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"Nomi, cognomi e infami". Intervista a Giulio Cavalli

Intervista allo scrittore, attore e regista di Lodi Giulio Cavalli, sotto scorta per la minaccia mafiosa, dopo l’uscita del suo ultimo libro Nomi, cognomi e infami.

«Un libro prezioso». È in questo modo che Giancarlo Caselli definisce questo lavoro nella sua prefazione. “Nomi, cognomi e infami” è l’ultima creazione letteraria di Giulio Cavalli, che l’autore sta presentando in giro per il Paese. E' veramente un libro prezioso, un succedersi di storie di uomini e donne che hanno dato e danno il loro contributo nella lotta alla Mafia.
 
Rosario Crocetta, «che arriva con il passo quasi arabo e la scorta come uno scialle». I ragazzi di Addiopizzo, «movimento culturale che si è infiltrato nell’economia mafiosa». Bruno Caccia e il suo sorriso, spento per sempre il 26 giugno del 1983, una domenica di inizio estate mentre portava a spasso il suo cane, dopo aver abbandonato per un attimo la scorta per due minuti bastardi di libertà. La storia di don Peppe Diana, quella di «un prete di provincia che non ha fatto in tempo a farsi uomo c’è la parola, la lotta quotidiana alla Camorra, la morte che vale una medaglia e, per finire, l’isolamento. Una di quelle storie che mischia la bellezza al fango, le pallottole ai vangeli e la memoria alla delazione». E ancora Pippo Fava, «un giornalista, un drammaturgo, uno scrittore e un politico anche senza scranno». Peppino Impastato, Giorgio Ambrosoli e una lunga «agonia dei giusti che possono essere raccontati solo dopo la pistola».
 
Una perla è quella favola triste narrata nella “Lettera a mio figlio”: «Una storia di quelle che non dormono, una storia che a guardarla in fretta, di passaggio, o da lontano ha la gonna della favola per un giro beffardo di sensi unici nel rione del destino. Una favola con i buoni, un re, la guerra e addirittura un castello». È una storia che comincia da un buco: «un buco e Palermo che gocciola tutto intorno». Via D’Amelio raccontata a un bambino. Un nodo stringe un po’ il cuore. Sì. Perché «è una favola da rendere, restituire perché ce l’hanno venduta scassata: ci hanno venduto una favola dove mancano i cattivi». Via D’Amelio come una favola «di quelle che alla sera, quando si smette di raccontarle, ti fanno venire voglia di tenere la luce accesa».
 
Insomma un inno alla parola e alla denuncia, al coraggio e alla gioia del riscatto. Perché «la battaglia della parola contro le mafie è la stessa alla quale incitavano negli incontri con le scuole Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è la stessa che ha lasciato ferite sanguinanti grazie alla penna di Roberto Saviano, Rosaria Capacchione, Sergio Nazzaro e tanti altri scrittori al fronte meno conosciuti. La battaglia della parola è il nervo scoperto degli “uomini d’onore” che nel corso degli anni hanno imparato benissimo a condizionare pezzi di politica, pezzi di informazione e pezzi di uomini di Legge, ma sono imbelli di fronte all’esercizio del pensiero, della bellezza e del raccontare».
 
Sentiamo l’attore lodigiano mentre si avvia in direzione Sicilia per la presentazione del suo libro, dove toccherà Catania, Messina e Palermo.
 
Come sta andando la presentazione del libro in giro per l’Italia? Trova molto interesse e trova molte differenze da regione a regione, da zona a zona?

La presentazione direi che va molto bene dappertutto, quindi su questo siamo assolutamente tranquilli.
 
Questa settimana lei è in Sicilia. E’ proprio questo uno dei luoghi da cui parte nel suo libro. La prima delle storie che racconta è quella di Rosario Crocetta e Gela. Perché questa scelta?
 
In realtà è da tempo che frequento la Sicilia ed è soprattutto grazie agli amici siciliani che ho conosciuto sia il fenomeno, e soprattutto ho ricevuto vicinanza oltre che informazioni eccetera.
 
