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Il conflitto d’interessi nelle riforme istituzionali ed elettorali

La Tavola Rotonda, recentemente tenutasi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Messina sul tema "Voto di preferenza, liste bloccate o che altro?" ha evidenziato quella che è forse la principale connotazione dell’attuale affaticarsi delle forze politiche intorno al grande tema delle riforme istituzionali ed elettorali, fra di loro fortemente intrecciate: il conflitto di interessi, in cui dette forze politiche si sono venute inesorabilmente a trovare, a causa delle previsioni dell’effetto sull’elettorato dell’adozione di nuove regole per la politica.

I relatori della Tavola Rotonda, pienamente consapevoli di questo, lo hanno chiamato "il problema del tacchino", il quale non può essere felice per l’approssimarsi del Natale perché sa bene cosa la grande festività comporti per lui.

E difatti, ciascun politico relatore si è fatto portavoce e sostenitore di riforme istituzionali ed elettorali che, come si suole dire, portavano acqua al mulino del suo partito di appartenenza. A fronte degli interessi "particulari"dei singoli partiti politici, l’interesse generale ha portato al referendum di Segni del 1991, il quale ha, per così dire, “sparigliato” il sistema elettorale nato insieme all’attuale Costituzione Repubblicana, dopo il crollo del fascismo ed il referendum Repubblica/Monarchia e rivelatosi non più rispondente alle esigenze del Paese.


A tal proposito è stato messo più volte in evidenza che i Padri della Costituzione, illo tempore, furono facilitati nel loro compito dal non trovarsi in alcun conflitto di interessi, in quanto provenivano da una stagione politica non democratica (il ventennio fascista) e non sapevano quali conseguenze avrebbero avuto sull’elettorato le loro scelte.

La prima considerazione che sorge spontanea è quella che, una volta definito il quadro Istituzionale e le leggi elettorali, le sue eventuali modifiche non dovrebbero essere consentite ad una sola parte politica: la tutela dell’ex art. 138 della Costituzione dovrebbe essere opportunamente estesa anche alle leggi elettorali.

Insomma, il cambiamento delle regole fondamentali della politica dovrebbe essere il frutto di un consenso quanto più ampio possibile, contrariamente a quanto è accaduto con l’adozione del cosiddetto "porcellum".

Su come giungere, poi, ad una nuova definizione del quadro istituzionale ed elettorale, forse i partiti politici, pienamente consapevoli del loro trovarsi in una situazione di conflitto d’interessi, dovrebbero con onestà fare un passo indietro ed affidarne la scelta a forme di democrazia diretta, come i referendum popolari. Magari utilizzando anche a pieno il disposto del sopraccitato art. 138 della Costituzione che prevede espressamente consultazioni referendarie in caso di modifiche alla Carta medesima non accolte da una maggioranza di due terzi delle Camere. Ma saprà mai essere il tacchino felice per l’approssimarsi del Natale ?

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