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Il Governo della Nostalgia: genesi e prospettive

Dopo tre mesi di fastidiosi balletti e snervanti trattative, è finalmente nato il Governo della Nostalgia. Basta una rapida lettura del programma legastellato per capire che i partiti del neonato governo si rivolgono innanzitutto ai ceti sociali danneggiati dalle politiche di moderata austerità attuate nell’ultimo ventennio per contenere la crescita del debito pubblico.

I serbatoi sociali della nostalgia

La proposta d’istituire il reddito di cittadinanza ha tenuto banco durante l’ultima campagna elettorale. Il vero reddito di cittadinanza sarebbe un reddito da corrispondere incondizionatamente a TUTTI i cittadini e vorrebbe essere una misura per attutire i pesanti impatti sociali della robotizzazione dei processi produttivi. Prima di arrivare ad erogare un reddito periodico, monetario, individuale, universale e incondizionato (secondo la definizione data dalla Rete Mondiale per il Reddito di Cittadinanza), bisogna ripensare radicalmente l’attuale sistema di protezione sociale e programmare una transizione trentennale verso un nuovo Stato Sociale imperniato sul vero reddito di cittadinanza. Ovviamente niente di tutto questo è stato prefigurato dal MoVimento 5 Stelle, che propone solo il massiccio allargamento della platea dei beneficiari del sussidio di disoccupazione. In pratica, il reddito di cittadinanza pentastellato sarebbe una misura costosa, assistenzialistica e fortemente distorsiva delle regole di funzionamento del mercato del lavoro. Tutto lascia presumere che sia stato proposto per raccogliere i voti del serbatoio elettorale della vecchia Democrazia Cristiana nelle regioni meridionali.

L’altra proposta sbandierata in campagna elettorale è stata la cosiddetta flat tax. Al netto del fastidioso anglicismo, essa consisterebbe nell’applicazione di una sola e bassa aliquota fiscale sui redditi delle persone fisiche. Leggendo però il contratto per il governo del cambiamento, sembra che l’aliquota non sia più unica, perché se ne prevedono già due (al 15% e al 20%). Non voglio qui ripetere le obiezioni d’incostituzionalità su un meccanismo di tassazione assai poco progressivo, né ribadire la totale assenza di copertura finanziaria di questa dispendiosissima riduzione delle tasse. Non voglio nemmeno aprire un dibattito sui modelli di tassazione (personalmente sarei anche favorevole all’aliquota unica, purché accompagnata da un’imposta patrimoniale non penalizzante verso il capitale di rischio). M’interessa evidenziare le fasce sociali cui la proposta d’istituzione di un’aliquota unica si rivolge. Sono prevalentemente quelle fasce sociali dell’Italia settentrionale cui la Democrazia Cristiana garantiva l’evasione fiscale. Queste classi sociali, quando hanno iniziato a pagare un po’ di tasse, si sono inventate un’ascendenza celtica, la padania di Bossi e il veneto serenissimo governo di Bepin Segato. Oggi non si può più dire loro di non pagare le tasse, promettendo l’approvazione di un condono. Né le si può invitare ad aderire a fallimentari e ridicole campagne secessionistiche. Si può, invece, far loro intendere, con l’esotismo linguistico della flat tax, la possibilità di trasformare l’obbligo di contribuzione fiscale in un modesto e volontario obolo.

La nostalgia per Mamma DC, garante dell’assistenzialismo al Sud e dell’evasione fiscale al Nord, avrebbe raggiunto la sua vetta più alta con la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia. L’ottantaduenne economista di origine cagliaritana ha da tempo teorizzato la necessità di uscire dall’Euro e di tornare a quelle politiche d’indebitamento, inflazione e svalutazione tanto in voga negli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta. Il piano di uscita dalla moneta unica predisposto da Savona doveva essere attuato nottetempo e all’insaputa dei cittadini, i quali, durante l’ultima campagna elettorale, non sono stati chiamati ad esprimersi su tale eventualità. Il Piano Savona è un piano eversivo di sostituzione dell’unità valutaria nazionale, paragonabile, per la sua carica eversiva, al Piano Solo predisposto dal generale De Lorenzo nel 1964. Una ben studiata sequenza di spiazzanti dichiarazioni del ministro dell’Economia voluto da Salvini avrebbe generato il panico sui mercati finanziari e creato le premesse per il ritorno alla lira. Per fortuna, il Presidente della Repubblica, esercitando le sue legittime prerogative costituzionali, ha impedito l’attuazione dello scellerato Piano Savona.

Gli errori degli avversari

Il Governo della Nostalgia dell’assistenzialismo, dell’evasione fiscale e della lira, non è solo il risultato dell’alleanza di fasce sociali penalizzate dalla moderata austerità degli ultimi decenni, ma è anche figlio di alcuni gravi errori commessi da coloro che oggi l’avversano.

L’errore più grave l’ha fatto sicuramente Matteo Renzi con la sua fallimentare riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs Act. Anche in questo caso il fuorviante anglicismo cela immancabilmente una fregatura. La riforma del lavoro di Renzi avrebbe dovuto togliere qualche garanzia ai lavoratori a tempo indeterminato, in cambio di una consistente riduzione del numero dei lavoratori precari. Ci ritroviamo con meno tutele per i lavoratori a tempo indeterminato e più lavoratori precari. In pratica, Renzi ha realizzato un capolavoro al contrario che ha ampliato, anziché ridurre, il bacino dell’insoddisfazione sociale captata soprattutto dal MoVimento 5 Stelle. Anche la tardiva introduzione del reddito d’inclusione, fatta dal Governo Gentiloni dopo le dimissioni di Renzi, non ha consentito al PD d’intercettare il voto delle persone con maggiori difficoltà economiche.

Un altro gravissimo errore è stato commesso da quella parte del fronte del NO al referendum costituzionale del dicembre 2016 oggi all’opposizione del governo gialloverde. Forza Italia e Liberi-e-Uguali si sono distinti nel sostenere il NO alla Riforma Boschi non tanto per ragioni di merito, ma solo per regolare i loro conti con Renzi. Le motivazioni del loro NO sono state esclusivamente politicistiche. In particolare, Forza Italia ha sostenuto il NO perché non gradiva Mattarella alla presidenza della Repubblica, ma un presidente disponibile a graziare il condannato Berlusconi; LeU ha votato NO perché D’Alema non è stato nominato Alto Rappresentante dell’UE per la politica estera e di difesa. Entrambi questi partiti avevano votato inizialmente a favore della riforma costituzionale, ma hanno ritirato il loro appoggio durante la campagna referendaria solo per consumare le loro vendette nei confronti di Matteo Renzi. Il loro calcolo politico si è rivelato totalmente errato, perché, al di là delle loro intenzioni, sono finiti a fare i gregari dei leghisti e dei pentastellati, i veri arieti del fronte del NO. Forza Italia e LeU erano all’opposizione di Renzi e sono all’opposizione del governo gialloverde. Hanno avuto lo scalpo di Renzi, ma non sono riusciti ad uscire dalla loro condizione di emarginazione politica. Un tempo, sarebbero stati definiti utili idioti.

I capri espiatori: l’Euro, i migranti e i politici “tutti corrotti”

Il governo legastellato è nato anche grazie ad alcune campagne mediatiche montate ad arte, soprattutto sui socializzatori digitali (o social networks).

La prima di queste campagne è quella sull’Euro, ormai presentato dai legastellati come il capro espiatorio di tutti i mali. Nella narrazione legastellata l’Euro ha lo stesso ruolo attribuito agli ebrei dalla propaganda nazista. Ovviamente le cose non stanno affatto come i partiti di governo ce le raccontano. Essi ignorano che l’Euro ci ha consentito di realizzare un consolidamento non forzoso e di mercato del nostro debito pubblico. Il peso degli interessi sul totale del debito pubblico è stato inferiore al 3% nel 2017 (65 miliardi di interessi pagati nel 2017 su un debito di 2.260 miliardi). Il pagamento di interessi così bassi era semplicemente impensabile ai tempi della lira. Si fanno poi ingannevolmente ricadere sull’Euro sia la crisi del 2008, nata negli USA e innescata dalle cartolarizzazioni dei mutui rischiosi, sia gli aumenti indiscriminati dei prezzi praticati al tempo della sua introduzione (e non sanzionati dall’allora ministro Tremonti). D’altro canto, l’Unione Monetaria, nelle intenzioni dei suoi promotori, avrebbe dovuto essere una tappa intermedia verso l’Unione Politica Europea. All’Unione Monetaria avrebbe dovuto seguire almeno l’avvio dell’Unione Fiscale. Purtroppo la visione germanocentrica di Angela Merkel sta imprigionando l’Eurozona in una situazione di stallo e di fragilità. Oggi più che mai è possibile avviare l’auspicata Unione Fiscale, istituendo un Fisco europeo, un Ministro dell’Economia europeo ed europeizzando la gestione degli investimenti produttivi. Le prime eurotasse potrebbero essere la tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin tax), quella sulle transazioni digitali (web tax) e quella sulle emissioni di anidride carbonica (carbon tax). Gli investimenti produttivi decisi in sede comunitaria potrebbero essere finanziati anche dalla Banca Centrale Europea, alla quale si potrebbe “raccomandare” un atteggiamento più che benevolo verso la sottoscrizione dei titoli di debito emessi dal Tesoro europeo.

