• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > (In)ter(per)culturando: il male ne ’L’ubicazione del bene’ di Giorgio (...)

(In)ter(per)culturando: il male ne ’L’ubicazione del bene’ di Giorgio Falco

L’ubicazione del bene sconquassa. Non mi vengono in mente altri termini così ‘centrati’.
Delle polemiche, il vociare insistente su questa o quella mancanza a proposito delle ellissi dentro o attorno il libro, preferisco non entrare, non aggiungerei nulla e le sottrazioni non conoscono scadenze né prescrizioni. Ne ho letti pochi, in effetti, di pareri altrui, su Falco e questa sua ‘ubicazione’, c’è sempre tempo per lasciarsi sfiorare dalle opinioni non proprie.
 
E’ una raccolta di racconti, e mi sembrano interessanti alcune considerazioni in proposito. Punto primo non è facile capirlo, che sono racconti riuniti qui con un preciso intento (o più d’uno direi). Punto secondo una casa editrice tra le grandi che pubblica racconti in una delle sue collane più note, diffuse e prestigiose (Einaudi, Stile libero big) sta lanciando – forse – un messaggio, o almeno è sembrato a me. Infine, punto terzo: non ho realizzato che sono racconti fino alla fine del secondo, inizio terzo, quando il valzer tra i personaggi, le trame che entrano poi cedono, mutano e spariscono, sono un dato di fatto. E non l’ho capito non soltanto per l’assenza di indicazioni inequivocabili nell’oggetto-libro, piuttosto perché ci sono sottili fili di sensi, che serpeggiano con e attraverso i racconti che nelle diversità realizzano un mosaico (im)perfetto eppure nitido, fatto di tracce e collegamenti.
 
E’ impossibile non porsi alcune domande, partendo già dal titolo. L’ubicazione del bene. Cosa significa localizzarlo, il bene? Poi, quale bene? Quello assoluto, generico e adattabile a tutto e tutti? O uno in particolare? Poi ‘ubicazione’, un termine ‘tecnico’, che ha un significato preciso: posizione di una costruzione in un complesso urbanistico. Dunque pare che Falco stia cercando o svelando o tratteggiando dov’è il bene tra le maglie rigide e catalogate del vivere da intendersi come declinazione materiale, fatta di elementi tangibili, che hanno dimensioni sottintendenti sensi. Ed è vero. Che la scrittura di Falco passa attraverso una componente forte, pulsante, che è materia, masse.
 
Ne ‘l’ubicazione del bene’ c’è un’attenzione particolare, quasi ossessiva, verso il non umano da intendersi in senso ampio. Falco descrive oggetti di ogni tipo ma anche ambienti, dettagli di azioni fino a fissare inquadrature sugli animali, sulle creature non umane insomma capaci di trattenere sottolivelli e sentimenti. Per gli uomini e le donne c’è poco spazio, ci sono e fanno parte del tessuto narrativo per ciò che sono, dicono, compiono, per le scelte ma soprattutto le non scelte. Ci sono insomma gli umani, ma spesso restano comparse i cui significati sono evidenti da subito. Sono loro che decidono attraverso azioni, non azioni, parole, silenzi, nel viversi. Eppure gli oggetti, gli animali, i singoli gesti, l’inquadrare ambienti e nello specifico le percezioni scatenate dagli stessi; tutto questo fa la differenza.
 
Un altro elemento che partendo dal titolo dirama nei racconti è il senso inverso, contrario eppure coincidente, racchiuso ne ‘l’ubicazione del bene’. Se sto posizionando il bene, di fatto, vedo, sento, riconosco, sfioro, ‘il male’. Sapendo dov’è, il bene, non si può ignorare che ovunque non è, c’è il male. E di male in questi racconti ce n’è davvero molto, secondo me. Male declinato, (ri)flesso, esposto, sussurrato e stretto. Ha molte forme, questo male, e parole che lo annunciano senza pronunciarlo direttamente. E’ un male che entra tra muscoli, investe sguardi, guida pensieri e si scarica all’improvviso, senza particolari fragori o bagliori. Non è il solito male, insomma. Non lo si riconosce dalle prime righe, striscia, allunga lingue tra non gesti e fallimenti. Attraverso delusioni, paure mai scollate dal corpo, attese inutili, non scelte e scelte destinate a crollare rovinosamente. Eppure lui, il male, non impone nulla, non strepita né urla, non si manifesta avvalendosi dei consueti simboli, non ha una faccia precisa, ogni personaggio umano se lo porta con sé. E lo respira tra sviluppi e immobilità. Questo male che Falco volutamente non sottolinea, evita fari accecanti, tanto meno odori o sapori inequivocabili. Eppure, questo male è. Esiste. Tra stonature insopportabili, frammenti di un vivere pregno di insoddisfazioni, cadute che sono perdite, rinunce affannose, affettività costellate di buchi, carenze, mancanze, apparenze o semplicemente imperfezioni oltre le solite favole per adulti. Così i figli non sono ‘doni’ destinati ad arrivare. E lavorare anche sodo, con passione e dedizione non significa guadagnare proporzionatamente. Sposarsi, e avere figli, non dà una casa propria. Acquistare non è avere. Pagare non è garanzia. Scambiarsi confidenze sulla famiglia non è essere amici. Andare allo zoo non è essere una famiglia. Sentir urlare ‘papà’ e ‘mamma’ non implica che ci sia un bambino nei paraggi, nascosto chissà dove. Non volere figli non è volere altro, animali ad esempio. Avere una casa, anche di proprietà, non è sentirsi (al) sicuro. Essere ‘due’ non è ‘non essere uno’. Sognare non è realizzare. E così via.
Localizzare il bene è acquisire consapevolezza, accettare il male nell’altrove che non si cerca eppure è, resiste e non si scompone. 
Per tutte queste logiche, mi sembra che il libro sia perfettamente inquadrabile in un preciso percorso seguito da alcuni autori contemporanei italiani, che nel-con-verso-dentro-oltre il male (si)cercano, scavano, affondano, riconoscono, oppure semplicemente restituiscono una realtà nuda, spoglia.
 