Il libro è una catena che ci racconta di persone che in vari modi hanno combattuto o combattono contro la criminalità organizzata, eroi vivi e morti, più o meno noti all’opinione pubblica. Sono quelli che lei ha definito gli amici che ci pensano prima di girare le chiavi nella macchina. Chi sono quelli che tra tutti la hanno segnata maggiormente?
 
Sarebbe ingeneroso e ingiusto fare una classifica tra tutte le possibilità da citare. Sicuramente credo Rosario Crocetta, per vicinanza, ma anche Pino Maniaci, o Carmelo Di Gesaro (Associazione Fascio e Martello, ndr), le associazioni di ragazzi, come quelli di Addiopizzo, di Libera. Io credo che ci siano tante battaglie, che ci sia tanta gente che combatte al fronte, quindi sarebbe ingiusto e sbagliato sostenerne alcuni piuttosto che altri. Ognuno lo fa secondo la propria funzione, c’è chi si ritrova per dei casi diversi in prima linea, chi magari si trova più nelle retrovie, ognuno con il proprio lavoro, e poi inevitabilmente ci si ritrova comunque tutti inseriti in una battaglia che è fondamentale e che ha il suo senso.
 
Perché il titolo “Nomi, cognomi e infami”?

Perché in Italia ci siamo abituati a parlare tantissimo di mafia senza fare i nomi, ed è una cattiva abitudine. Perché vanno fatti i nomi delle vittime, vanno fatti i nomi degli eroi, giustamente, ma non bisogna regalare l’oblio ai carnefici. Allora, siccome questo è un Paese che è raccontato nelle carte giudiziarie, mi sembrava giusto e mi sembra giusto fare in modo che loro non si possano sentire protetti.
 
Cosa pensa degli attacchi a Saviano e alla querelle col Ministro Maroni di questi giorni?
 
Vabbé, quella è una situazione normale. Io, sulla questione della Lega, penso che ad oggi nelle indagini giudiziarie essa non abbia tutto questo grande ruolo, soprattutto nelle vicende di mafia in Lombardia. Ma secondo me finché banalizziamo, finché ne facciamo un uso strumentale, finalizzato alla politica, diventa sempre una cosa con poco senso. Non si tratta di capire qual è il partito buono e qual è il partito cattivo. Si tratta di pretendere che non possano esistere politici vicino alla mafia, che i politici non possano essere così avvicinabili dalle cosche.
 
A proposito di politica e mafia: l’altro giorno sono state rese note le motivazioni della sentenza Dell’Utri in cui il senatore figura nuovamente come tramite tra Cosa Nostra e il Premier. E sempre in questo periodo stanno continuando ad emergere altre novità sulla presunta trattativa tra Mafia e Stato e sulla strage di via D’Amelio, con esponenti istituzionali che ricordano all’improvviso, negano, si smentiscono a vicenda. Pensa che queste inchieste porteranno alla verità, finalmente, o finiranno come tutte quelle italiane, senza un colpevole né mandanti?
 
Ma molte verità in Italia sono state accertate, anzi non son mica poche. Direi che dobbiamo essere più che soddisfatti, ad oggi, nei limiti di procure che lavorano nonostante le condizioni economiche, di mezzi invivibili; persone che nonostante tutto continuano a fare il loro mestiere più che dignitosamente e continuano a raccontare cos’è e cos’è stato questo paese. Direi che si sia raccontato parecchio, poi la politica cerca sempre di auto tutelarsi, di difendersi. Solo che esiste un percorso culturale oltre che quello giudiziario, ed è quello che penso che difficilmente fermeranno.

Progetti per il futuro prossimo? Altri libri, spettacoli, impegni politici?
 
Intanto io cerco di rispettare nel modo migliore il mandato dei cittadini, che mi hanno eletto nel Consiglio Regionale lombardo. Poi sto preparando degli spettacoli nuovi, ad esempio uno con Giancarlo Caselli e Carlo Lucarelli su Giulio Andreotti e via. Continuiamo a studiare e a fare.

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