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 Home page > Tribuna Libera > Identificazione degli agenti in ordine pubblico

Identificazione degli agenti in ordine pubblico

Una delle espressioni più abusate di questi ultimi anni è “ce lo chiede l’Europa”. Roba da orticaria.

Sei mesi fa un’altra di queste richieste europee, la possibilità di identificare con una sigla gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, si è fatta sentire (ma non è sembrato opportuno ricordarcelo con la petulante insistenza con cui ci sono state ricordate invece le successive ondate dei “sacrifici”, sempre rigorosamente 'chiesti dall'Europa').

Nel passato alcuni parlamentari ci provarono, a partire da un vecchissimo disegno di legge del 2001 a firma Rifondazione Comunista, poi ripresentato nel 2006, ed uno del 2009 a firma dei Radicali. Oggi il provvedimento fa parte delle proposte di Rifondazione Comunista, del Movimento Cinque Stelle ed è richiesta esplicitamente da Amnesty International

Eppure si tratta di una richiesta a costo praticamente zero, ma dall’alto valore simbolicamente democratico. Quantomai urgente vista la situazione economico-sociale che ben si presta a proteste, provocazioni e prevaricazioni.

Trascrivo l’articolo 192 della Risoluzione approvata dal Parlamento Europeo (non dai facinorosi di un centro sociale, sia chiaro) il 12 dicembre dell’anno scorso:

“Il Parlamento (...) esprime preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell'UE; invita gli Stati membri a provvedere affinché il controllo giuridico e democratico delle autorità incaricate dell'applicazione della legge e del loro personale sia rafforzato, l'assunzione di responsabilità sia garantita e l'immunità non venga concessa in Europa, in particolare per i casi di uso sproporzionato della forza e di torture o trattamenti inumani o degradanti; esorta gli Stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”.

A parte il cenno alla tortura, reato ben noto e conosciuto da tutti, che il nostro codice però curiosamente non contempla, sulla questione del numero identificativo degli agenti in servizio di ordine pubblico c’è da tempo un dibattito che, nel nostro paese, ha assunto subito i toni di una polemica gratuita e grossolana.

Non è mia intenzione parteciparvi, ma mi limito a ricordare che ormai nella maggior parte degli stati democratici (tanto per fare qualche esempio Stati Uniti, Canada, Francia, Gran Bretagna, Germania, Svezia, Spagna, Slovenia, Belgio, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e chissà quanti altri ancora) il numero identificativo, personale o di reparto, sui caschi o sulle divise è stato adottato senza che nessuno abbia sollevato le isteriche lagnanze, che qui sono state fatte, sui rischi cui sarebbero stati sottoposti gli agenti così “riconoscibili” o addirittura le loro famiglie.

E si sa, in Italia l’argomento ‘famiglia’ da sempre va forte e lo si usa con ridicola insistenza specialmente quando più o meno latentemente si vogliono perseguire diritti di prevaricazione tutt'altro che ipotetici. Fermamente contrario - ci credereste? - uno come Vincenzo Canterini, "ex comandante della Celere di Roma che ha finito anzitempo la carriera con una condanna per falso nel processo Diaz".

In questo caso l’introduzione di un numero identificativo sulla divisa di agenti in servizio di ordine pubblico garantirebbe il diritto di qualsiasi manifestante di non essere prevaricato al di là di quanto consentito dalla legge (perché anche i tutori dell’ordine sono sottoposti alle norme di legge, cosa che sembra strano dover ricordare dopo i numerosi episodi di violazione delle regole, a partire dal tragicamente famoso lager di Bolzaneto); ma garantirebbe anche, viceversa, il diritto di un agente di non essere perseguito ingiustamente, magari al posto di un altro.

Insomma, una norma di semplice buon senso che in tutta Europa si ritiene tale, ma che in Italia si fa così tanta fatica a concepire, compreso in quell’impresentabile carrozzone di contraddizioni che è il Partito Democratico, incapace di esprimere un'opinione condivisa su qualsiasi cosa (Tabacci e Puppato a favore, Renzi e Bersani inespressi, il PD piemontese contrario).

