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Il pensiero filosofico giuridico di G.W.F. Hegel e le ideologie politiche totalitarie del Novecento

1. Hegel, che era nato a Stoccarda nel 1770, muore a Berlino il 14 di Novembre del 1831. Figura di assoluto rilievo per la cultura tedesca e occidentale in genere, a tutti gli effetti e per gli sviluppi teorico politici che si innescheranno proprio con l’affermarsi del suo pensiero a partire dal quale ha inizio la filosofia contemporanea, egli considerò la filosofia come uno scandaglio attraverso cui poter conoscere il razionale e come mezzo di comprensione del presente e della realtà che circonda l’uomo.

Con i suoi “Lineamenti della filosofia del diritto”, opera che figura tra le più influenti dell’intero pensiero etico politico occidentale e che riflette le convinzioni dell’autore sui temi morali e giuridici, Hegel intende raccogliere i fondamenti della Scienza dello Stato, tentando di “comprendere concettualmente lo Stato e di esporlo come qualcosa di intimamente razionale” [1]. Nel proseguire la esposizione dei principi basilari dell’opera, il filosofo tedesco precisa ulteriormente che “In quanto scritto filosofico, essa non può tenersi lontanissima dal dover costruire uno Stato così come esso dev’essere” e che “L’insegnamento contenuto in tale scritto non può consistere nell’indicare come dev’essere lo Stato, ma, piuttosto, nel mostrare in che modo esso, che è l’universo etico, dev’essere conosciuto”.[2]  

Precisazioni filosofiche, quelle che sono state appena citate, di grande portata, che suonano come ulteriore conferma del fatto che il mondo etico-politico e giuridico viene considerato da Hegel come uno dei luoghi dove in modo concreto ed effettivamente trova compimento ognuna delle proposizioni che concorrono alla composizione del suo sistema filosofico generale. All’interno di tale sistema, in maniera inequivocabile si afferma perciò l’Idea, l’Assoluto, ovvero il raggiungimento, da parte dell’uomo, della ragione autocosciente.

2. Sostiene Hegel: “Il terreno del diritto è, in generale, lo Spirituale, e, precisamente, il suo luogo e punto di partenza è la volontà libera. Pertanto, la Libertà costituisce la sostanza e la destinazione del Diritto, e il sistema giuridico è il regno della Libertà realizzata, è il mondo dello Spirito prodotto, come una seconda Natura, dallo Spirito stesso” [3]. 

Con la Filosofia del diritto, ancora una volta il filosofo tedesco riafferma, da un lato il suo deciso rifiuto per il dover essere che non è realtà, dall’altro l’assoluta preminenza del razionale, ovvero del reale. Il dominio del razionale e del reale, peraltro, non è riscontrabile solo nell’ambito della natura, ma, a maggior ragione, all’interno del mondo giuridico e etico (l’insieme, cioè, di famiglia, società e Stato) quale elemento portante dell’intera istituzione statale.

La condizione di esistenza del diritto e quella che consente la sua piena realizzazione risiedono nel risolversi della volontà di ciascun individuo (che è finita) in una volontà che non ha fine, universale, una volontà, secondo la formulazione hegeliana, che è in sé e per sé, veramente infinita, perché il suo oggetto è essa stessa. Per essa, quindi, l’oggetto non è un Altro, ne è una limitazione: nel suo oggetto, piuttosto, la volontà è soltanto ritornata in sé.” [4] La volontà infinita è andata via via concretizzandosi e ha conquistato la sua libertà nel corso della storia; essa elimina la contraddizione tra soggettivo e oggettivo e coincide con lo svilupparsi del contenuto sostanziale dell’idea. L’idea, inizialmente anch’essa astratta, diventa totalità del suo sistema[5]. Date le premesse, Hegel arriva a fornire del Diritto la definizione seguente: “Che un’esistenza in generale sia esistenza della volontà libera: questo è il diritto. In generale, quindi, il Diritto è la libertà in quanto Idea.” [6]

Gli studi filosofico giuridici hegeliani hanno come base di partenza l’esistenza del diritto. Poiché questa consiste nel realizzarsi dell’idea, il diritto come scienza avrà il compito di studiare e spiegare i processi mediante i quali l’idea si realizza. Troviamo qui il fondamento della scarsa autonomia della filosofia del diritto di Hegel. Essa, infatti, “riceve il suo vero significato unicamente nel contesto sistematico globale e in conformità al posto che occupa in tale contesto.[…] In altre parole: la filosofia del diritto non determina da se stessa i propri concetti fondamentali, bensì li mutua dalle sfere filosofiche sistematicamente anteriori e, in primo luogo, dalla logica la quale è la protofigurazione del sistema stesso”.[7]  

3. La dottrina filosofico politico giuridica di Hegel è stata da più parti, nel corso della storia del pensiero più recente, assai duramente criticata in quanto giudicata ispiratrice delle ideologie totalitaristiche e repressive sviluppatesi in Europa nei primi decenni del XX secolo. Per altro verso, in relazione alle critiche di cui sopra, essa è stata riesaminata da filosofi come Herbert Marcuse e Gyorgy Lukacs che hanno appassionatamente difeso la teoria hegeliana e hanno respinto l’accusa mossa a quest’ultima di essere ostile all’individuo e più in generale al popolo.

Karl Popper, teorico della società aperta, è convinto assertore della linea di pensiero che vede il pensiero di Hegel come il primo germogliare di una tendenza ideologica da cui si svilupperanno, nel Novecento, Fascismo e Nazismo. Popper attacca duramente il pensatore tedesco in particolare sostenendo la teoria di una discendenza diretta del pensiero di Hegel dalla filosofia platonica (anche essa da Popper ritenuta di matrice autoritaristica - il riferimento è, qui, a una delle opere dell’ultimo Platone, La Repubblica, lo scritto politico più noto e significativo del filosofo greco) e dell’adesione supina dello stesso filosofo di Stoccarda alle convinzioni politiche autoritarie del sovrano di Prussia Federico Guglielmo III.

