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Il Cavaliere Oscuro ritorna. E spacca tutto. Una recensione semiseria

 
E alla fine si scopre che Bane era doppiato da Filippo Timi. Con tutto quel lavoro di postproduzione giuro che non me n’ero accorto. La voce del cattivo mascherato è più alta di non so quanti toni rispetto a quella degli altri attori e, purtroppo, nel doppiaggio italiano perde il perfetto accento british upper class che Nolan e Hardy hanno scelto di dare al personaggio, cosicché quando parla per la prima volta, nella scena dell’aereo, per un attimo ti chiedi “che è? Chi ha parlato? Nonno, sei tu?”. Ed è proprio su Bane, il gigantesco cattivo portato sullo schermo dal pompatissimo (ed inglesissimo) Hardy, che si sono concentrate le critiche più dure.

PERCHÉ COSÌ SERIO?

Io capisco che il Joker di Ledger sia rimasto nel cuoricino a tanti, ma non bisogna essere Umberto Eco per capire che un folle “assoluto” e rinomato come Joker era infinitamente più caratterizzabile di un cattivo misconosciuto e fraintendibile come Flagello-Bane. Senza nulla togliere alla magistrale interpretazione del compianto Heath Ledger, rendere temibile l’avversario di Batman, dopo la vetta raggiunta nel secondo film, era impresa assai ardua. Ma Nolan/Hardy se la sono portata a casa.

Per diventare Charles Bronson, il detenuto sciroccato filmato dal regista di Drive, Nicolas Winding Refn, Hardy si era sottoposto ad un allenamento massacrante, con qualcosa come 2500 flessioni al giorno e la dieta invernale di Giuliano Ferrara. Un pompaggio che manco Bruce Wayne, appunto (“Che cosa le fa a fare tutte quelle flessioni se non sa neppure sollevare una trave?”).

Ora, per interpretare Flagello, Hardy è diventato ancora più grosso. Una montagna umana (sono quasi certo che in certe inquadrature lo abbiano anche reso più alto), che quando incontra Batman la prima volta lo sfarina a suon di cazzotti, oltre ad umiliarlo psicologicamente. A me ha fatto paura. Tanta. Quando solleva Christian Bale come se fosse un pupazzo di pezza e lo tiene in aria ti dici: “Ecco, è successo davvero. Lo ha mandato sulla sedia a rotelle come nel fumetto”. E la schiena gliela spezza davvero (soprattutto per me, che non so distinguere tra vertebre e spina dorsale), ma, cosa più importante, lo spinge a mettersi in discussione come mai prima d’ora. La morale di Rachel, i consigli di Alfred (un inarrivabile Michael Caine, insospettatamente amante del Fernet Branca), sono niente in confronto ai cartoni di Bane.

E, malgrado reciti solo con gli occhi, le sopracciglia, ed una certa frenesia nelle dita, Hardy è eccezionale. Certo, il Bane di Nolan non è il genio del male del fumetto, dove assomiglia molto di più ad Edmond Dantès che non ad un Vin Diesel gigante, strafatto di steroidi, ma siamo comunque ad anni luce di distanza dal criminale da due soldi, trasformato nello schiavo senza cervello di Poison Ivy. Per tutta la durata del film Bane/Hardy è il male, il male assoluto (“il male necessario”, dice lui), degno del pianeta nero del Quinto Elemento o di quello stronzo di Ra in Stargate.

Si tratta del cattivo più terribile e spietato con il quale Batman abbia avuto a che fare. Se Ra’s al Ghul aveva l’onore, e Joker il caos, Bane, al contrario, sembra mosso solo dall’odio. Almeno fino al colpo di scena finale, certo. Bane è un personaggio dalle passioni assolute: l’odio per Batman, l’amore per Talia. Un amore intenso quanto quello di Bruce per Rachel. Ma la sua complessità non si scopre fino al finale, la maschera cade solo nell’ultimo combattimento (grazie alle legnate che gli rifila Batman redivivo, ma non solo), in una scena che, non so voi, ma a me ha stampato in faccia l’espressione del “MACHECAZZ”.

