• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > (In)ter(per)culturando: analisi-riflessioni su ’Flemma’ di Antonio (...)

(In)ter(per)culturando: analisi-riflessioni su ’Flemma’ di Antonio Paolacci

Dopo un po’ vanno tutti nel terrazzo. Mentre Davide sistema le candele, Zorro l’osserva e dice che gli sembra non lento, nemmeno pigro, ma come si dice.
«Flemmatico», suggerisce Davide.
(pag.109)
 
L’etimologia di ‘flemma’ merita qualche minuto di attenzione.
Dal greco phlégma, infiammazione dal greco phlégô ovvero brucio. Uno dei quattro umori cardinali del corpo (sangue, acqua, bile, flemma) secondo gli antichi, umore freddo, umido e grasso predominante specialmente in inverno il cui fluire si credeva prodotto da infiammazione. Divenne poi sinonimo di Seriosità, Muccosità in generale fino a significare Lentezza nell’operare, carattere posato, paziente, come si riteneva dovesse avere colui che nel corpo a molta flemma.
 
La flemma dunque, non è solo una sorta di lentezze di gesta, movimenti, e in generale, un modo di vivere calmo, che affronta ogni cosa senza fretta, assecondando una tranquillità diramata tra corpo e mente. Si tratta di una lentezza addolorata, in realtà, una lentezza malata, o che si protende verso la malattia, la fatica, il dolore. Una lentezza che annega nelle fatiche, che essendo, alimenta l’infiammazione, e scivola gradualmente verso fondi sempre più bui e disperati.
 
E’ sostanzialmente questo l’umore, il sapore che resta sul palato leggendo ‘Flemma’ di Antonio Paolacci (Perdisa, 2007).
 
Un incastro di storie, di tasselli di storie diverse che poi virando si intrecciano per poi sfuggirsi.
Una tendenza (quella del narrare frammenti di storie) che mi sembra in crescita, negli autori italiani specialmente in quelli giovani nell’ampia definizione che ne dà oggi (giustamente secondo me) la letteratura in Italia: Paolacci, classe’74 esordisce con questo romanzo dopo la laurea in Discipline dello Spettacolo, collaborazioni in case editrici e agenzie letterarie nonché membro della redazione della rivista Fernandel, un suo racconto è stato pubblicato nell’antologia ‘Amore e altre passioni’ del 2005 per Zona.
 
Stabilire cos’è questo romanzo arriva a diventare quasi ridicolo.
C’è un agente di polizia.
C’è nell’aria odore di morte, di sangue e violenza (trattenuta quanto coltivata).
Dunque lo si può iscrivere (e lo si è fatto) nell’enorme famiglia gialla declinata verso il noir per le atmosfere, gli umori tra corpi e voci nonché gli affondi.
Eppure.
Proprio negli affondi si celano le piaghe più interessanti, fonde del romanzo. Piaghe che raccontano schegge di questo nostro vivere oggi, tra maschere (reali o simboliche), realtà in divenire tra banchi di scuola quanto affezioni mutevoli e vaghe, divertimenti che scivolano, insipidi, e tanto, tantissimo dolore. Ed è un dolore che galleggia, non si risolleva, ogni personaggio si trascina il suo, ogni personaggio svela inquietudini, inadeguatezze, incapacità di essere e stare, una ricerca mai veramente portata a termine o affrontata con la concreta intenzione di superarla.
 
Nell’arco della giornata, fa notare Jaynes, solo poche volte si è davvero coscienti dei gesti che si compiono. E’ molto probabile che la coscienza come fenomeno continuo sia una specie di illusione. Pensare a se stessi, a ciò che si compie, che si dice, che si considera, alle decisioni che si prendono e a tutto ciò che si sta vivendo nel frattempo, è come usare una torcia elettrica in una stanza buia.
(pag.165).
 
Julian Jaynes appare e scompare nel corso della narrazione. Non è, secondo me, il mero senso del ‘libro nel libro’ in questo contesto. Paolacci si riferisce al saggio ‘Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza’ e lo fa inserendolo con abilità nei tessuti narrativi, ritagli piccoli spazi tra personaggi e scene senza che l’inserimento stesso diventi pesanti, unendolo al registro e il contesto in corso. L’effetto è paradossalmente più ben amalgamato delle schegge stesse delle storie che si alternano nel libro. La curiosità verso il lavoro di Jaynes che ha un preciso senso tra le maglie delle trame, mi ha spinta a ordinare il saggio, l’uso che ne fa Paolacci nel romanzo è intenso e sentito.
 
