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 Home page > Tribuna Libera > Il Monti che tanti vogliono. Ma che deve restare solo

Il Monti che tanti vogliono. Ma che deve restare solo

Luca di Montezemolo non si candiderà alle prossime elezioni e si propone di sostenere, con la propria fondazione, un nuovo governo Monti. Allo stesso obiettivo hanno detto di puntare anche Fini, che propone una “lista civica nazionale” capace di unire tutte le “forse sane” del paese, e Casini che arriva ad auspicare la formazione di una nuova compagine politica “tra PD e PdL e alternativa al grillismo”.

Inutile dire che ho applaudito alla scelta di Montezemolo e non solo perché ritengo Mario Monti il miglior presidente del Consiglio possibile, oggi e per l’immediato futuro. Se resto convinto che il nostro paese abbia un bisogno disperato di un moderno partito liberale, e se continuo a sperare che Italia Futura possa essere uno dei nuclei fondanti di questa realtà, ritenevo anche che, dopo la tragicomica esperienza berlusconiana, il nostro paese non potesse permettersi l’arrivo alla politica di un altro grande imprenditore, dai tanti e molteplici interessi. Lungi dal criticare il “disimpegno” di Montezemolo, sono convinto che proprio restando ai margini della scena, il fondatore di Italia Futura possa contribuire al meglio, con le sue idee prima che con i suoi capitali, alla ricostruzione di un’Italia che è ormai arrivata a dover scegliere tra un destino liberale ed un futuro miserabile.

Spero che di questo si rendano conto anche Fini e Casini; che abbiano capito davvero come il paese non possa continuare, magari con qualche rappezzo, ad essere quello che sta perdendo competitività e ricchezza da almeno un trentennio.

Monti, cui continua ad andare tutta la mia stima, bloccato da mille vetri incrociati ha potuto fare pochissimo in questo senso, ma se la nostra società non torna ad aprirsi, se il merito non torna a trovare spazio, nella nostra economia come nella nostra politica, possiamo già prenotare il nostro posto nel terzo mondo. 

Un destino che sarebbe ineluttabile se non fossero miracolosamente rimasti in piedi tanti spezzoni del nostro sistema produttivo; una sorte verso cui, non bisogna dimenticarlo, hanno contribuito a condurre l’Italia anche gli stessi Fini e Casini che della nostra politica degli ultimi decenni sono stati sempre tra i protagonisti e che non possono arrogarsi altri meriti che quello (e solo fino ad un certo punto) di non aver fatto. Non hanno rubato, pare, e non si sono fatti leggi ad personam (ma sono rimasti con gli occhietti chiusi mentre qualcuno se le faceva), ma non hanno neppure fatto nulla per cambiare lo stato delle cose.

E’ questo, senza andar più lontano nel ricostruire le loro storie politiche (i liberali, caro Fini, non arrivano alla mezza età giocando ai Balilla) a far dubitare tanto del loro liberalesimo quanto della schiettezza del loro appoggio a Monti. E’ comprensibile che vogliano approfittare delle popolarità del Professore (che gode, stando ai sondaggi, della fiducia del 50% degli italiani) in vista delle prossime elezioni, ma, ed è questa la vera domanda da porsi, sarebbero poi disposti, con i loro elettorati, dopo una vita politica spesa nella difesa dello status quo, a sostenere un governo che avrebbe nelle riforme la propria unica ragione.

Dubbi che Fini e Casini possono dissipare, assieme agli altri politici che si dicono pronti a sostenere un nuovo governo Monti, facendo anche loro “un passo indietro”. Rinunciando a partecipare direttamente al governo, per costituire un’alleanza basata su un chiaro programma in campo economico che indichi agli italiani non solo il nome del presidente del Consiglio, ma, da subito e senza mercanteggiamenti, anche quello dei suoi ministri fino all’ultimo sottosegretario.

Sbagliatissimo sarebbe invece affibbiare al professore un’etichetta; trasformarlo nella facciata di un partito politico. Sarebbe assurdo che diventasse lo specchietto per le allodole del pregiato duo Casini-Fini, ma non dovrebbe neppure essere il volto di quel partito liberale di cui pure auspico la rifondazione e a cui penso si potrebbe “spiritualmente” iscrivere. Un partito che può certo riconoscersi nell’appoggio a Monti, ma non potrà essere il partito “di” Monti.

Questi, ma il discorso vale per chiunque altro fosse chiamato a governare nei prossimi anni, dovrà continuare a chiedere al paese degli sforzi straordinari; qualcosa che potrà fare solo se sarà appoggiato da altro che da una striminzita maggioranza parlamentare e che non potrebbe neppure tentare se si presentasse come il capo di una sola parte politica.

E’ qualcosa che spero capiscano anche Alfano, o chi per lui, e, soprattutto, Bersani che ha commentato l’idea di un Monti Bis con un “ la politica deve tornare ad essere credibile, rimettersi in gioco, affermare il suo ruolo e riconoscere il suo limite” di ammirevole fumosità.

Farebbe meglio a ricordarsi di Bismark e del suo “la politica è l’arte del possibile” e riconoscere che, in questo momento, non c’è proprio nessuno meglio di Monti per fare quel che Monti dovrebbe fare.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.226) 2 ottobre 2012 20:01

    Zero politica >

    Da un lato Monti è certo che il rigore favorirà la crescita e che l’uscita dal tunnel si avvicina. Dall’altro è pronto a continuare a “servire il paese” a fronte di “circostanze speciali”. A cosa sta pensando?

    Nell’ultimo anno il Debito è aumentato del 5% e, nonostante la Bce, il tasso d’interesse resta inchiodato al 5%. Il Pil è calato del 2,5% e la disoccupazione è cresciuta di 3 punti. Il costo del carrello della spesa è salito del 4,7% ed i consumi alimentari sono scesi del 2%.
    Per la UE il nostro “Indice Sociale” sta registrando, nel 2012, un tasso di caduta triplicato.
    Di quanto dobbiamo aspettarci che tale situazione debba peggiorare per diventare “speciale”?

    C’è anche un’altra possibilità.
    La “chiamata alle urne” è l’unica vera sfida delle capacità politiche. Assumere la guida di un “percorso” di crescita, per nulla facile e scontato, è prova di responsabilità. E’ mettere in gioco il consenso popolare.
    Viceversa.
    Per Monti cosa serve fare “lo chiede l’Europa”.
    Usare il paravento del “governo tecnico” in attesa di tempi migliori è la formula meno compromettente.
    Equivale allo “zero” in politica.
    Rischiare non è mai prerogativa di una casta di Primi Super Cives

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