CARO, VECCHIO BRUCE

A Nolan è riuscita un’impresa narrativamente impossibile: invecchiare Batman. Ovvero rendere debole e fiacco un personaggio che per due film è stato totalmente invincibile, ai limiti del superomismo. Voglio dire, quando spunta Bruce Wayne col bastone ed il pizzetto caprino, all’inizio pensi si tratti di un bluff. Quando Selina Kyle gli fa uno sgambetto e lo fa rovinare di culo a terra tu credi che stia fingendo: “ora si alza e la pela, la bella gattina”. E invece no.

Bruce Wayne è vecchio ed ha il cuore a brandelli, oltre che le ossa frantumate. Sono passati 8 anni dalla morte di Rachel e dall’arresto di Joker, otto anni di pace durante i quali è stato sufficiente imporre una legge fascista (il decreto Dent) per sbattere nella prigione di Blackgate – una galera che ricorda molto Guantanamo – tutti i criminali di Gotham ed evitare così al cavaliere oscuro di continuare le sue scorribande notturne (dove sarebbe stato braccato dalla polizia che lo crede colpevole degli omicidi di DueFacce).

HYPE ALLE STELLE

Ma il più grande merito registico di Nolan è quello di polverizzare le aspettative. Anche le più esigenti, come nel mio caso. Le fa semplicemente a pezzi come la città onirica sognata da Di Caprio e Cotillard in Inception. Facendo gli scongiuri per una carriera che, spero, continui a lungo, in 12 anni Nolan non ne ha sbagliata una. L’old boy le azzecca tutte: sia che si tratti di film unici come The Prestige e Inception, o di un prodotto necessariamente standardizzato come Batman, spalmato su ben tre film. Roba che Night Shyamalan per l’invidiaccia è diventato verde come gli alieni di Signs.

“Hey you, I’m Batman”
“Yes Sir”

Ma allora per quale motivo un giornale autorevole come Libération è arrivato a definire “catastrofico” The Dark Knight Rises? Lasciamo da parte le tragedie – vere – come la strage di Denver, che col film hanno molto poco a che fare (e a tal proposito preferirei leggere più articoli su quanto negli USA sia ridicolmente facile procurarsi un arsenale degno di Commando, piuttosto che sulla “violenza” dell’uomo pipistrello, che ammazza 2 (due) persone in tre film. Risultato che manco il Ghandi di Ben Kingsley può vantare). Concentriamoci sulla pura cellulosa.

Hanno forse ragione quelli che criticano la complessità del film. Perché Batman è un film complesso. Se non vi sta bene, in qualche cinema dovrebbero passare ancora The Amazing Spiderman. 72 anni di storia e decine di generazioni di lettori assatanati hanno reso il fumetto un prodotto narrativo troppo denso per essere strizzato in un solo film. Troppo anche per una trilogia. Eppure Nolan è riuscito a resuscitare un eroe che due film (quelli di Joel Shumacher. Padre, perdonaci) rischiavano di far perdere per sempre in un tunnel rosa shocking fatto di bat-carte di credito, bat-pattini da ghiaccio e bat-tutine attillate con tanto di capezzoli turgidi in vista (solo per certe cose Shumacher andrebbe appeso per le palle sotto il Golden Gate). Forse l’unico caso, nella storia del cinema, di reboot cinematografico riuscito. Probabilmente Nolan è stato capace di rivoluzionare il personaggio più di quanto abbiano fatto negli anni novanta i fumetti di Frank Miller (ai quali il Cavaliere oscuro si ispira solo in parte).