  Non altrettanto buonsenso sembra venire dalle forze dell’ordine che a novembre addirittura hanno scioperato contro anche solo la semplice idea che la misura fosse approvata, costringendo la ministra dell’interno di allora a un rapido dietrofront. Quello che va bene ai poliziotti di mezzo mondo occidentale curiosamente a quelli italiani pare un sopruso. Misteri di uno stivale sempre, costantemente in debito di democrazia.

Perfino in Turchia, che non è esattamente la culla della democrazia, la polizia ha adottato il codice identificativo sui caschi.

Come sempre il nostro paese vivacchia in fondo alle classifiche internazionali; anche a quella di chi pensa che sia banalmente legittimo identificare un agente in servizio. Incredibile.

I commenti più votati

  • Di (---.---.---.84) 4 giugno 2013 11:45

    Certo ma dimentichi che all’estero i poliziotti che sbagliano vanno in galera assieme ai delinquenti e a partità di reato, contrariamente a quanto accade in italia, l’essere un piedi piatti è un’aggravante e non un’attenuante.
    Se poi secondo te è peggio ricevere dello spray orticante piuttosto che farsi spaccare la faccia forse è meglio che ti fai ripasso su cosa si intenda per contenimento e cosa si intenda invece per repressione.
    La differenza si chiama democrazia.
    Buona lettura.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 4 giugno 2013 11:35
    Fabio Della Pergola

    L’uso di caschi o di cammuffamenti da parte dei dimostranti durante le manifestazioni è vietato, che io sappia. Sarebbe contraddittorio chiedere che si applichi un codice identificativo su un oggetto che è vietato indossare.

    In ogni caso, che sia la futura Gendarmeria Europea o altra forza di polizia a intervenire, resta il fatto che il Parlamento Europeo ha sollecitato l’identificazione degli agenti in servizio di ordine pubblico. Che questo non si possa fare per mancanza di divise significa che siamo messi molto peggio di quanto si creda (e peggio anche della Polonia o della Turchia, strano a dirsi). Oppure il problema è che non si vuole ? E perché non si vuole ?

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.151) 4 giugno 2013 10:42

    Si è vero, negli altri paesi il numero identificativo esiste. Così come, del resto, anche negli U.S.A., dove addirittura c’è un solo poliziotto nella cosiddetta volante.

    Però c’è un piccolo particolare che sembra sfuggire.
    Negli U.S.A. il poliziotto è solo, però spara al minimo accenno di reazione del fermato, senza andare in galera.
    In Francia, Spagna, Germania, Olanda, Turchia, quando i manifestanti cominciano travalicare i limiti imposti dall’Autorità (e li basta un semplice contatto con le FF.OO.), scatta la carica, anche con fucili marcatori, lanciatori di palle di gomma, bombolette spay urticanti, pistole elettrice, manganelli tipo "tonfa", senza che nessuno si permette di criticare.
    In Italietta, invece, anche se i manifestanti devastano e saccheggiano, appena la polizia carica, tutti a condannare e criticare scandalizzati.
    Facciamo pure i paragoni, ma senza tralasciare tutti gli aspetti.
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 4 giugno 2013 11:10
      Fabio Della Pergola

      "senza che nessuno si permetta di criticare" è un’affermazione che sarebbe necessario dimostrare. A me risulta che l’operato della polizia, quando eccessivo, sia criticato ovunque; forse lei ha informazioni diverse. In Turchia l’uso sproporzionato della forza di questi giorni è stato ampiamente criticato sia all’interno del paese che dalla comunità internazionale.
      E non è che in certi paesi - vedi i tumulti scoppiati in Inghilterra o in Svezia nei quartieri abitati da immigrati o nelle banlieu francesi - i disordini di piazza siano meno virulenti che in Italia.

      La questione è che l’uso del codice identificativo è diffuso ovunque, ma in Italia sembra improponibile. E non si capisce perché; non ce n’è ragione.

    • Di (---.---.---.84) 4 giugno 2013 11:45

      Certo ma dimentichi che all’estero i poliziotti che sbagliano vanno in galera assieme ai delinquenti e a partità di reato, contrariamente a quanto accade in italia, l’essere un piedi piatti è un’aggravante e non un’attenuante.
      Se poi secondo te è peggio ricevere dello spray orticante piuttosto che farsi spaccare la faccia forse è meglio che ti fai ripasso su cosa si intenda per contenimento e cosa si intenda invece per repressione.
      La differenza si chiama democrazia.
      Buona lettura.