Falco è narratore di dettagli, di un sentire paziente, sottilmente acuto, dove non c’è giudizio. Forse anche per questo, il male non è definito tale. Si sta ‘male’, tra le maglie di storie comuni, agonizzanti spesso, che si accettano nel non essere. Lo si sente, il ‘male’ tra la pelle quando i vecchi modelli generazionali si mostrano per quello che sono: nullità inconsistenti, incapaci anche di apparire ormai, sfaceli durissimi, fallimenti piccoli e grandi, perdite. Ubicare il bene forse è mera perdita dei sogni. Laddove il bene si ferma, attorno l’uomo si arena, non ce la fa a raggiungerlo, a volte preferisce definire come ‘bene’ qualcosa che non lo è, ma ne simula alcuni elementi come l’apparenza. O i giochi linguistici. L’usare termini invertendo sensi e convincersi che l’inversione è definizione. Mentre resta mera accettazione di una mediocrità imbarazzante, spesso inutile, che non sfoga passioni, interessi, volontà, voglie e capacità. Perché sembrano morti, evaporati, latitanti. Le passioni, gli interessi, le volontà, le voglie e le capacità. Tutto pare mediamente accettabile. Tutto è accettabile. Perché tutto è negazione, un ‘non’ essere o ‘non’ avere o ‘non’ raggiungere o ‘non’ scegliere, ‘non’ capire, ‘non’ provare, ‘non’ cercare.

Per le opinioni su altri (e gli stessi) aspetti di questo libro: Giuseppe Genna, Demetrio Paolin, Franco Foschi, Ivano Porpora che in questo passaggio esprime benissimo l’equazione orrore-(bene)-male:
 
 
Così Falco, allo stesso modo, tratta in modo quasi asettico, con l’asepsi propria dell’habitué, l’Orrore del Quotidiano, quell’Orrore Infrastrutturale (chiamiamolo così) che tanto fa paura perché è un Orrore cui ancora la nostra società non è abituata. O cui, forse, la Società si è tragicamente abituata e da cui, ora che ne è infestata, non riesce a liberarsi. Gli idioti che si fingono intellettuali, i matrimoni da preparare con un anno e mezzo di anticipo, gli slogan e i nomi di prodotto che finiscono con una ì o una ò o un oso, il mutuo che succhia metà dello stipendio, le crociere con la cena al tavolo del capitano, le agenzie immobiliari che si fingono privati per acquisire informazioni su case in vendita, le visite obbligatorie dei parenti o dai parenti, i ponti da passare fuori città, il traffico delle sei della sera, i colleghi da fregare per non esserne fregato: Falco conosce questo male (male nelle sue forme più radicate, male di pensiero, parola, opera e soprattutto omissione) e non vi punta il dito contro ma ci si immerge dentro. Falco non vuole essere, a mio parere, né causa né effetto né redenzione di questo male ma vuole, passatemi il gioco, ubicare il bene, situarlo, isolarlo, studiarlo, dove bene – parliamoci chiaro – non c’è o è difficile da situare. Perché solo accorgendoci che il male c’è lo si può combattere; capendo che non ha divisa e che, se ce l’ha, questa è la nostra propria veste. (estratto da qui
 
 
Ma ancora: Leandro Piantini su Carmilla, Loredana Lipperini, e qui mi fermo. Navigando tra i motori di ricerca si ritrova anche altro, senza che tra ciò che si scrive di un libro, una storia, un autore debba necessariamente esserci o bene o male, e averla, un’ubicazione. 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares