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Il programma del governo sulla giustizia

Il programma del governo sulla giustizia, recentemente definito, si limita al processo penale, e già questo lascia alquanto perplessi perché le discrasie del sistema giudiziario nei settori civile ed amministrativo ne impediscono di fatto l’utilizzo ai cittadini in generale ed agli operatori economici in particolare. Ne consegue una grave distorsione della vita civile e dell’attività economica, con particolare riguardo al settore dei contratti della Pubblica Amministrazione, in cui, proprio per questo motivo, la corruzione impera sovrana (l’operatore economico che ha preclusa la via giudiziaria per far valere i propri diritti, alla fine se ne cerca un’altra).

Comunque sia di ciò, anche sul processo penale le intenzioni del governo non appaiono chiare e congruenti.

Grazie al cielo sembra del tutto abbandonata l’ipotesi di riforma della fase inquirente attraverso una diversa strutturazione dell’attività di Pubblico Ministero e di quella della Polizia Giudiziaria, ipotesi che aveva a suo tempo sollevato fortissime perplessità anche sotto il profilo della legittimità costituzionale.

Viene riconfermata, invece, l’intenzione di separare del tutto la magistratura inquirente dalla magistratura giudicante, e su questo punto finalmente tacciono le voci contrarie. E’ di solare evidenza che chi esercita l’azione penale non deve in alcun modo essere contiguo a chi emette il giudizio perché non si è ancora dato il caso umano di una persona che dà torto a se stessa: la coincidenza, anche minimale, fra accusa e giudizio può essere definita «giustizia sommaria»ed è tipica delle dittature di ogni genere e specie.

Accanto a questo, però, il cosiddetto lodo Alfano a tutela delle persone che rappresentano le più alte cariche dello Stato. Orbene, non è affatto chiaro perché qualcuno debba essere tutelato da un sistema giudiziario efficiente. Il lodo Alfano nasce da una ammissione piena ed aperta delle discrasie e dei malfunzionamenti della giustizia e crea una disparità fra il comune cittadino e le persone con i più alti incarichi pubblici nel nome di quella che è nota come Ragion di Stato. Orbene, una simile norma appare congruente ed accettabile solamente in via transitoria e sino ad aver riportato a normalità il sistema giudiziario penale e quest’ultimo dovrebbe essere l’obiettivo primario del governo sulla giustizia. Che poi la sola separazione fra magistratura inquirente e magistratura giudicante sia sufficiente per conseguirlo, orbene basta avere una minima esperienza giudiziaria per capire che non è affatto così.

Il nostro modello processuale accusatorio, mutuato da quello francese introdotto in tutta Europa dalle armate napoleoniche, poggia su quattro grandi fondamenti: la procedura pubblica ed orale, la giuria e la libera difesa. Il primo numero della rivista «l’Eco dei Tribunali» di Venezia, datato 4 agosto 1850, accoglie questo modello con le parole «questo sistema è il solo che raggiunga i tre supremi scopi d’ogni buona legislazione penale, vale a dire la sicura punizione del reo, la salvaguardia dell’innocente e la moralizzazione del popolo». Orbene, da allora nulla è cambiato al riguardo e le discrasie ed i malfunzionamenti del nostro sistema giudiziario hanno origine proprio nel mancato rispetto di questi principi.

Un primo esempio che si può portare è quello del decreto penale, provvedimento di condanna senza pubblico processo alcuno. Abbiamo tutti visto quali aberranti conseguenze esso possa avere nel caso dell’ex direttore del quotidiano L’avvenire Dino Boffo: in carenza di una delle quattro caratteristiche del processo penale, quello della pubblicità, si è venuto a creare il classico scheletro nell’armadio da far saltar fuori alla bisogna. Una seconda esigenza del cittadino dinanzi al sistema giudiziario è quella di essere posto sempre e comunque nella condizione di dare la propria versione dei fatti per i quali è imputato, facendo valere il principio della difesa tecnica. Questo dovrebbe verificarsi sia durante la fase istruttoria, opportunamente contemperando le esigenze di segretezza dell’attività istruttoria, sia durante la fase processuale. In particolare, entro termini molto brevi dal rinvio a giudizio, una prima udienza dovrebbe consentire all’imputato, nella pubblicità del dibattimento, di ammettere la propria colpevolezza ovvero di contestare le accuse contro di lui formulate, fornendo la propria versione dei fatti. Inoltre appare del tutto incongruente l’attuale netta separazione fra fase istruttoria e fase processuale: cosa impedisce secondo ragione il sorgere di ulteriori esigenze istruttorie dal dibattimento? Insomma, le nostre attuali rigide procedure, in nome di un non meglio precisato garantismo, impediscono di fatto il funzionamento della macchina giudiziaria.

Una nota a parte, infine, per l’ipotesi di introdurre una non meglio precisata responsabilità civile e disciplinare dei magistrati, oggi demandata al C.S.M., organo di autotutela della magistratura: in cosa dovrebbe consistere ?

Insomma, come spesso accade, poche e confuse idee dell’attuale governo anche sulla giustizia.

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