale di questa trattativa era proprio quel Nicola Mancino che io, da anni, invito a dire quello che veramente sa su questa faccenda, e cosa è successo il 1 luglio nello studio del Viminale. Il giorno sicuramente ha incontrato Paolo Borsellino, come testimonia l’agenda grigia di mio fratello in cui quel nome è scritto a chiare lettere. Mi lascia veramente l’amaro in bocca che solo oggi queste persone comincino a ricordare. E mi chiedo anche perché queste persone parlino soltanto ora. Credo che non avrebbero potuto parlare della trattativa nel ’92, nel ’93, o negli anni immediatamente successivi all’assassinio di Paolo, perché allora ci sarebbe stata una rivolta da parte della coscienza civile. Se a quel tempo qualcuno avesse osato dire che lo Stato aveva trattato con la Mafia, quella mafia che aveva ucciso gli elementi migliori, come Paolo e Giovanni Falcone, quelle persone sarebbero state messe alla gogna, additate al pubblico disprezzo. È per questo che allora hanno taciuto. Adesso, a vent’anni di distanza, purtroppo ne possono parlare senza che la gente reagisca come dovrebbe. Perché oggi, a fronte di queste persone, Conso, Liliana Ferraro, Martelli, Violante, lo stesso Mancino, che parlano di questa trattativa, la reazione della gente non è assolutamente adeguata a quella che è l’enormità di questa affermazione, ovvero che lo Stato abbia trattato con l’Anti-Stato. Evidentemente oggi, quella coscienza che allora era così sveglia nella persone adulte del nostro Paese, non c’è più. Quelle persone ora sono così assuefatte che non reagiscono. Per fortuna esiste una larga fascia di popolazione in Italia, che è quella dei giovani, che davanti queste cose ancora si indigna, reagisce e continua a combattere.
 
È di questi giorni la notizia che l’avvocato di Paolo Siliani, ferito nella strage di via dei Georgofili, pensa di opporsi alla richiesta di archiviazione dell’inchiesta in cui sono indagati l’Autore 1 e l’Autore 2 (allora Berlusconi e Dell’Utri), già archiviata nel ’98.
Purtroppo questo avvocato cerca di fare quello che tutti dovremmo. Non dovrebbe essere solo quel legale a protestare contro questa ennesima archiviazione sui mandanti occulti delle stragi, ma dovremmo essere tutti a chiedere a gran voce la verità su quello che è successo. Perché fino a quando quelle stragi saranno attribuite a dei mafiosi, ovvero il braccio armato della Mafia, e non a chi veramente voleva la morte di Paolo e di Giovanni, allora forse la verità non verrà fuori. Potrà emergere una verità parziale, quella della mano che ha ucciso, ma i nomi di chi quella mano l’hanno ispirata purtroppo non verranno mai fuori. Credo che sia questione di tempo, vedo che le cose in qualche maniera stanno andando avanti. Noto che finalmente ci sono dei magistrati coraggiosi, alla Procura di Caltanissetta, a quella di Palermo, di Firenze, che stanno cercando di arrivare alla verità, anche se, come dice Antonio Ingroia, siamo arrivati alla sua anticamera. C’è ancora una porta che siamo riusciti solo a socchiudere, e se tutti gli italiani vorranno aprirla forse ci riusciremo. Purtroppo non tutti questa verità la vogliono, c’è ancora troppa gente che guarda a quelle storie come vecchie, così come ha detto ignominiosamente il Presidente del Consiglio quando ha affermato che ci sono procure che vogliono riaprire delle indagini su delle vecchie storie. Lui chiama vecchie storie la strage di via D’Amelio, la strage di via dei Georgofili e le altre, per le quali ancora il sangue non si è asciugato e non si asciugherà fin quando non verrà fatta giustizia. Sfortunatamente c’è ancora una parte di italiani che la pensa come lui.
 
