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(In)ter(per)culturando: Christian Mascheroni - parte I

Christian Mascheroni, classe ’74, si presenta come “scrittore e autore televisivo” e, in effetti, lo si rintraccia tra web, carta stampata, e televisione in iniziative differenti, progetti culturali ed artistici ad ampio respiro. È proprio da qui che inizio, ripercorrendo le sue attività principali (derogando la scrittura narrativa di cui mi occuperò successivamente) e domandandogli.
 
1.
 
Considerando le tue esperienze professionali e creative, viene da pensare che tu sei uno di quegli artisti poliedrici, in un qualche modo di stampo contemporaneo rispetto alle convinzioni ‘classiche’ fondate sulla purezza di un’arte e sul ‘fare una cosa per farla fatta bene’.
È così? 
 
“Hai colto nel segno, Barbara e la ragione sta nel fatto che in qualche modo mi piace pensare di essere costantemente un imbranato dell’arte, uno di quelli che inciampa sempre, che fa errori, lo studente che non riesce ad applicare le regole e tenta ogni volta di stravolgere la meta prefissata. In parte è perché non so davvero dove stia la purezza di un’arte. Le sue sporcature sono affascinanti e imprescindibili, mi piace la macchia, mi piace il colore che esce dal bordo. Così, nella scrittura, preferisco sapere di avere ancora tanto da imparare piuttosto che essere definito da canoni artistici, creativi o critici. Sono discontinuo persino nell’emotività che il mio lavoro di autore e la scrittura in generale mi danno. Ci sono momenti in cui mi diverto alla follia ed altri in cui detesto qualsiasi parola io stia usando. Per darti un’idea, le cose che ho scritto e che amo di più sono, per esempio, le pagine dei miei diari di quando avevo otto, nove anni. Era incantevole lo sguardo che avevo nel descrivere ciò che mi accadeva. Già amavo la parola come veicolo di espressione e quindi cercavo di usarla nel modo più creativa possibile, ma con semplicità e con totale assenza di dimostrare qualcosa. Per carattere sono sempre stato ambizioso e lavoro sodo, amo la parola eccellenza, ma non purezza, a meno che non sia la natura intrinseca di qualcosa, e non il risultato di uno sforzo."
 
Ritieni sia squalificante in ambito professionale, assecondare più passioni creative, seguirne percorsi e tentare crescite differenti? C’è ancora la percezione che è necessario essere ‘una cosa’ per poter ottenere un ruolo preciso da consolidare?
 
“È una domanda che mi faccio spesso. Ho sempre voluto diventare uno scrittore, e ancora adesso la strada è in fieri, e talvolta l’essere un autore televisivo mette in ombra questo percorso che è vitale, ma semplicemente perché di lavoro faccio l’autore e non lo scrittore. Di sicuro con il primo riesco a mantenermi, questo è vero! In generale penso che, specie in Italia, ci sia la mancanza di percepire le sfaccettature di una persona e si tenti di inquadrarla in un ruolo riconoscibile. Il resto rimane velleità. Di certo sono contrario però a chi cerca di costruirsi un profilo poliedrico improvvisando tutto o ritenendo di essere nella posizione di definirsi scrittore, attore, pittore o artista contemporaneamente perché si è tentate tutte queste strade. Non dico che siano titoli nobiliari che uno acquisisce con premi, successo o articoli in prima pagina, ma nemmeno con atti di autocelebrazione. Io ci sono non corrisponde a io sono. Io stesso sono ancora combattuto perché mi vergogno ancora di definirmi scrittore. Mi sembra un atto di presunzione verso quegli scrittori che hanno tracciato la mia strada e che sono stati vitali.”
 
 
2.
 
Ormai sono undici anni che lavori nel settore televisivo come autore. Che bilancio ti sentiresti di fare considerando anche la tua giovane età (‘giovane’ non nella declinazione editoriale ma in quella professionale generale, hai da poco compiuto trentasette anni) ed eventualmente le prospettive che vedi davanti a te?
 
