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Il cavaliere dell’Apocalisse e il giorno del giudizio

L’aria è quella dell’attesa, anzi del temporeggiamento in vista del 14 dicembre.

Ora si tratta, com’è evidente, di non sbagliare nemmeno una mossa per favorire la necessaria exit strategy dal secondo atto della Prima Repubblica.

Di tanto in tanto, però, si prospetta un incomprensibile indugio nel compimento di quell’azione che si è resa irrinunciabile: dar vita ad un fronte parlamentare (di unità costituzionale), di diffusa e matura consapevolezza, capace di interpretare il ritorno alla norma che l’opinione pubblica auspica e in grado, così, di rispondere in via definitiva all’imperante teatro dell’assurdo in cui è precipitata l’Italia.

Ecco perché, oggi, molti italiani, davanti all’immortale ignavia, all’andamento altalenante di chi si presenta, alternativamente, giusto oppositore e incomprensibile aperturista, restano sgomenti.

Il prolungato marasma e la protratta agonia di questo governo del (bluf)fare risultano, oramai, inspiegabili.

Il riferimento al bluff non è casuale. A cosa abbiamo assistito, in tutti questi anni, se non ad una mistificante simulazione di chi ha cercato di apparire più meritevole o più abile di quanto, in realtà, era ed è? Ancor oggi le prevedibili mosse del cavaliere dell’apocalisse, in attesa del giorno del giudizio, sono tutte orientate nel far credere agli avversari di avere in mano carte vincenti, per indurli a ritirarsi dal gioco rinunviando alla posta.

In tutto questo caos, di cui storicamente il cavaliere dell’apocalisse si è alimentato e continua ad alimentarsi, chi paga il prezzo più alto è l’Italia tutta.

Questo, ovviamente, poco importa a quel figuro che si è addirittura spinto a dipingere scenari da guerra civile (il cui riferimento, anche e solo verbale, resta frutto di un delirio inaudito).

Occorrono segnali inequivocabili. La doverosa cautela, che i tempi della politica sovente impongono, non può tradursi in incessante titubanza.

Cos’altro c’è da aspettare? Dopo le macerie, il diluvio, le intemperie che hanno avvolto il clima politico, il crollo di parte del nostro patrimonio culturale, l’immobilismo e la stagnazione economica, il disfacimento dell’Italia come unica entità nazionale, dobbiamo rassegnarci alla definitiva apocalisse?

E’ tempo di reagire, nelle opportune forme che offre la nostra democrazia parlamentare e rappresentativa degli interessi nazionali.

L’unica “cosa” sinistra che in Italia sopravvive alberga, impunemente, in quella destra eversiva (rispetto alla legge e alla Costituzione) davanti alla quale è diventato urgente e inderogabile (im)porre un argine.

Prima che arrivi il buio più nero e che un rinascente fascismo, dei fascisti più fascisti dei fascisti, trovi facile e rassegnato trionfo.

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