Il governo tedesco pretende di cristallizzare in eterno il compromesso parziale e provvisorio raggiunto a Maastricht nel febbraio del 1992. Quel compromesso è fragilissimo e, senza le forzature di Mario Draghi e della sua politica monetaria ultraespansiva, sarebbe già crollato. Non si può continuare ad insistere in maniera paranoica, come fa Angela Merkel, sulla non condivisione dei debiti tra gli Stati europei, perché, tra la condivisione e la non condivisione dei debiti, ci sono l’europeizzazione e la monetizzazione dei debiti fatti per finanziare gli investimenti produttivi. Non mi dilungo oltre su questi aspetti; ne ho fatto cenno solo per dare un’idea sia dei benefici che dei problemi dell’Unione Monetaria. Di sicuro essa non si migliora né facendola passare per un capro espiatorio, né con iniziative unilaterali ed autolesionistiche come quella pianificata da Paolo Savona, ma cercando le alleanze più idonee a farla progredire e a meglio tutelare il nostro interesse nazionale.

Un’altra campagna mediatica montata ad arte è quella contro gli immigrati. Ne ho già scritto in passato. La razzistica criminalizzazione degli immigrati è totalmente infondata. Il signor Salvini ne ha fatto la pietra miliare del suo successo elettorale. I numeri dicono esattamente il contrario. La diminuzione dei reati e degli sbarchi certifica invece il discreto successo degli interventi sinora attuati. La razzistica criminalizzazione degli immigrati è molto inquietante, perché cavalca senza scrupoli il razzismo radicato nei gruppi sociali meno istruiti. Un problema grande, biblico e molto complesso, come quello della gestione dei flussi migratori, sta diventando una manna per le carriere politiche di demagoghi spregiudicatamente capaci di vellicare e assecondare gli istinti più beceri e primitivi di una parte della popolazione italiana.

Un altro cavallo di battaglia della propaganda legastellata è la qualunquistica criminalizzazione della classe politica. Sorvolando sul fatto che la Lega, dopo le condanne del suo ex tesoriere Belsito e di alcuni componenti della famiglia Bossi, sarebbe il partito meno titolato di tutti a lanciare accuse di disonestà verso i politici, bisogna sottolineare che la Politica oggi è molto meno corrotta di qualche decennio fa. La riforma dell’immunità parlamentare del 1993, le continue inchieste giudiziarie contro la corruzione, il maggiore controllo dei mezzi d’informazione e la più forte pressione dell’opinione pubblica hanno molto indebolito quei ceti affaristico-criminali impadronitisi dei partiti liberaldemocratici della Prima Repubblica e protetti da Berlusconi a partire dal 1994. Il tasso di moralità della Politica nazionale è notevolmente aumentato. Oggi è impensabile la presenza in Parlamento di persone come quelle che trattarono la maxitangente Enimont o di pregiudicati come Previti e Dell’Utri. Sono invece sempre più evidenti gli abusi commessi da magistrati e investigatori in cerca di notorietà. La corruzione è sempre più pulviscolare e riguarda soprattutto i livelli amministrativi medio-bassi, anziché i vertici politici dello Stato. Per combatterla, va realizzata un’immane opera di semplificazione normativa, dal momento che è proprio l’assurda complessità della nostra macchina burocratica a rendere spesso necessario l’uso del lubrificante tangentizio per farla funzionare. Per queste ragioni, suonano sempre più stonate le generiche accuse contro la casta politica, sia perché stanno diventando autentici inni ad un pericoloso ed autoritario antiparlamentarismo, sia perché sono lanciate da partiti contrari all’abolizione di alcuni pezzi della stessa casta come il Senato, le Province e il CNEL.

 

Breve ritratto dei partiti di governo

Questa analisi non può essere conclusa senza esprimere qualche giudizio sui due partiti di governo. Iniziamo dal partito più facile da giudicare. La Lega è un partito con lo sguardo rivolto al passato. Fino a qualche anno fa, voleva distruggere l’Unità d’Italia; oggi vuole distruggere l’Unione europea. E’ un soggetto politico alieno dai valori illuministici, con innegabili pulsioni razziste e senza scrupoli nel dare rappresentanza agli evasori fiscali. I suoi modelli sono le democrazie autoritarie dell’Europa orientale: la Russia di Putin e l’Ungheria di Orban. Il suo attuale capo è un degnissimo esponente della tradizione politicomica italiota. In fatto di comicità, non è secondo nemmeno al duce del fascismo. Com’è noto, quest’ultimo iniziò a fare politica nel Partito Socialista Italiano e nessuno più di lui contribuì a spingere il PSI su posizioni massimaliste e rivoluzionarie; a partire dal 1919, smise di fare il rivoluzionario leninista e si mise a recitare la parte del controrivoluzionario fascista, riscuotendo per vent’anni un ineguagliato consenso popolare. Salvini, da degno interprete della politicomica italiota, ha iniziato a fare politica militando in un partito secessionista e vomitando inaudibili insulti razzisti contro i cittadini meridionali. Oggi, il politicomico ruspato indossa i panni del nazionalista e difensore degli italiani, dimenticando di avere sempre negato la sua italianità.

