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Il fallimento della destra di governo

Nel 2008 la coalizione di centrodestra, vinse il governo del paese, mentre Gianni Alemanno si affermò come sindaco della capitale. Non era mai successo che lo schieramento di Berlusconi controllasse Palazzo Chigi e le due più importanti città italiane: non solo Roma ma anche Milano con Letizia Moratti. A quasi quattro anni dalla storica avanzata della destra del maggio 2008, il bilancio di quelle esperienze di governo è fallimentare. Fallimentare perché non sono riuscite ad incidere nel miglioramento della qualità di vita dei cittadini. Confermando il fatto che la destra italiana è indiscutibilmente capace a smuovere paure e fomentare inquietudini (che portano voti) ma è sostanzialmente inadeguata ad amministrare la cosa pubblica sia a livello locale che nazionale. Non tanto per una mancata predisposizione a “fare politica”, anche se alla comunità essi preferiscono quasi sempre l’interesse del “particulare” ma per una palese inabilità a scindere la componente elettorale e propagandistica dalla dimensione reale e sostanziale che dovrebbe caratterizzare ogni provvedimento di governo. Del piccolo comune, della metropoli, come della nazione.

Tralasciando Letizia Moratti sconfitta da Giuliano Pisapia alle ultime amministrative del maggio 2011, sull’onda delle polemiche sulla gestione dell’Expo, delle opere annunciate e mai cantierizzate, ma soprattutto dalla inesistente sintonia con i milanesi passiamo agli altri due politici che hanno segnato plasticamente, negli ultimi mesi come nelle ultime ore, il fallimento della destra di governo. Silvio Berlusconi ascese al soglio di piazza Colonna quasi 4 anni fa ingenerando grandi aspettative sia tra i suoi elettori sia forse tra quelli di sinistra che celatamente speravano nel suo pragmatismo per dare una svolta alla situazione italiana. Della sua governance come usa dire di questi tempi si ricorda poco o nulla. Forse i fondali barocchi nella sala stampa, forse le statue romane collocate nelle stanze del governo e prontamente rimosse dal suo successore e poco altro. Quello che non verrà mai dimenticato sono gli scandali sessuali e la difficilissima situazione economica che l’esecutivo di destra non è riuscito ad amministrare ma anzi che la sua sola presenza a Palazzo Chigi aggravava. Il Cavaliere inaugurò il suo operato abolendo l’ici sulla prima casa, provvedimento già in parte deciso dal precedente governo Prodi, e poi il nulla. Qualche intervento della Gelmini parziale ed incompiuto sull’università, qualche “riformetta” di Brunetta sui meccanismi della Pubblica Amministrazione, qualche buona intenzione di Maurizio Sacconi in tema di welfare e mercato del lavoro. E poi ? Un’opaca gestione delle emergenze (Alitalia, rifiuti a Napoli e terremoto all’Aquila), una ondivaga politica estera poco europea a base di cucù alla Merkel ed ammicamenti a Putin e Gheddafi. Tutto qui? Non viene in mente molto altro. Ah sì. I crolli di Pompei, i litigi con Tremonti, i medi di Bossi, le leggi bruciate da Calderoli, le gaffe internazionali, l’esercito nelle piazze. Basta? Ah no. C’è anche l’esercito di terra cotta delle riforme mancate. La riforma costituzionale, la riforma della giustizia, la riforma del lavoro, la riforma federalista tutti progetti che come l’isola di Atlantide affiorano in periodo elettorale per poi sprofondare negli abissi marini fino a chissà quando. Fine della storia? No. Ci sono tutti gli alibi e le scusanti per quello che non è stato portato a termine. Se lo spread sale, se il Presidente del consiglio italiano in Europa conta meno del Premier maltese (per tutto il rispetto dei maltesi), se il debito pubblico è diventato insostenibile, se i servizi non funzionano e le tasse aumentano di chi è la colpa? In parte della stampa di sinistra, di De Benedetti, e del complotto internazionale. In parte della corte costituzionale, del Parlamento, dei giudici e del Presidente della Repubblica. Tutte scuse per mascherare la propria incapacità.

La stessa tecnica dello scarica barile è utilizzata da Gianni Alemanno in queste ore, in cui una violenta nevicata ha messo in ginocchio Roma come non succedeva da 30 anni. Se pur riunioni preparatorie erano state tenute nei giorni scorsi e l’amministrazione comunale era avvertita dell’entità dell’emergenza che di li a poco si sarebbe abbattutta, nulla è stato fatto (di concreto) oltre alla chiusura delle scuole per evitare ai romani molti disagi. Uno sprazzo di professionalità e competenza poteva essere garantito nell’affrontare un evento inusuale ma atteso. Era il minimo che ci si poteva aspettare dalla destra di ordine e governo incarnata dal sindaco Alemanno, al quale basta una nevicata in pieno inverno, un’acquazzone più pesante del solito o una pubblicizzata inaugurazione di un centro commerciale per farsi prendere da imbarazzanti attacchi isterici. Come se dall’inizio della sua sindacatura si fossero abbattuta su Roma una serie di calamità mai registrate prima. E se fosse stato lui a dover condurre le opere per il grande giubileo del 2000 oppure si fosse trovato a gestire la folla oceanica che nel 2005 accorse a Roma per celebrare i funerali di Giovanni Paolo II, cosa sarebbe successo? Sono bastati i mondiali di nuoto a Roma del 2009 per rendersene conto. Una serie infinita di disfunzioni e di opere pubbliche appaltate alle solite “cricche” romane e nazionali. Da dimenticare. Meglio non domandarsi cosa potrebbe accadere ai giochi olimpici del 2020. Se Roma dovesse vincerli e questa destra dovesse rimanere al governo della città.

Per Alemanno, la causa della disastrosa risposta dell’amministrazione comunale all’emergenza della grande nevicata del 3 febbraio è da individuarsi nell’inadeguatezza della protezione civile come per Berlusconi l’aumento insostenibile dello spread tra Bund e BTP era colpa della congiuntura internazionale e di forze ignote non meglio identificate.

Siamo alle solite. Mai un po’ di autocritica. Mai un’assunzione (anche parziale) di responsabilità. Se fosse nei suoi poteri sarebbe ora che Giorgio Napolitano nominasse “una giunta tecnica” a Roma come ha fatto già per il governo nazionale. Potrebbe infondere un po’ di fiducia nei romani come la nomina di Monti ha fatto per i mercati. Peccato che non può. Ci penseranno le elezioni a mandarlo a casa. Dopo la performance di questi giorni è quasi certo.

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