L’intreccio narrativo orchestrato dai fratelli Nolan è perfetto. L’umanità di Bruce Wayne, che nei film di Tim Burton era affidata quasi esclusivamente alla sofferta, intensa interpretazione di Michael Keaton, qui è totale. L’epica di Batman incarnata nel volto rasato di Patrick Bateman alias John Connor aka Christian Bale, ma soprattutto nelle evoluzioni della sua psiche. Dal bildungsroman di Begins, alla maturità di The Dark Knight, fino alla “vecchiaia” di Rises, la curva drammaturgica è impeccabile: ascesa, trionfo e declino, come nella migliore epica classica.

Quello che Nolan, in definitiva, ha fatto in maniera lodevolissima è rendere credibili le parabole di un personaggio di per sé assai poco credibile. Stiamo comunque parlando di un miliardario che va in giro ammantellato in calzamaglia nera, con una maschera cornuta e un cinturone giallo pieno di aggeggi strambi. Personalmente non mi sono mai dovuto dire, a mo di mantra, “vabbè dai, alla fine è Batman”, come giustificazione a questa o quella scena (a parte quando guida la moto snodabile, ora che ci penso). La cura dei particolari, la sottigliezza dei dialoghi, la regia inarrivabile me l’hanno impedito. Questo cavaliere oscuro – l’hanno scritto in tanti – segna la fine del supereroe, e apre la strada a qualcosa di completamente diverso. A tutti quelli che ne hanno criticato “l’inverosimile Batman di Christopher Nolan” (ma magari di nascosto hanno comprato il Blue-Ray di Avengers col pupazzetto di Iron Man in omaggio), rispondo: avercene sempre, di film così inverosimili! Ricordate, se nel 2012 non avete visto solo film brutti (John Carter, Battleship, Green Lantern e Ghost Rider 2 bastano?) è merito di Batman.

Certo, poi spunta il Batwing formato astronave, che rende tutto meno plausibile. Ma, come ha sintetizzato bene un amico, ragazzi, sono comunque “tre ore di FOMENTO”.

 

Post Scriptum: a qualcuno non sarà sfuggito il fatto che non ho mai nominato Robin in questo post. L’ho fatto per scaramanzia. Perché una cosa del genere non si ripeta mai più:

 

Foto logo: Flickr

 

 

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.13) 6 settembre 2012 12:13

    Alla VIEW Conference di Torino, dal 16 al 19 ottobre, ci sarà PAUL FRANKLIN l’uomo di fiducia di Christopher Nolan per quel che riguarda gli effetti visivi. Per lui ha supervisionato gli effetti dell’intera trilogia di Batman e il capolavoro visionario Inception. E’ stato inoltre VFX Supervisor di successi straordinari comeHarry Potter e il principe mezzosangue ed Harry Potter e l’ordine della Fenice.
    A VIEW 2012 Paul trascinerà i visitatori tra le ombre di Gotham City, nel making of dell’ultimo capitolo della saga di Batman.
    Ci vediamo a Torino! www.viewconference.it

  • Di (---.---.---.1) 6 settembre 2012 17:35

    ehm, nell’originale Bane non ha un perfetto accento British Upper Class, ma un non meglio identificato accento collocabile da qualche parte tra i paesi Arabi e quelli dell’ex Unione Sovietica. Un accento da "terrorista generico", insomma.

  • Di (---.---.---.101) 7 settembre 2012 11:06

    Un po’ troppo simile per i miei gusti allo stile e all’impaginazione delle recensioni dei 400 calci...

    • Di Melting Pol Pot (---.---.---.145) 7 settembre 2012 17:50
      Melting Pol Pot

      Speravo segretamente che qualcuno se ne accorgesse. Poiché la recensione de I 400 calci (che trovate qui) non mi ha soddisfatto popopopenniente, ho deciso di scrivere la mia personale (non)recensione partigiana, scimmiottando un po’ il loro stile. 


      Non mi è venuto difficile - e soprattutto non mi vergogno di averlo fatto - perché quando parlo di film lo faccio esattamente in questo modo. Ora che mi ci fai pensare dovrei chiedere i danni a quelli dei 400calci. Oppure mandare curriculum. Ci penserò. 

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