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In pensione, ma senza liquidazione!

Il governo ha presentato - all’interno del decreto anticrisi, quello che prevede aiuti e incentivi per le industrie, tanto per intenderci - un articolo di legge, secondo il quale le pubbliche amministrazioni possono mandare in pensione i propri dipendenti che hanno raggiunto i 40 anni di contributi includendo nel computo anche gli anni della laurea o del servizio militare, tornando - de jure e de facto - al meccanismo iniziale secondo il quale può essere collocato a riposo anche chi supera la soglia dei “40anni” solo per via dei contributi figurativi (riscatto laurea e servizio militare).

Ma c’è un però. Chi viene mandato in pensione per raggiunti limiti d’età contributiva dovrà, però, aspettare qualche anno prima di vedere la buonuscita. Il neo-pensionato, infatti, non vedrebbe un euro di buonuscita se non dopo il 2013. Il provvedimento se così varato dalle camere, porterà allo Stato qualche risparmio reale, dacchè, mandando "normalmente" a casa un dipendente pubblico, con tanto di liquidazione, non si ottengono grandi riduzioni di spesa, visto che a quel dipendente lo Stato continuerà a pagare la pensione. Anzi, il primo anno si avrebbe persino un aggravio delle uscite, per via appunto delle liquidazioni. Ecco perché qualcuno a Via XX Settembre ha pensato bene di congelare le liquidazioni dei travet. Ma è mai possibile che soltanto in questo modo Tremonti riesce a far cassa?



Sappiamo bene che al bilancio dello Stato mancano soldi e che questi bisogna assolutamente trovarli sia perché è necessario ripianare debiti enormi sia perché bisogna riprogettare il futuro del nostro Paese. La diagnosi è nota a tutti noi e non solo al Ministro Tremonti. E’ la terapia che proponete che non è condivisibile! Il governo ha preso atto che gli servono i soldi e li va a prendere dove è più facile trovarli: nelle tasche dei poveri cristi che non hanno voce, che non hanno mezzi per contrattaccare, che non possono ribellarsi! Servono soldi allo Stato? Che vada a prenderseli dagli evasori fiscali, dai truffatori, dai falsificatori di bilanci, dai corrotti e corruttori pubblici, dai favoritismi di cui la casta si è ingrassata in tanti anni di malaffare e non dagli stipendi e dalle pensioni di chi non riesce ad arrivare a fine mese! Come?

Incentivando il lavoro e l’attività di riscossione degli Uffici finanziari addetti allo scopo, affrontando con coraggio la liquidazione totale degli Enti inutili e spazzando via le oltre 4.000 società pubbliche partecipate da Regioni, Province e Comuni, dove si annidano i più beceri sistemi di familismo con i suoi 255.000 addetti, 26.000 amministratori e 12.000 componenti dei collegi sindacali, nella maggior parte dei casi di nomina politica-clientelare. Quello che il governo deve tagliare non sono le liquidazioni degli impiegati statali, ma gli sprechi, le inefficienze, le ruberie nei rimborsi sanitari, nelle procedure di spesa, negli appalti e nelle consulenze del "palazzo". Ma questo governo, invece di combattere la casta, preferisce prendersela con il pubblico impiego tagliando le buonuscite ed elargendo stipendi e pensioni da fame!

Commenti all'articolo

  • Di Frattaglia (---.---.---.42) 7 aprile 2009 12:22

    Il problema è che noi cerchiamo di affrontare queste situazioni con logica e giudizio... se guardiamo già solo come Brunetta intende risolvere il problema dell’efficienza degli uffici pubblici, penso che si capiscano molte cose.

    Poi sinceramente, da un ministro che ai tempi propose di vendere il colosseo per rimpinguare le casse non mi aspetto niente di positivo.

  • Di alride (---.---.---.14) 7 aprile 2009 13:25

    E’ una proposta non condivisbile.
    Il pagamento del TFR non è un adempimento burocratico che, come tale, può essere differito.
    Il trattamento di fine rapporto costiuisce un elemento essenziale per chi, entrando nel regime pensionistico, vede ridotte le proprie entrate mensili in modo senibile.
    Inoltre, come si usa fare in Italia, rinviare il versamento costituirebbe una modifica delle regole "in corsa", perchè molti lavoratori hanno pianificato i propri impegni finanziari (mutui ecc.) tenendo conto della previsione dell’introito.
    Credo che anche i dipendenti delle imprese private dovrebbero preoccuparsi per un tal modo di procedere che costituirebbe un precedente pericoloso.
    Sarà necessaria una grande mobilitazione se dal palazzo di via xx settembre si dovesse procedere nella direzione paventata.

  • Di Leopoldo Rodà (---.---.---.23) 8 aprile 2009 01:09

    Sono almeno 4 anni che scrivo sulla necessità di abbattere d’autorità il debito pubblico: quasi 1700 Emld, che costa a chi produce (piccole imprese e dipendenti) quasi 80 miliardi annui di interessi (circa 6000 miliardi capitalizzati sugli ultimi 30 anni), che in massima parte vanno ad arricchire la rendita finanziaria-parassitaria di chi è creditore dello Stato. Per questoTelecom, a suo tempo, mi chiuse d’autorità la mia ex E-mail, ritenendo pericoloso continuare a parlare dell’argomento debito pubblico. L’avessimo fatto, anche scontentando la parte indebitamente ricca della popolazione, oggi non saremmo quì a recriminare sulla ristrettezza delle risorse pubbliche da mettere in campo per contrastare la crisi. Ma che oggi qualcuno dei soliti finanzieri-immobiliaristi proponga di appropriarsi delle liquidazioni di quanti hanno lavorato per quarant’anni mi lascia veramente esterrefatto. Sarei persino d’accordo a rinunciare alla mia liquidazione di 60.000 euro, purchè si facesse un mucchio totale tra possidenze immobiliari, mobiliari e finanziarie, che sembra ammontino ad oltre 25.000 miliardi di euro. Dopodiché tagliare lo 0,7% secco su tutto portandolo in deconto del debito pubblico, fino ad azzerarlo definitivamente. La tecnica di conversione è complessa, ma le soluzioni numerose. Ad esempio: ai possidenti immobiliari verrebbe data l’opportunità di scegliere di mantenere il patrimonio accettando di accollarsi un mutuo quinquennale ipotecario di pari importo con rate da versare allo Stato; ai possessori di titoli pubblici di accettare coercitivamente quote del patrimonio pubblico disponibile di pari entità (da ricchezza finanziaria a ricchezza immobiliare, nulla cambierebbe per loro); ai lavoratori dipendenti di rinunciare alla liquidazione, ma di beneficiare di privilegi finanziari sui proventi degli investimenti che lo Stato andrebbe a sviluppare (opere infrastrutturali, precedenza nelle assunzioni dei figli nella P.A., ecc.). Questo sarebbe accettabile. Di certo noi dipendenti non accetteremo mai di essere derubati della liquidazione, che è già un prestito forzoso a suo tempo (giustamente) imposto ai lavoratori per rilanciare l’economia dopo la 1^ Guerra Mondiale, ma che è - e resta - una forma di retribuzione differita, frutto del lavoro personale. Se ciò dovesse accadere, io sarò il primo a scendere in piazza. I soldi vanno presi a chi possiede la ricchezza nella sua interessa (mobiliare e immobiliare), non solo a chi dispone di liquidità frutto del sudore della fronte, cioè da lavoro! Salutissimi - Leorod. 

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