E’ certamente più difficile esprimere un giudizio sul MoVimento 5 Stelle. Inizialmente ho creduto che fosse la prosecuzione più strutturata del dipietrismo. Avendo considerato L’Italia dei Valori l’unico vero oppositore di Berlusconi nel quinquennio 2008-13, ho inizialmente guardato con favore all’intento dei pentastellati di dare voce alla montante domanda di onestà e moralità pubblica. Ho iniziato ad avere delle perplessità su di loro, quando rifiutarono ogni forma di collaborazione a Pierluigi Bersani, mentre tentava di formare un governo dopo le elezioni del febbraio 2013. Le perplessità del 2013 si sono mutate in forte contrarietà, subito dopo le elezioni europee del maggio 2014. E’ stato l’incontro tra Grillo e l’antieuropeista britannico Nigel Farage, tenutosi alla fine di maggio del 2014, ad illuminarmi sulla vera natura del M5S. Le relazioni di amicizia successivamente intavolate dal M5S col partito di Putin me li fanno ormai iscrivere d’ufficio al fronte antieuropeista. Tutti i nemici dell’Europa, dai russi agli eurofobi britannici, sono loro amici. Ormai sembra che le parole d’ordine sull’onestà e sul cosiddetto reddito di cittadinanza servano solo a nascondere la volontà pentastellata di cambiare radicalmente la collocazione internazionale dell’Italia.

 

La posta in palio

La simpatia leghista per le pseudodemocrazie dell’Europa orientale e l’amicizia pentastellata con i nemici dell’UE convergono oggettivamente nel prospettare un allentamento dei legami tra l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione europea.

Un significativo indizio sulle loro reali intenzioni ce lo offre la vicenda del gasdotto transadriatico. L’opposizione pentastellata a quel gasdotto non è dettata da preoccupazioni ecologiche. Abbiamo bisogno di quel gasdotto anche per procedere alla chiusura, ipotizzata per il 2025 dall’ex ministro Calenda, delle inquinanti centrali a carbone. Ci si oppone al gasdotto transadriatico solo perché esso non fa arrivare in Italia gas dalla Russia, ma dall’Azerbaigian, che, con questa grossa fornitura all’Europa, potrebbe rendersi più autonomo da Mosca ed entrare nell’orbita geopolitica dell’UE. La mancata realizzazione del gasdotto transadriatico potrebbe essere il primo successo della nuova Campagna d’Italia lanciata, tramite Lega e M5S, da alcune potenze straniere (la Russia e, in minor misura, la Gran Bretagna) per disintegrare l’Unione europea.

E’ bene comprendere fino in fondo gli interessi in ballo e gli obiettivi dei giocatori in campo, perché siamo e saremo sempre più chiamati a scegliere tra due modelli di società: continuare ad essere una democrazia occidentale con un sistema economico solido, stabile e aperto, o diventare una società chiusa, autarchica, retta da meccanismi autoritari e con un’economia fragile ed esposta alle ondate speculative. Il primo modello è l’opzione strategica di chi si oppone al governo gialloverde; il secondo modello è il destino che attende l’Italia, se l’apparentemente anomala alleanza gialloverde durerà a lungo.

Commenti all'articolo

  • Di Rocco Di Rella (---.---.---.104) 20 giugno 2018 18:11
    Rocco Di Rella
    RETTIFICO IL PERIODO: "Per queste ragioni, suonano sempre più stonate le generiche accuse contro la casta politica, sia perché stanno diventando autentici inni ad un pericoloso ed autoritario antiparlamentarismo, sia perché sono lanciate da partiti contrari all’abolizione di alcuni pezzi della stessa casta come il Senato, le Province e il CNEL". ANDAVA PIU’ CORRETTAMENTE SCRITTO COSI’: "Per queste ragioni, suonano sempre più stonate le generiche accuse contro la casta politica. Tali accuse non stanno solo diventando autentici inni ad un pericoloso ed autoritario antiparlamentarismo, ma sono anche paradossalmente lanciate da partiti (M5S e Lega) contrari all’abolizione di alcuni pezzi della casta come il Senato, le Province e il CNEL".

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