La lingua di Paolacci, immediata ma consapevole, descrittiva quanto basta a mantenere costante il livello di ‘flemma’, ha consistenze e recettori che il lettore impara a codificare tra virate di scene, storie che cambiano come fotogrammi differenti inseriti nella stessa sequenza senza pubblicità. Il lettore ‘vede’ (o almeno, può arrivare a farlo, leggendo) personaggi, ambienti, stati d’animo, sospensioni. Allo stesso tempo questo spostare, incastrare disincastrare, tasselli del mosaico ne rende pressoché imprevedibile prevedere la mossa successiva. Il finale stesso, per certi versi atteso nei risultati pratici conclusivi, lascia raccontare alla carne, ai singoli gesti, una scena che interrompe connessioni lasciando sospensioni, una sorta di silenzio muto e immobile.
 
Il cielo è bianco. Clara sulla terza panchina da sinistra, un blocco per gli schizzi in mano, nella bellezza pulita di piazza San Domenico sta disegnando il tizio sistemato di fronte, gomito destro sulla sponda, gambe larghe e pancia rigonfia, pancia sul punto di esplodere, pancia tesa e liberata dalla maglietta che, molle, s’appoggia su quella cupola di lardo.
 
Il tizio è solo, dialoga con la propria sporta verde bottiglia, indossa un cappello maculato da militare che gli schiaccia la chioma scomposta. La barba gli copre mezza faccia. La sua faccia, in verità, non si vede per niente, nascosta per l’altra metà dall’ombra del cappello e da un paio di occhiali neri.
(pag.49)
 
In tutto questo, probabilmente, si insinuano alcune ragionevoli screpolature. Paolacci è consapevole, io credo, di quanto impasta, allunga, deforma, spezza, inserisce per poi interrompere. Ma, in tutto questo intreccio di frammenti, il tessuto narrativa tendo a sfilacciarsi ai bordi. A un certo punto, punto non oggettivo evidentemente, l’intreccio inizia ad ansimare. C’è bisogno, io credo, di modificare la tecnica di amalgama per restituire quei sensi generali che le diverse storia in realtà hanno sempre avuto dall’inizio, per il solo fatto di essere accostare, di starsi attorno faticando a incrociarsi ma mantenendosi parallele, inspessendo dettagli, moti e umori. Invece l’amalgama insiste nell’incedere iniziale, insiste nelle distanze, avvicinando personaggi e snodi forse con troppa prudenza e disomogeneità indebolendo parzialmente il potente del cerchio conclusivo.
 
Paolacci narra di personaggi molto differenti tra loro, per età, genere, contesti, background, mestieri e intenti; eppure riesce a inspessirli sbavando nell’imperfezione dell’umano senza perdere in credibilità e affondi, di ognuno si arriva a capire quanto basta a comprenderne gesti, parole e riflessioni.
 
Sempre entro quello che io ritengo ormai un leitmotiv di una certa parte della narrativa italiana contemporanea, ‘Flemma’ è anche un romanzo di corpi, carne, parti anatomiche che si muovono, parlano, compiono, eseguono; e facendo tutto questo narrano senza filtri e con naturalezza, senza sforzo.
 
L’uomo crolla. E’ solo un corpo. Il braccio continua a ripetere il tragitto, avanti e indietro in modo sempre preciso e robusto. Il sangue schizza tiepido sulle guance, a segnare la faccia col colore della guerra, dell’amore, della passione, il colore dei colori, caldo e liquido. Le ossa stridono, i nervi scoppiano, la carne s’apre fino a che il vecchio rimane a bocca aperta, fermo in quell’espressione di rimprovero che per tutta la vita il Macaco gli ha visto in faccia, la stessa con cui condannava tutti a una prigionia domestica e silenziosa, lo stesso grugno colpevole con cui l’uomo ha comandato da sempre il torpore, coltivato l’inerzia, ingrigito la Storia.
(pag. 177)
 
Infine, assieme alle descrizioni di singoli luoghi, location di frame, ci sono due posti che respirano con flemma nel romanzo: Bologna e una provincia campana nel Cilento.
 
 
Link
Scheda del libro sul sito dell’editore: QUI.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares