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(In)ter(per)culturando: Analisi-confronto da ‘Con la faccia di cera’di Girolamo De Michele-Parte I

Antefatto

I miei nonni materni hanno abitato oltre cinquant’anni a Ferrara. Esattamente nella zona di Mizzana, oggi considerata frazione (circa dieci/quindici minuti in bicicletta dal Castello Estense). Da bambina rimanevo interi mesi da loro, d’estate o per le vacanza natalizie. E ricordo una Ferrara. Fatta di viottoli persi nel tempo, la piazza ampia, aperta al cielo, il parco Massari e le sue favole, arterie silenziose circondate da periferie con qualche fabbrica a delimitarne confini. Ma anche i prezzi competitivi (lo sentivo cantilenare in casa, per ’noi’ che invece abitavamo nell’interland modenese). Il pane era delizioso. Poi l’acqua. ’Si’ diceva che la si poteva bere dal rubinetto che era ’buona’, depurata. Io non ci riuscivo (a berla), avevo in testa gli echi delle ramanzine dei miei, e l’idea di mettere il bicchiere sotto il rubinetto per poi portarlo alla bocca mi paralizzava. A Mizzana però, in molti bevevano così. Senza comprare le fantomatiche ’bottiglie’ da portare in giro in bicicletta (i nonni, i miei e molti altri della via, non conoscevano patenti, non avevano mezzi motorizzati e neanche ne sentivano la mancanza). Poi certe notti estive, tra afa sonnecchiante e zanzare, mentre noi (bimbetti)ragazzini giocavamo in lungo e in largo nell’unica via serpente del quartiere, l’aria ’sputava’ un prepotente odore dolciastro, zucchero amaro. 

Mio nonno materno è morto ormai da diversi anni, di un ’brutto male’. Ha lavorato nelle fabbriche della zona tutta la vita. In quale non ha importanza. E ha vissuto vicino a fabbriche tutta la vita. Quale in particolare è facilmente intuibile per chi è pratico di Google Maps o affini eventualmente. 

Suo fratello è morto il giugno scorso, per altri percorsi ma sempre in seguito a ’brutti mali’.

E così potrei continuare, in realtà. 

Di tutte le famiglie, residenti o native di Ferrara e provincia, che conosco personalmente, tra parenti, amici, conoscenti, vicini, negozianti. Non ce n’è una - UNA - che non sia stata colpita da forme tumorali, in diversi modi e maniere. Giuro. Non una me ne viene in mente a distanza di oltre dieci anni da quando nonna, da vedova si è trasferita vicina a mia madre, nel modenese. Qualunque senso abbia o non abbia questa mia soggettiva e personale considerazione, è. 

Da qui parto. 

Da un libro. 

E da una serie di fili che lo collegano ad altro

Dalle voci. Che attraverso le pagine del romanzo, insistenti, tediose, emergono, chiedono ascolti, non mollano. Voci che sono artifici narrativi con radici reali, crudelmente reali e rintracciabili perfino nell’immensa rete. Voci di ferraresi vivi o vissuti. Voci che l’autore, Girolamo De Michele, ha recuperato correndo rischi, inserendole - queste voci - direttamente nel tessuto narrativo sapendo che il lettore avrebbe finito per inciamparci e forse non avrebbe gradito. 

Dunque un romanzo. Un autore. Un progetto sociale ed editoriale. E una realtà fatta di persone, fabbriche, morti, sentenze e la città. Ferrara appunto. 
In sostanza quello che segue è tutto qui. 

 
Dedicato a qualcuno, più d’uno, che sa.
Barbara Gozzi


 
Parte I
Del romanzo (analisi, approfondimenti)
 
VerdeNero è una collana di narrativa il cui slogan ormai rinomato rimbalza, ‘noir di ecomafia’. Ed è proprio questo ‘biglietto da visita’ a collocare – in apparenza - i romanzi all’interno di una precisa ‘maglia’ del mercato. Eppure i colori della collana, verde e nero, non sono vincoli piuttosto spunti di una mission entro cui mi addentrerò nell’ultima parte di questo progetto.
Ecco dunque che ‘Con la faccia di cera’ non è neanche lontanamente un ‘noir’, l’autore l’ha definito “una ghost-story con evidenti debiti verso Il segno del comando, ma anche verso Blow-up e Lost”. In effetti gli echi si sentono, prepotenti.
‘Con la faccia di cera’ inquadra un fotografo e c’è senza ombra di dubbio un ‘mistero’ o forse più d’uno, il narratore ne avverte l’odore dalle prima pagine pur non essendoci nulla di definito.
Non manca, insinuante, maliziosa, sorprendente, una donna che appare e scompare con un’abilità dall’evidente collocazione ultra-terrena.
Poi il tempo che è un non tempo, oltre logiche cronologiche, sequenziali piuttosto sovrapposizione tra scene passate ma mai vissute e un presente che sfoca con la facilità degli scatti dietro un obbiettivo. Ci sono tutti, questi elementi le cui radici si diramano dal’66 attraverso le menti di Cortàzar, Antonioni e Guerra ma anche artigli aggrappati a frantumazioni di certezze temporali che dal piccolo schermo, virus semi letale, ha contagiato milioni di telespettatori nel mondo a partire dal 2004.
Eppure.
C’è dell’altro, sfuggente, tra classificazioni che paiono necessarie come il caffè la mattina. E sfugge perché oltre le mission, i progetti e le logiche sociali, ‘Con la faccia di cera’ è una storia. Con una location che ha precisi echi, ciottoli su cui camminare, fabbricati dismessi e respiri, tanti respiri. Poi personaggi, sviluppi e ‘sottotracce’ che affondano i denti nella storia recente, in documenti che ancora urlano silenziosamente, tra avvenimenti che sfilano sotto il naso restando – il più delle volte – invisibili.
 