Popper sostiene: 

‘Al fine del di dare al lettore un'idea diretta del culto platonizzante dello stato, proprio di Hegel, citerò pochi passi, ancor prima di cominciare l'analisi della sua filosofia storicistica. Questi passi mostrano che il collettivismo radicale di Hegel dipende tanto da Platone quanto da Federico Guglielmo III, re di Prussia nel periodo critico della Rivoluzione Francese e degli anni immediatamente successivi. La loro dottrina è che lo stato è tutto e l'individuo nulla; infatti quest'ultimo deve tutto allo stato, sia la sua esistenza fisica sia la sua esistenza spirituale. Questo è il messaggio di Platone, del prussianesimo di Federico Guglielmo, e di Hegel’.[8]

Dal canto suo, Marcuse, in una delle opere dei suoi anni più impegnati, rileva come lo Stato e l’autorità statale siano necessariamente sovraordinati rispetto all’individuo e a tutte le società civili. Ciò, in quanto il compito supremo della massima istituzione politica è quello di salvaguardare l’interesse dell’intera collettività. I tratti fondamentali dello Stato moderno risiedono, secondo Marcuse, nella corrispondenza tra l’universale dell’istituzione politica suprema e il particolare della libertà e del benessere di ciascuno. Secondo il professore tedesco, pertanto, l’individuo viene considerato e valorizzato al massimo grado dalla filosofia politica di Hegel, posto che, all’interno della stessa lo Stato e le sue istituzioni risultano fondati sulla conoscenza e sulla volontà di coloro che ne fanno parte.[9]

E anche del fraintendimento, anzi della distorsione e reinterpretazione in senso ‘reazionario’ e ‘fascista’ dei primi scritti hegeliani si occupò Lukacs in un importante studio da lui terminato nel 1938 e dato alle stampe verso la fine degli anni Quaranta del Novecento. In quella sede il filosofo ungherese indica il neohegelismo (corrente filosofica che accoglie studiosi di origine anglosassone e anche italiana che si sviluppa a cavallo tra i secoli Diciannove e Venti) quale movimento di pensiero responsabile delle gravi falsificazioni cui vennero assoggeti gli scritti del primo Hegel.

‘Il neohegelismo – scrive Lukacs – intende promuovere – sul piano ideologico – la tesi di una concreta, positiva e totale <riconciliazione> con la forma statale della Germania. E’ pertanto chiaro che debbono venire in primo piano, sotto ogni riguardo, proprio i motivi reazionari della filosofia hegeliana’ .[10]

Sempre facendo riferimento a manoscritti hegeliani giovanili dispersi, nascosti e dimenticati nel momento in cui il filosofo ungherese scrive, Lukacs continua:

‘E la tendenza generale di questi neohegeliani – come si riflette chiaramente nei discorsi di Kroner, Glockner ecc. ai diversi congressi hegeliani – è di realizzare, con l’ausilio della <conciliazione> hegeliana, e con l’apparente applicazione del metodo hegeliano della storia della filosofia, una <sintesi> di tutte le correnti filosofiche del presente (compresa quella del fascismo). […] Gli abbozzi e le note di Hegel, per lo più non destinati alla stampa , vengono sempre più energicamente interpretati in modo che attraverso di essi possa sorgere l’immagine di un filosofo <genuinamente tedesco>, vale a dire irrazionalistico e misticheggiante, e gradito al fascismo. […] Ma nonostante tutte queste lacune e mancanze, abbiamo a disposizione un materiale relativamente vasto per lo sviluppo giovanile di Hegel. E poiché il neohegelismo fascistizzante ha utilizzato questo periodo per fare di Hegel un irrazionalista gradito ai fascisti, non è un compito secondario quello di confrontare queste falsificazioni coi fatti storici.’ [11]

La filosofia hegeliana, per come essa risulta formulata, ha spesso prestato il fianco alle critiche di eccessivo statalismo e di nazionalismo di chi ha accusato Hegel di essere quantomeno una delle fonti di maggiore ispirazione teorico politica per gli stati totalitari che si sono affermati nel Novecento. Ciò appare del tutto comprensibile. Tuttavia riteniamo che i punti di vista di Marcuse e Lukacs sullo specifico argomento presentino punti di contrasto alle critiche assolutamente convincenti e consentano di escludere con ragionevole certezza la presenza, nella filosofia del diritto hegeliana, di quegli elementi teorici in senso autoritaristico che sono stati ingiustamente attribuiti agli scritti di Hegel.


[1] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Tit.orig. Grundlinien der philosophie des rechts, cura e trad.it. Vincenzo Cicero, Milano 1996, p.61.

[2] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., p.61.

[3] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., p.87.

[4] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., p.111.

[5] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit. p.117.

[6] Ivi.

[7] Vincenzo Cicero, nella introduzione a: Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., pp. 11 – 12.

[8] Karl R. Popper – Contro Hegel (da La società aperta e i suoi nemici), a cura di Massimo Baldini e Lorenzo Infantino, Roma 1997, pp.24-25.

[9] Herbert Marcuse, Ragione e rivoluzione, tit.originale Reason and Revolution. Hegel and the Rise of Social Theory, trad. it. Di Alberto Izzo, Bologna 1976, pp.248-249

[10] Gyorgy Lukacs, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, pp. 8-9.

[11] Gyorgy Lukacs, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, cit., pp. 8-9, 10, 14.

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