    • Di (---.---.---.249) 6 giugno 2013 09:45

      I fenomeni sociali non hanno bisogno di dimostrazione in quanto osservabili. Analogamente vale per la gestione dell’o,p. nei paesi dell’area euro.

      Fermo restando che ogni abuso va punito (giusto per chiarire a qualche imbecille che non sa leggere), la democrazia esiste nella misura in cui i diritti vanno limitati allorquando il loro uso (es manifestare) trasmodi nell’abuso e nella illegittima violazione del diritto altrui.
      Posto questo principio generale (e la precisazione è dovuta sempre per l’imbecille di turno che non sa leggere), in italia la concezione dell’o.p. è alquanto fumosa. Non si comprende bene quale deve essere il limite tra disordine insopportabile e ordine indispensabile per il quale, come in ogni sistema democratico, l’uso della forza è necessario.
      Per quanto riguarda lo spray urticante, in italia, le ff.oo. non ne sono dotate per la gestione dell’o.p., così come non sono dotate fucili a palla come negli altri, democraticissimi, paesi dell’europa.
      Poi, ancora, in italia, le direttive per l’o.p. le da il ministro dell’interno e, quindi, il governo. 
      Sono loro che decidono sull’an l’uso della forza (e l’intensità della stessa), e ciò, per legge.
  • Di (---.---.---.122) 4 giugno 2013 11:18

    Tra tante polemiche inutili nessuno ha mai pensato che il fatto del numero identificativo in Italia è una sciocchezza e sapete perché? 

     Non vi sono abbastanza caschi e materiale da O.P. per tutti solo nei reparti mobili sono in parte dotazione individuale il resto è materiale di reparto e lo stesso identico casco lo usano a rotazione , specialmente nelle questure e nei commissariati.
    Per cui alla fine sarebbe complicato comunque trovare il responsabile.
    Ovviamente non si parla della divisa da O.P. che quella fanno fatica a reperirla perfino il personale dei reparti mobili .
    Sarebbe bello che i numeri identificativi li mettessero anche i dimostranti nei loro caschi così almeno quando fanno danni per milioni di euro li ripagano; dato che sono meglio attrezzati e organizzati che le forze dell’ordine; Vedasi genova.....
    Comunque il problema si risolverà con il trattato di Velsen ratificato dai nostro politici leggete e capirete ....... 
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 4 giugno 2013 11:35
      Fabio Della Pergola

      L’uso di caschi o di cammuffamenti da parte dei dimostranti durante le manifestazioni è vietato, che io sappia. Sarebbe contraddittorio chiedere che si applichi un codice identificativo su un oggetto che è vietato indossare.

      In ogni caso, che sia la futura Gendarmeria Europea o altra forza di polizia a intervenire, resta il fatto che il Parlamento Europeo ha sollecitato l’identificazione degli agenti in servizio di ordine pubblico. Che questo non si possa fare per mancanza di divise significa che siamo messi molto peggio di quanto si creda (e peggio anche della Polonia o della Turchia, strano a dirsi). Oppure il problema è che non si vuole ? E perché non si vuole ?

    • Di (---.---.---.252) 4 giugno 2013 17:53

      Una bella fascia sul braccio? O uno schienalino tipo i corridori, personale, da indossare sopra le divise varie?


      Ma anche un cartellino, come avviene nelle pubbliche amministrazioni.

      Volendo il modo si trova, secondo me.
    • Di (---.---.---.249) 6 giugno 2013 09:54

      "L’uso di caschi o di cammuffamenti da parte dei dimostranti durante le manifestazioni è vietato, che io sappia. Sarebbe contraddittorio chiedere che si applichi un codice identificativo su un oggetto che è vietato indossare."


