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"Il Nipote di Rameau": tra illuminismo francese e attualità

Le luci si accendono poco alla volta sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli, come a svelare gradualmente la scena.E davanti a noi Diderot, seduto al consueto Café de la Régence, luogo in cui si incontrano individui di ogni genere. Tra questi Jean-François Rameau, musico fallito e amorale, nipote del famoso musicista Jean-Philippe.

Silvio Orlando è il protagonista de “Il Nipote di Rameau”, di cui cura inoltre regia e adattamento (qui in collaborazione con Edoardo Erba). L’opera, tra i capolavori della satira illuminista del settecento, mostra al pubblico due facce di una stessa epoca: la società illuminista da una parte, quella ipocrita e meschina dall’altra. Rameau ne rappresenta l’esatta sintesi: un uomo tra il sublime e il volgare, geniale e mediocre, che, senza pudore e ipocrisia, sfida i solidi valori etici e morali incarnati qui da Diderot (Amerigo Fontani), confessando apertamente torbide certezze e pensieri comuni a tutta la società che però, dal canto suo, li tiene ben celati.

L’assenza di Rameau dai teatri italiani per una ventina di anni suscita così una nuova analisi di una società profondamente mutata. Da qui ai recenti fatti di attualità, il passo è breve. Quale strada far imboccare ai propri figli? Quella della moralità, della rettitudine o quella indubbiamente più facile della dissoluzione, lodando atti spregevoli e arrivisti, alla ricerca della benevolenza e della ricchezza dei potenti? Come si colloca in questo panorama il ruolo dell’intellettuale? Dove iniziano e finiscono la sua libertà e la sua incorruttibilità? Quanto c’è di amorale in una personalità geniale?

Lo spettatore è portato quindi a riflettere su quanto una storia del settecento francese possa trovare riscontri nella società odierna, poiché la natura umana, virtuosa e al contempo imperfetta, non è poi così soggetta allo scorrere del tempo.

Ciò che più stupisce è la tranquilla consapevolezza che il protagonista ha di sé, dei suoi vizi e della sua amoralità. Un uomo che segue solo ed esclusivamente il proprio interesse, senza dare il minimo peso al concetto di bene e male, ma anzi ribalta questa visione, capovolge le teorie e i solidi principi del filosofo francese, lasciando in dubbio se la sua vena dissoluta e provocatrice nasconda in realtà un pensiero raffinato e libero, che solo in pochi accettano, ma comune a molti.

Un Silvio Orlando strepitoso e istrionico riesce a strappare sorrisi e risate al pubblico, nonostante i temi impegnativi, grazie alla leggerezza con cui tratta l’opera. Rispolverando il repertorio della pantomima, della mimica facciale e dell’uso di pupazzi in scena, Orlando sapientemente incuriosisce la platea che ricompensa con lunghi applausi.

Lo spettacolo, in replica fino domenica 16 dicembre al Teatro Nuovo di Napoli, lascia aperti interessanti spunti di confronto, oltre che una buona dose di ammiccamenti al panorama sociale attuale.

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