“Accidenti, sono già così tanti? Mamma mia! Di sicuro in questo momento mi sento fortunato, perché sto lavorando ad un programma che amo alla follia, Ti racconto un libro (IRIS), dove si parla di libri, che mi permette di conoscere scrittori, di conoscere le realtà editoriali, quindi il massimo. Ma questo è un traguardo personale, dissimile da altri percorsi che si fanno in televisione. Ho lavorato in programmi come Popstar, il primo talent show musicale ed è stata un’esperienza unica al mondo, ma perché ho imparato a filmare con una telecamera ed ho viaggiato per tutta Italia. Ho lavorato ad un programma per bambini, Ziggie, così come a diversi programmi di divulgazione. Mi sono divertito moltissimo a scrivere Operazione Soundwave per MTV, che mi ha riportato alla musica, così come ho ricordi molto belli di programmi che hanno chiuso dopo poco. Non sono attratto dallo share, non ambisco a scrivere programmi in prima serata se non vedo una crescita, se non lavoro con persone di cui poi mi ricorderò. Non credo di avere l’indole per scrivere tutta una serie di programmi, perché non riesco ad essere distaccato da ciò che scrivo e poi va in televisione. Preferisco programmi invisibili, o piccoli, ma curati, con un gruppo di lavoro affiatato, dove posso metterci del mio ed essere orgoglioso di quello che faccio. Ho sempre pensato alla carriera di autore televisivo come ad un percorso che potrebbe finire da un giorno all’altro, e va bene così. L’importante è che io resti curioso e che possa fare nuove esperienze, ma sentendomi libero di accettare o meno, fosse anche stare fermo e fare un altro lavoro. Di certo spero che Ti racconto un libro, che sta per compiere quattro anni di vita, possa continuare per sempre, perché ne sono pazzamente innamorato!"
 
Cos’è cambiato in quest’ultimo decennio rispetto all’attuale realtà televisiva italiana?
 
“Forse sarò banale nella risposta, ma credo sia il pubblico sia gli strumenti dell’entertainment. Sono ormai tantissime le persone che mi dicono di non vedere più la televisione, in parte per la scarsa offerta di contenuti che i programmi offrono e in parte perché sul web ci sono miriadi di forme di intrattenimento più divertenti, piacevoli ed interattive. Io stesso vedo solo serie televisive da anni o dvd. Credo che ormai si passi molto più tempo a chattare o a navigare che a guardare la televisione, e questo non è negativo; è un imprescindibile risultato dei tempi che corrono. Molti miei amici sono tornati a frequentare il cinema, per esempio, invece che a stare a casa di fronte alla televisione. Altri si sintonizzano su un programma di giardinaggio della BBC o su un documentario piuttosto che, come prima, dover scegliere fra un numero limitatissimo di programmi. La televisione italiana è ancora capace di fare spettacolo quando preserva la qualità o quando rispetta il suo pubblico. I casi, tuttavia, sono sempre più rari e quello che mi rattrista è che, nonostante l’evidente voglia di cambiamento, ci sia ancora l’insistenza nel pensare che gli spettatori siano elementi passivi che assorbono qualsiasi cosa. I tempi sono cambiati. Ci sono video su Youtube girati con due lire che sono molto più creativi, intelligenti e provocatori di tanti show che vengono prodotti.”
 
Cosa ne pensi dei recenti ‘trend a tema’ del mercato televisivo?
 
“Penso che sia un fenomeno paragonabile ai trend nella moda, nella musica, nella letteratura e via dicendo. È naturale nel momento in cui questo trend rispecchi una curiosità o una richiesta del tempo, che sposi i gusti di un pubblico e che accolga la sua volontà di ricerca, sperimentazione, esplorazione. Come ogni trend la speculazione è in agguato e spesso basta non ci si pone la volontà di fornire un prodotto comunque curato, realizzato con professionalità e con la sua dose di originalità. Amo molto la parola declinazione. Può esserci una moda imperante, come i talent show musicali in tv o i vampiri in letteratura, e sfido chiunque a non investire su qualcosa che può rendere anche in termini di successo. Però non significa che non si possa comunque trovare un linguaggio diverso, una declinazione creativa ed affascinante. Penso, per esempio, ad una serie televisiva come True Blood, che da un lato asseconda la moda dei vampiri, ma dall’altra ha saputo creare uno spettacolo unico, irriverente, ineccepibile a livello tecnico, con attori di prima grandezza ed una scrittura brillantissima. In Italia, ahimè, è più facile clonare che declinare, ed è deprimente, anche perché le professionalità ed i talenti ci sono, solo che non trovano spesso spazio.”
 
 
Nei primi anni duemila, l’America ha iniziato a proporre la chirurgia in ogni possibile declinazione (l’ormai noto anche in Italia Extreme makeover lanciato dalla ABC nel dicembre 2002, non fu in realtà il primo), a seguire ci si concentrò sul corpo tra disturbi, malattie e restyling (più recente il filone legato alla moda e alla cura dell’abbigliamento come terapia individuale); poi i programmi di spirito educativo rispetto alla crescita dei figli, la famiglia, il ruolo di madre; passando per i format ‘immobiliari’ noti da anni fuori Italia mentre nello Stivale si sono affacciati di recente con alcune formule riadattate (e alcuni canali tv satellitari che si sono specializzati acquistando i diritti dei programmi), fino ad arrivare alla recente moda-ossessione della cucina in ogni possibile diramazione (i tempi delle ricette proposte passo, passo, tra sorrisi e battute politically correct sembrano ormai tramontati per sempre). 
Sono forme di addestramento dello spettatore?
 
“Sono formule di successo che spesso nascono per sperimentazione e che poi invadono il mondo. Basti pensare al Grande Fratello, che è nato in Olanda, e ancora oggi è un programma di punta in tutto il mondo. In Italia c’è poco spazio per creare format che poi vengono comprati all’estero, si dà raramente voce alla potenzialità di un programma che abbia, per voce e scrittura, le caratteristiche intrinseche del nostro Paese. Trovo i programmi di cucina, per esempio, un terreno fertile per un tipo di spettacolo semplice, ma utile, solo che quelli inglesi, per esempio, puntano molto sull’ironia, sulla cultura e sulle tradizioni del popolo, per cui sono molto piacevoli. Non c’è bisogno di spettacolarizzare la preparazione di un buon piatto di pasta. E’ la forzatura di certi elementi semplici e naturali che non mi piace. Altri programmi, come quelli che puntano sull’estetica, non sono che la risposta di un’esigenza che comunque nasce dentro i meccanismi del tempo e della società, per cui non critico la loro esistenza, anche se mi fanno accapponare la pelle quando li vedo in onda. D’altro canto basta sfogliare una rivista di moda per capire che l’impero della bellezza nasce prima dallo scatto fotografico che dallo schermo televisivo. In generale credo che la chiave sia il tono in cui il tutto viene proposto e l’esigenza, in televisione, di capire cosa proporre e cosa no. Di tutti i programmi che hai citato manca quello che più mi spaventa e più ritengo nocivo e spesso aberrante. Il telegiornale. Almeno, la maggior parte di quelli italiani sono uno strumentali, di parte, trash e non rispecchiano il mondo che viviamo. Allora molto meglio un bel piatto di pasta con un sorriso che una notizia deformata per addestrare lo spettatore.”
 
 
3.
 
Ti racconto un libro’ è una trasmissione coraggiosa, che ha tentato la strada – peraltro battuta anche da altri ma con scarsi risultati in Italia – di portare la letteratura, le storie e i libri in televisione. E il programma – agile e pieno di blocchi che s’alternano tra interviste, schede di libri, approfondimenti e contestualizzazioni, resoconti di fiere, festival e iniziative culturali – è impostato per attirare lo spettatore evitando il più possibile appesantimenti e noia.
È dunque possibile proporre contenuti, qualitativamente anche impegnativi, senza scontrarsi con le solite dinamiche da indici di ascolto, e concorrenza tra canali tv?
 
“Intanto, grazie, sono felicissimo che venga percepito in questo modo. Ti racconto un libro è un piccolo miracolo, perché è uno spazio che ha libertà di espressione, ha libertà di stile, di approfondimento, voglia di comunicare aspetti diversi del nostro Paese attraverso le pagine dei libri. Come diciamo sempre io e la mia collega Marta Perego, Ti racconto un libro dà voce alla parte più umana della letteratura, senza vedere nel libro un prodotto o uno strumento, bensì uno dei più straordinari e meravigliosi volti che ha il mondo e l’Italia. Tutto ciò è possibile in una rete come Iris, sul digitale terrestre, che, sebbene da poco sia entrata nell’ottica brutale dello share e degli ascolti, ha voglia di essere identificata per contenuti validi, qualitativi, creativi e piacevoli. Noi ci scontriamo con la tecnologia, ahimè, perché spesso è la visibilità che manca, basta solo che il segnale non si prenda per esempio, perciò non possiamo contare sullo share, ma di sicuro abbiamo visto, in quasi quattro anni, un’affezione incredibile. Sono entusiasta, per esempio, dei ragazzi di oggi, che sono brillanti, curiosi, amano la parola scritta, la tramandano e la coccolano. Spesso intervistiamo scrittori giovani, ma anche editori giovani, così come ragazzi e ragazzi che, creativamente, fanno cultura in maniera spesso geniale, divertente, avvincente, e noi con il programma vogliamo cogliere tutti questi aspetti. Sono quattro anni clamorosi. Noi abbiamo solo curiosato, perché in Italia il libro è ancora molto amato e i lettori ci sono, ma non c’è comunicazione adeguata, se non attraverso Facebook, che, da questo lato, è uno strumento straordinario.”
 
Com’è nata l’idea del programma e come ci sei ‘approdato’ tu?
 
“Quando più di quattro anni fa è nato il canale del digitale terrestre IRIS, si è pensato subito ad avere una piccola rubrica di libri. Ti racconto un libro nasce come una finestra dove Gian Arturo Ferrari recensiva alcuni libri. Annamaria Fontanella, produttrice con la quale avevo già lavorato e che sapeva che avevo scritto un paio di romanzi, mi chiama per aggiungere alla rubrica una parte di interviste e nasce quindi inizio a proporre una serie di interviste montate in modo ritmico, accattivante, con domande più personali che convenzionali. Grazie anche alla volontà di dare più spazio a questo tipo di linguaggio, si è deciso di trasformare la rubrica in un programma. Al posto di Gian Arturo Ferrari siamo entrati Marta Perego ed io come autori, intervistatori e volti, decidendo di creare tanti momenti all’interno del programma per dare una varietà che prima non vedevamo in nessun programma. Perciò, oltre alle interviste, abbiamo voluto subito monitorare le case editrici, specie quelle piccole ed indipendenti per raccontarne la storia, abbiamo parlato di tecnologie di e-book sin dai primi accenni, abbiamo cercato gli emergenti e li abbiamo portati a spasso aggiungendo ai servizi anche musiche rock e pop, un taglio sempre accattivante. Abbiamo semplicemente pensato di scrivere e creare un programma di libri come ci sarebbe piaciuto a noi. Negli ultimi due anni, in particolare, abbiamo avuto la fortuna di chiamare insieme a noi altri collaboratori, tutti appassionati e con idee fresche, genuine. Tant’è che, da quest’anno, sono persino nati gli speciali. Non è da poco, e spero di non sembrare immodesto, mandare in onda uno speciale dedicato totalmente alla poesia in tempi come questi.”
 
 
[segue]
 
 
Ringrazio Christian Mascheroni.
 
 
 
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Christian Mascheroni, scrittore e autore televisivo, è nato a Como nel 1974. Dal ’95 al ’99 ha collaborato al mensile Campus. Lavora dal 2000 come autore televisivo per Mediaset (Popstar, Marte e Venere, Solaris, Ziggie, 2000, Ciak Junior, Appuntamento con la storia) e per MTV (Operazione Soundwave) Il suo primo romanzo, Impronte di pioggia (L’Ambaradan), è uscito nel dicembre 2005. Ha pubblicato i racconti “Il gabbiaio” nell’antologia “L’Italia si racconta: 60 anni di Repubblica (2006)” e “Marcia inserita” nell’antologia “Lungo le strade (2007)” entrambe edite da Arcilettore Edizioni. Nel Gennaio 2008 è uscito “R.E.S.P.E.C.T” racconto inserito nell’antologia “Viva Las Vegas” (Las Vegas Edizioni). Nel Marzo 2008 è uscito il suo secondo romanzo, “Attraversami” (Las Vegas Edizioni) che ha vinto il Premio Editoria Indipendente di Qualità, mentre nel Novembre 2009 è uscito il suo terzo romanzo “Alex fa due passi” (Las Vegas edizioni). Dal 2009 scrive e conduce, con Marta Perego, il programma tv di libri “Ti racconto un libro” (Iris – Mediaset). Con lei ha ideato il live letterario Virgola, scrittori. Con la regista Indira Mota e la producer Fedrrica Wu ha creato, invece, il progetto culturale Virgola, vita. Dal 2011 scrive per il blog letterario di Glamour di Chicca Gagliardo “Ho un libro in testa” la rubrica “Non avere paura dei libri.” Nei primi del 2012 uscirà, sempre per Las Vegas edizioni, il suo quarto romanzo, “Wienna”.

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