      L’affermazione è una petitio principii.
      Allora come facciamo per impedirglielo quando nelle manifestazioni li indossano? La usiamo o no la forza per impedirglielo? E quando sono identificati, che facciamo? Li denunciamo e, quindi, anche loro vanno in galera? Oppure anche a loro applichiamo la sanzione prevista per gli stadi, ossia il divieto di manifestare? Ma se applichiamo tale divieto, non è esso forse incostituzionale?
      Delle due una...
      Allora facciamo così, se il poliziotto sbaglia va in galera (e questo non mi sembra che finora non sia accaduto) e se sbaglia il manifestante in galera ci va pure lui (però).
      Ma per fare questo, l’uso della forza contro la resistenza alla legge, ci vuole oppure no?
      Cari signori, fare i radical chic dietro la tastierina del computer è fin troppo facile.
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 6 giugno 2013 12:01
      Fabio Della Pergola

      L’uso di un cammuffamento è vietato, ma - ed è quello che capita in ogni manifestazione - non è ritenuto di per sé motivo di solerte intervento di forza per toglierlo. Quando invece il manifestante, con casco o senza, adotta comportamenti lesivi della incolumità altrui o delle altrui proprietà l’intervento di forza delle forze di p.s. è autorizzato dalla legge "proporzionatamente" al reato in corso. Mentre ogni abuso della forza è sostanzialmente proibito anche se la discriminante tra uso lecito e uso illecito non è argomento definibile con facilità. Tanto per ribadire un concetto che sembra astruso, ma ovviamente non lo è.

      Il cittadino che esercita un legittimo diritto costituzionale di manifestazione, ma il cui comportamento degenera in atti illeciti, deve essere fermato. Il tutore dell’ordine invece - in quanto rappresentante dello Stato - non deve (dovrebbe) mai violare quella legge che ha il dover di far rispettare. Per principio; perché tutore dell’ordine e violazione della legge sono in radicale contraddizione.

      Detto questo, consegue che non è lecito porre sullo stesso piano cittadino manifestante e tutore dell’ordine, come lei continua a fare, perché esiste una differenza a priori.

      Il codice identificativo degli agenti in op è uno strumento per difendere le stesse forze dell’ordine (oltre che i cittadini) da eventuali soprusi commessi da individui in divisa che non si adeguano al comportamento che le forze dell’ordine devono avere in forza del loro mandato costituzionale. Lo hanno capito in mezzo mondo, perché deve essere così difficile capirlo in Italia ?

      "fare i radical chic dietro la tastierina del computer" è esattamente l’aspetto di sterile e incomprensibile polemica cui accenno nel mio articolo. Potrei facilmente risponderle per le rime, ma che cosa otterremmo ?

    • Di (---.---.---.58) 6 giugno 2013 15:45

      Gent. sig. Fabio,

      la locuzione "radical chic" non era rivolta al suo commento. Va da se che non intendevo rispondere solo a Lei, mi riferivo anche a chi è facile alle critiche e ad urlare che la democrazia è violata ad ogni piè sospinto.
      Sostanzialmente sono d’accordo con quanto lei dice e non ho nulla in contrario all’identificazione degli operatori delle FF.OO., purchè ci sia anche l’identificazione e punizione certa di coloro i quali, dietro il dichiarato esercizio di un diritto, dissimulano l’abuso del diritto stesso, calpestando quello altrui, ergendosi a vittime nel momento in cui vengono puniti.
      Ripeto la democrazia c’è laddove esiste il limite al diritto quando l’esercizio dello stesso viola le facoltà dell’altro, egualmente riconosciute e garantite dalla Costituzione.
      Le regole ci vogliono, ma nessuno è posto al di sopra di esse, per cui se sbaglia il poliziotto o carabiniere è vero e sacrosanto che deve essere punito, ma altrettanto deve accadere per chi sta "dall’altra parte" e sbaglia.
      Quello a cui sono contrario, quindi, è la semplicioneria con la quale si liquidano certi argomenti, quali la gestione dell’O.P. la cui gerenza, ripeto, per legge, è rimessa alla politica in modo troppo ampio, non essendone delimitati i presupposti.
      In altri paesi in materia di o.p. i paletti posti sono chiari e scarsamente variabili, a seconda della colorazione politica che sta al governo. Ognuno sa che può manifestare ed entro quali limiti, nella nostra italietta, il limite manca del tutto ed è assai variabile a seconda dell’umore della compagine politica dominante. 

      p.s.: in genere chi indossa il casco alle manifestazioni di certo, non ha intenzioni pacifiche...