Questo romanzo, insomma, non ha un peso specifico in quanto narrazione sociale, non solo. De Michele scrive consapevolmente, avvalendosi di strumenti che rendono porosa la lettura, lascia spazio al lettore, alle interpretazioni, si flette seguendo le rughe e le increspature delle fronti. Fornisce spunti.

C’è una Ferrara che odora di vecchio e nuovo, in trasformazione quanto piena, traboccante di spennellate di altre epoche, volti, sguardi che attraverso il tempo insistono, rumori (ig)noti e carne che accoglie e coccola. Ferrara mantiene ritmi paralleli ma mai del tutto coincidenti con quelli di altre città emiliane, mai del tutto plasmata dalla frenesia, il degrado figlio degli sguardi che troppo a lungo hanno indugiato su un futuro anelato ed eccessivamente desiderato. “E’ una città da bianco e nero, da colori d’epoca, Ferrara…” (pag.15).
 
Chi ci è passato almeno una volta lo sa, che non è capace di restare al passo con il secolo di appartenenza. Mantiene una dignità, un ancheggiare attraverso storia, politica ed economia, che non lascia troppo spazio agli annullamenti luccicanti, le novità tecnologiche, morfologiche e ancora oltre, mentali. A Ferrara si respira aria uguale e diversa, bisogna predisporsi per capire. Chiudere gli occhi il tempo di una folta di vento, il suono di un clacson. Passare i polpastrelli tra le ruvide scanalature di un muro del centro. Annusare vicoli incasellati quanto periferie contratte tra geometrie mutevoli e mai disordinate. Ma è anche città che si difende, chiusa entro mura (in)visibili, ‘dentro’ di sé, dove l’indifferente crudeltà (r)esiste. “ … siamo a Ferrara, dopo tutto. Qui ti può capitare di essere massacrato di botte sino a crepare, e nessuno si affaccia a soccorrerti”. (pag.70)
 
E tutto questo è parte del romanzo di De Michele non soltanto grazie a una precisa volontà dell’autore, ma anche per la puntuale capacità dello stesso di tratteggiarla con onestà. Il mistero che la avvolge e che il lettore sente sulla pelle, non è solo frutto dell’invettiva narrativa, della storia e le finalità sociali. Il mistero è, a Ferrara, in. Ferrara.
 
Uno degli elementi che più ricorrono, assillano, attraverso il quale De Michele ricrea precisi immaginari, propone simbolismi, è ‘la nebbia’. Ovunque scivola, striscia mentre in primo piano la storia prosegue. Nebbia dunque a localizzare incastri temporali quanto miscele di certezze e verità taciute. Nebbia come indicatore di evoluzioni fantastiche, assieme ai bagliori e quel senso di freddo al tatto, segnali decodificabili con facilità anche per il lettore più distratto, frettoloso. Eppure tra la nebbia si celano sub-strati, allegorie di quella che a tutt’oggi (fine luglio, agosto 2009) è ancora una ‘vicenda’ in divenire, dai contorni variabilmente (in)certi. Ecco che l’arrivo della nebbia scandisce precise evoluzioni nella trama, inghiotte personaggi e accadimenti, altri ne mostra per poi riprenderseli. La nebbia è anche condizione temporale precisa, che i ferraresi conoscono, atmosfera necessariamente sensoriale, dal vago sapore dolciastro, umido rarefatto. Infine, scavando ancora, è la materia pulsante di una realtà ‘sospesa’, che pende ora da una parte, ora dall’altra, e che vede sfilare cavalli che sono vite umane in bilico, pronte a gareggiare, cadere, morire.
 
Anche i cavalli, il palio, hanno consistenze e sottolivelli diversi. “La storia si svolge l’ultima settimana del Palio di Ferrara, mentre tra le vie della città compaiono personaggi venuti dal passato.” Spiega De Michele in un’intervista on line. Il palio dunque è parte della trama, è per inseguire un lavoro, fotografare l’evento appunto, che il protagonista finisce ‘inseguito’ dal passato. E contestualmente un altro lavoro, illustrare un libro sul polo industriale ferrarese commissionato dalla Camera di Commercio, da il giusto pretesto all’autore per inseguire i fili dei documenti sul ‘caso Solvey’, le dichiarazioni degli operai, voci rubate a nebbie senza tempo laddove le conseguenze ancora insistono, (r)esistono, ma anche volti persi tra procedimenti e tentativi di evitarli.

Abiti tessiture, insomma. David Belli, protagonista e fotografo ha una ‘dote’ necessaria agli sviluppi e ai messaggi (più o meno) individuabili dalla superficie. Immortala. Fissa. Ruba per sempre. Scene che sono miscele esplosive di oggetti, azioni, persone. Testimonianze indelebili attraverso registrazioni. E’ lo strumento, in questo caso, l’elemento chiave che determina priorità e sensi. Il mestiere del protagonista è scelta (per l’autore) quanto vincolo. Perché solo con e attraverso questo tipo di registrazioni, De Michele restituisce una precisa realtà.
 
Quello che sta accadendo ora resterà in eterno: accadrà per sempre. 
(pag.159)
 
E questa realtà, narrativa ma con echi reali, tra muri che dalla bidimensione dei fogli si proiettano in materia, non è mera utopia secondo me. E’ qualcosa che ha una consistenza tangibile. “Non pagherà nessuno, amore. Non paga mai nessuno” precisa Lucia, la donna misteriosa, “Se un operaio uccide un padrone è terrorismo, se un padrone uccide cento operai di tumore è normale amministrazione, è un prezzo del benessere” (pag.120). Frasi apparentemente finalizzate alla scena, volutamente casuali ma che sono decodifiche quanto interpretazioni. Perché con questo romanzo De Michele non ha cercato il risultato della partita tra Bene e Male, zero a zero palla al centro. Non ha costruito castelli invisibili eppure stupendi. Tanto meno ha cercato soluzioni. Non pagherà nessuno è macigno pesante, insopportabile. Vero. Seppure tendenzialmente sgretolato da altre volontà che il protagonista (e con lui il lettore, in punta di piedi) avverte, tra ossa e sguardi fissi, di cera appunto. “ Perché devo saperlo proprio io tutto questo?” Chiede con insistenza David, cerca di snodare matasse contorte e sfilacciate con la consapevolezza che qualcosa, qualcuno, c’è, attende e come lui cerca. La non resa. David ha un potere. Un dono, volendola sfarfallare sul mistico o forse no. “Tu hai il potere di fermare le cose nelle foto e farle esistere per sempre”(pag.121). Esistere per sempre, così come sono. E se questo non è un sotto livello non so cosa lo possa essere. Allegoria di una prepotente ferocia, difficile da trascurare leggendo. Lasciar essere in eterno un ‘qualcosa’che non chiede altro: mostrarsi, essere riconosciuto, per quello che è. Nudo. Esposto. Inalterabile. Giudicabile certo, ma nel suo stato originale, nella sua natura originaria, oltre le contraffazioni, alterazioni, deformazioni e abrasioni. Null’altro. Esattamente quello che invocano gli ex operai e familiari, vivi e morti, che a Ferrara hanno lavorato a contatto con il CVM. Esattamente quello per cui ancora, dopo sette anni, c’è chi si schiera in aule di tribunali, tra prescrizioni e decessi.
 
La piazza resta vuota.
Niente cavalli.
Niente pittore.
Niente Lucia.
Resta solo questa profondità abitata dalla mia inquietudine, il freddo sotto la pelle, e una macchina che mi dirà se quello che ho visto è davvero esistito.
(pag.94)
 
De Michele ha portato a termine un intento preciso, secondo me. Avvalersi di un linguaggio apparentemente semplice, liquido e moderatamente innocuo, per tentare contatti sbucciabili. Dove lo strato raggiunto dipende da quanta pazienza, voglia e opportunità si ha, leggendo. ‘Con la faccia di cera’ è un frutto. Uno qualunque dall’esterno. Dalla buccia granulosa a tratti, ma nell’insieme nulla di troppo lontano dagli altri (frutti). Basta un coltello qualunque per iniziare l’operazione di spolpamento. Basta si, un coltello, dita che lo stringono e polso fermo. Bastano ingredienti di una banalità noiosa, per ‘smascherare’ gli intenti. La volontà di inseguire che attraverso parole, voci e pagine si insinua, bisbiglia. In-seguire una storia dentro storie, voci tra parole, realtà tra fantasie.
 
Smonta dal destriero. Mi viene incontro. Mi guarda.
Sollevo la telecamera e gliela mostro, annuendo.
Sorride. La mano color alabastro che mi carezza la guancia è fredda come la notte nella quale sono piombato. Le sue labbra lo sono ancora di più.
A volte il male ha un volto familiare.
 
I contradaioli vestiti di tenebra sventolano le loro bandiere sopra le tribune ammutolite. […] Si uniscono alle migliaia di Esclusi, di Ultimi che continuano ad arrivare a stormi, a frotte.
Sfilano con i loro occhi fiammeggianti, con le loro bocche nere e profonde davanti ai potenti in costume seduti sotto i portici della piazza, assisi in una rappresentanza senza più fine. […]
Silenti.
Immobili.
Tutti grigi come grattacieli.
[…]
(pag.161.162)
 
In questi stralcio, qui decontestualizzato dunque meno potente e sensato, ci ho sentito la forza e l’urgenza della volontà di De Michele. Semplicità nella buccia, a richiamare strati di polpa viscida, sempre più mutevole nel gusto quanto nella consistenza fino a un nocciolo che è pulsazione allo stato puro, contatto, legame, tra pagine piatte, ferme, e una realtà che a Ferrara, nel 2009, qualcuno ancora respira, vive. Ma che sembra, insistere, per essere un’altra storia.
 
Elemento determinante per la comprensione del romanzo è ‘il condominio’. Entità assestante in pratica. Il Condominio come agglomerato di cemento, corpi, menti plas-mate e pla-giate da quella stessa contaminazione sottile che è nebbia e scatti sfocati. Entro un cerchio imperfetto che si stringe, nodo alla gola, i condomini agitano mani incontrollate, lanciano rimproveri sclerati, manipolano realtà (in)esistenti in un crescendo di malate dinamiche schizzate, assurde nella consistenza quanto manifestazioni-simbolo delle stesse reazioni contaminate denunciate dalle voci del passato.
 
Una nota di ‘colore’, da non lasciar passare sotto silenzio è l’uso moderato del dialetto ferrarese. Di quella tipica cadenza del parlato che solo chi ha sentito, può riconoscere, capire fin nel fondo. Congiunzione sussurrata, certo, eppure stretta, aggrappata a una tradizione, che è luogo quanto storia. Che è. Vita. Di oggi e ieri.
 
La Frara d’na volta, zuv’nott, era divisa dalle mura. Ecco le otto contrade. Ma Ferrara non è più quella di una volta…” (pag.83)
 
Infine segnalo un intercalare notevole, tra pag.151 e pag.154. Che inizia con un tratteggio preciso.
 
Sotto il portico di piazza Ariostea le nobiltà vecchie e nuove, di toga, di spada, di fama e d’elezione attendono l’arrivo del corteo storico. Fingono ammirazione per gli esercizi degli sbandieratori. Affettano cortesia e distinzione. Portano alla bocca il bicchiere di vino.
Parlano.
(pag.151)
 
E da quel ‘parlano’in poi, subentra un flusso che è lava allo stato puro, entro cui rintracciare messaggi, uno in particolare ricreato anche unendo i titoli dei capitoli, ma anche un altro, l’ultimo, di una semplice durezza disarmante. Se qualcuno si ritrovasse il libro tra le mani, cercatelo questo passaggio. Merita qualche minuto in più, ripaga. Le nobiltà che attendono e fingono, affettano cortesia e distinzione. Infine. Parlano. Quelle nobiltà cedono poi il passo gli Esclusi, che con poche frasi, sussurrate, inghiottite dall’abituale rarefazione che attutisce e sbiadisce; con poche frasi dunque riassumono tutto il tormento di condizioni non cercate, eppure imposte da alti, fino a sfiorare la morte, cedendogli.
 
E ancora la mano di nebbia si solleva dalla piazza lasciando splendere i colori rossi e gialli e verdi e azzurri assiepati nelle tribune affacciate sul percorso del Palio… […]
(pag.154)


Prossimamente, di giovedì sempre:

Parte II: chi è Girolamo De Michele e perché proprio Ferrara, la Solvey e il CVM?
Con la gentile collaborazione dell’autore, che ringrazio.

Parte III: VerdeNero e il progetto ’noir di ecomafia’. Legambiente Ferrara e il caso Solvey: una città, un polo industriale, la plastica e le sue ’segrete’ pericolosità.
Con un’intervista ad Antonio Pergolizzi, coordinatore Osservatorio Nazionale, Ambiente e legalità, Legambiente. (Quest’ultima parte verrà pubblicata per fine mese, inizio settembre).

 

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