Spatuzza. Dopo un anno che, appigliandosi a cavilli, non gli era stata concessa la protezione, la settimana scorsa il Viminale ha deciso di proteggerlo. Prima pareva si fosse lanciato un chiaro segnale a coloro che volevano collaborare con i giudici, ovvero che chi tocca certi fili e certe persone non avrebbe avuto il sostegno dello Stato.
Penso che quello fosse certamente un segnale, ma la reazione di tanti, come per esempio l’Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, che è una delle più combattive, ma anche il Movimento delle Agende Rosse, e di tutti coloro che si muovono contro queste cose, ha portato a una retromarcia. Si è dovuto rimediare a quello che era non un errore, ma una scelta che voleva spingere le cose dove si voleva andassero. Hanno cercato di fermare i collaboratori di giustizia, perché questi, come dicevano Paolo e Giovanni, sono la vera arma con la quale si può arrivare a scoprire non tanto i mafiosi, con cui possono bastare altri metodi, ma chi è colluso con la Mafia, chi con la Mafia collabora, ed è questo che fa più paura a certi personaggi della politica e delle Istituzioni che evidentemente hanno qualcosa da nascondere. Di più. In questa maniera, non si fa che pagare una delle cambiali che è stata contratta nel momento della trattativa, che era contenuta nel Papello: quella di eliminare il pericolo dei collaboratori, oltre che eliminare il 41 bis. Se andiamo a vedere i provvedimenti legislativi che si cercano di attuare, sono tutte cose contenute nel Papello, e il resto contenuto nel manifesto di Rinascita Democratica della P2. Queste sono le due bibbie con le quali va avanti il nostro Paese.
 
Arriviamo a Massimo Ciancimino. Venerdì sera il Tg1 riporta una notizia, peraltro già vecchia, in cui si parla di un intercettazione in cui Ciancimino jr dice al commercialista Girolamo Strangi: “Io negli uffici della Procura di Palermo faccio quello che minchia voglio”, aggiungendo di aver avuto accesso ai dati del Viminale attraverso il computer del Procuratore Ingroia, in sua assenza. È un nuovo modo per attaccare i magistrati coinvolti nelle inchieste e delegittimarli?
Sì, questa è una storia vecchia, risaltata fuori l’altro giorno. Io ho una speranza, cioè che sia saltata di nuovo fuori ora perché evidentemente qualcuno ha paura che dalla Procura di Palermo e di Caltanissetta, come spero vivamente che sia, stiano uscendo delle notizie sulla conclusione delle indagini che sono state portate avanti, e di questa conclusione c’è qualcuno che ha una grandissima paura. Quindi in extremis, e giusto nel momento in cui Ingroia è all’estero, cercano di rispolverare quell’attacco che era stato già sferrato nei confronti della Procura di Palermo, minacciando ispezioni per delle parole che non sono altro quelle di un millantatore come Massimo Ciancimino. Bisogna capire chi è questo personaggio. Ciancimino è una persona che sta cercando di ottenere dei vantaggi collaborando con la giustizia, un personaggio che addirittura suo padre legava al letto con la catena visto la maniera in cui viveva, tra donne e belle macchine: non è che il bisogno di questi vizi e di questi soldi uno lo perde improvvisamente. Quindi di Ciancimino non bisogna prendere tutto o buttare tutto. Bisogna prendere ciò che effettivamente è utile e non tutto ciò che dice come oro colato. Si devono sottoporre le sue affermazioni al vaglio di altre indagini, al riscontro con le rivelazioni di altri collaboratori di giustizia, ed è questo che stanno facendo i magistrati di Palermo che in queste cose sono sicuramente molto bravi. Si cerca di fermarli perché si ha paura di loro, e spero che l’opinione pubblica intervenga in questo senso e si eviti quella che sarebbe una iattura per il nostro Paese: cioè che a un passo dalla verità, ancora una volta, si impedisca che questa venga a galla. Noi delle Agende Rosse lo facciamo con i nostri Comitati di scorta civica che vogliono fare da scorta ideale a questi magistrati. È necessario però che ciò venga fatto non solo dai giovani che fanno parte di queste scorte. C’è bisogno che una larga fascia della popolazione italiana, se vuole arrivare alla verità, faccia lo stesso. Io mi auguro che questo succeda. Se non dovesse accadere vuol dire che ci sono troppi italiani che preferiscono continuare a vivere in questo “Paese di merda”, come l’ha chiamato il Presidente Berlusconi. Il nostro non è un Paese di merda, c’è qualcuno che lo fa diventare così. Qualcuno a cui vivere in un paese che si può chiamare di merda evidentemente sta bene. Spero che le cose in Italia cambino e che, alla fine, alla verità e alla giustizia si arrivi nonostante tutto. 

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