    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 6 giugno 2013 17:41
      Fabio Della Pergola

      Sono lieto che non ce l’abbia con me, ma resta tutto quello che ho detto nel commento precedente. Non si possono mettere sullo stesso piano i manifestanti e i tutori dell’ordine. Se gli uni trasgrediscono la legge, la legge stessa contempla le relative punizioni. I tutori dell’ordine sono pubblici ufficiali pagati dallo Stato perché garantiscano il rispetto della legge. Se la infrangono non vìolano solamente i codici, ma tradiscono lo stesso contratto di fiducia con lo Stato che implica il rispetto totale dell’etica che quello stesso Stato si è dato.

      Qui non si parla dei confini della democrazia, che sono noti e vanno rispettati, ma della possibilità di identificare senza incertezze quegli agenti che si macchiano di violazioni del rapporto etico con il loro datore di lavoro, oltre che delle norme di legge.

      Il fatto che la maggior parte delle democrazie occidentali, e non solo, abbia approvato l’uso del codice identificativo - ma non per questo sia venuto meno alle proprie regole democratiche né ai limiti di legge a proposito di ordine pubblico - dovrebbe essere sufficiente per chiarire il punto.

    • Di (---.---.---.205) 7 giugno 2013 09:15

      Allora cercherò di essere più chiaro e, fermo restando i concetti che prima ho espresso, ribadisco quanto segue.

      La sua opinione, sebbene rispettabilissima, non coglie nel segno. Essa presenta solo una vernice di plausibilità per il suo effetto slogan, ma è fallace perchè disancorata dal dato oggettivo che, in subiecta materia, è dato dalle norme.

      L’asserzione “Qui non si parla dei confini della democrazia, che sono noti e vanno rispettati” è errata, perchè l’O.P. è proprio il concetto attraverso il quale si misura il confine di ogni democrazia.

      Prova ne sia che gli stessi padri costituenti non vollero in alcun modo che tale concetto (O.P.) entrasse a far parte della Costituzione (Binni, Cianca, calamandrei, etc.).

      Infatti, Lei non troverà la locuzione O.P. in nessun articolo della Cost., se non solo a partire dal 2001 (cfr. art. 117).

      Così come non troverà, l’O.P. espresso in alcuna norma di legge, se non solo a partire dal 1988 (cfr. art. 159 comma II D.Lgs n.112/98).

      Non sto a spiegarle perchè dellO.P. non v’è stata la normativizzazione e dopo, invece, si, in quanto non rilevante ai fini della nostra discussione.

      Qui va solo rilevato che a cagione della polisemanticità del concetto, i confini della democrazia non sono per niente noti sul piano dell’O.P. (in senso materiale), così come esso è definito nella norma surrichiamata.

      Per quanto riguarda, invece, l’aspetto delle FF.OO. cui Lei fa riferimento, anche qui la sua asserzione, alla luce del dato oggettivo costituito dalle norme, appare disancorata dal dato reale.

      Quello che lei chiama rapporto fiduciario con lo Stato si chiama, tradizionalmente, rapporto di servizio.

      E’ sostanzialmente un contratto che ogni pubblico impiegato contrae con la P.A. mercè un giuramento nel quale, al di là della sacramentalità della formula, si presta l’impegno ad osservare la Costituzione e le sue leggi, ergo, non si tratta altro che dell’impegno ad osservare la legge. Impegno che, incombe su ogni cittadino.

      Anche in questo paese, finché permane lo stato di diritto (ahimé ancora per poco, alla luce delle intenzioni dichiarate di modificare la Cost.), il primato è dato dalla legge.

      Ciò significa che le FF.OO. sono esattamente al pari di ogni altro cittadino.

      Tutti, nello stato di diritto, devono osservare la legge.

      Mi dispiace Signore, le piaccia o no, i conti si devono fare con i dati oggettivi, è dire, in un certo senso, che le FF.OO. sono maggiormente vincolate nei contesti di O.P., equivale a non dire nulla, se non frasi ad effetto.

