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Il no alla Tav Torino-Lione, ancor prima che liberale, è economicamente razionale

Anche chi liberale non è, socialista, comunista, fascista o illiberale di qualsivoglia credo, non potrebbe forse opporsi alla costruzione di una infrastruttura non remunerativa?

Fin dall’aprile 2007 un paper dell’Istituto Bruno Leoni, a firma degli economisti Andrea Boitani, Marco Ponti e dell’ingegnere dei trasporti Francesco Ramella, illustrava, recita il titolo, "le ragioni liberali del no" alla costruzione della linea ad alta velocità tra Torino e Lione, ragioni da ricercare nella circostanza che essa non incrementerebbe la competitività del Paese né diminuirebbe significativamente l’inquinamento atmosferico .

Ma se le considerazioni svolte nel saggio non hanno perso, come presumiamo, la loro validità anche dopo le modifiche apportate alla Torino-Lione nel corso degli anni, ci domandiamo tuttavia se esse debbano essere considerate come esclusivamente “liberali”.

Anche chi liberale non è, socialista, comunista, fascista o illiberale di qualsivoglia credo, non potrebbe forse opporsi alla costruzione di una infrastruttura non remunerativa?

Tentare di vendere sabbia nel deserto è una operazione illiberale o più semplicemente economicamente irrazionale?

Il governo comunista cinese ha difeso la realizzazione della linea ferroviaria Pechino-Lhasa, capitale del Tibet, sostenendo che l'incremento dei flussi turistici che essa genererà nel tempo ripagherà degli altissimi costi di costruzione, mentre ambientalisti e attivisti verdi, cinesi e occidentali, denunciano lo scempio ambientale che essa avrebbe provocato.

Tra le due posizione quale è allora quella più liberale?

Si obietterà che la dirigenza cinese con il “treno del cielo” persegue fini anche politici, “illiberali”, di corroborazione dell'orgoglio nazionalistico e di incremento dell'etnia Han a scapito di quella tibetana.

E che forse i governi liberali nel corso della storia occidentale hanno sempre assunto la mera razionalità economica a stella polare dei loro disegni?

La seconda tratta del “treno del cielo”, quella che ha portato in Tibet, fu iniziata nel 2001, poco più di cinquant'anni dopo la nascita della Repubblica popolare cinese.

A poco più di cinquant'anni dalla nascita del Regno, l'Italia liberale entrava in guerra al grido di Trento e Trieste, senza certamente una previa analisi dei costi/benefici derivanti dalle acquisizioni territoriali.

E il nostro boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento non si è forse fondato anche sulle forti correnti migratorie dal Sud al Nord del Paese?

La costruzione della Torino-Lione, allora, non realizza probabilmente alcun obiettivo, né economico, né politico, e potrebbe quindi essere condannata sia dai liberali che dai non liberali.

Anche i più sensibili alle sirene nazionalistiche, infatti, non potrebbero certamente fremere di eccitazione allo slogan Torino-Lione (manco quest'ultima fosse italiana), come le piazze italiane nelle radiose giornate di maggio.

Commenti all'articolo

  • Di Giorgio Zintu (---.---.---.5) 2 agosto 2011 14:44
    Giorgio Zintu

    Qualche obiettivo ci sarà pure dietro quest’opera. Forse si tratta di garantire una "grande opera" con commesse adeguate per le imprese. Il punto è che abbiamo un sistema di comunicazioni stradali e forroviarie obsoleto, incompleto e "d’altri tempi". Analizzando e risolvendo queste inefficienze storiche si lavorerebbe molto di più e con risultati diffusi sul territorio. Ma...

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