      In ogni caso, quand’anche per mera ipotesi discorsiva, si voglia accogliere la Sua tesi, va osservato che allorquando le FF.OO. caricano le folle, ciò è perfettamente in linea con gli impegni da essi assunti con la P.A.

      Perchè?

      Lo già spiegato nei miei precedenti scritti: perchè in tale materia (O.P.) ciò viene deciso dall’autorità politica. E’ il governo che decide come affrontare le folle manifestanti e ciò, per espressa disposizione di legge (cfr. Legge n. 121/81 e testo unico Leggi di P.S.).

      Nella specie, pertanto, le FF.OO. hanno l’obbligo di caricare e, quando si carica, si fa uso di armi e, quando si fa uso di armi, ci si fa male.

      Con questo, Le auguro buone cose e chiudo definitivamente, nella speranza di essere stato satisfattivo.

    • Di (---.---.---.205) 7 giugno 2013 09:20
      Chiedo scusa per gli errori di grammatica.
      errata corrige: L’ho (Lo): Calamandrei (calamandrei)
    • Di (---.---.---.93) 7 giugno 2013 09:55

      Caro commentatore, lei continua ad appellarsi ad una forma, salvo, a me pare, contraddirsi. La locuzione O.P. non si trova nella Costituzione...ma poi si trova. Non si trova nei codici...ma poi si trova. Io non faccio, né mi interessa fare, una distinzione ’temporale’ se di ordine pubblico si parla o non si parla fino ad un certo momento per poi parlarne solo dopo. Che c’entra con quanto ho scritto nell’articolo o anche nei commenti ?

      Inoltre parla del ’rapporto fiduciario’ secondo cui, lei dice, impiegati dello stato, come gli agenti in servizio di op, e cittadini sono tutti sullo stesso piano; salvo aggiungere che gli uni giurano, mentre gli altri, si sa, no.

      Tutti sono ovviamente tenuti al rispetto delle leggi, ma c’è una differenza tra chi giura e chi non è tenuto a farlo e ciò spiega il motivo per cui se un manifestante rompe una vetrina (cioè vìola la legge) non appare, nel comune sentire (che è sensibilità alla REALTA’ delle cose, non alla normativa), grave tanto quanto il caso di una violazione di legge commessa da un tutore dell’ordine. Proprio perché il tutore dell’ordine è preposto alla vigilanza affinché nessuno vìoli le leggi.

      Insomma, lei mi fa dire cose così ovvie che non capisco che cosa vuol dimostrare: che cittadini e agenti sono uguali davanti alla legge ? ovvio (o almeno così dovrebbe essere). Che cittadini e agenti hanno la stessa responsabilità nell’osservare le leggi. Non è così e mi pare di ricordare che la legge stessa contempli un’aggravante per i delitti commessi da pubblici ufficiali proprio in virtù del giuramento cui lei accenna.

      Questo non significa affatto che le forze dell’ordine non possano mai agire tramite uso della forza. Questo è lecito, nei limiti imposti dalla legge (anche europea) della "proporzionalità".

      Che si debba mettere un codice identificativo sulla divisa degli agenti in OP resta comunque, e vorrei tornare al senso dell’articolo, prassi adottata in gran parte delle democrazie occidentali. Non si vede dunque perché continuare con questa logica tutta italiana del pretendere ’uguale trattamento’ di identificabilità verso i manifestanti che nessuno nel mondo si è posto, mi pare, nemmeno come ipotesi. Il cittadino, come si sa, ha l’obbligo di farsi identificare su richiesta del personale autorizzato, nient’altro.

      Anch’io la chiuderei qui. Un cordiale saluto.
      FDP

  • Di illupodeicieli (---.---.---.192) 4 giugno 2013 12:37

    E’ vero che ,come tante altre cose da fare o su cui discutere, era finito nel dimenticatoio. Alcune mie osservazioni: da noi ,in alcuni casi, chiamerebbero o farebbero in modo che intervenisse la famigerata Eurogendfor, così da salvare capra e cavoli e non perdere i voti delle forze dell’ordine. Aggiungo che quando fa comodo piace copiare e prendere esempio dall’estero, anche in questi casi: ovvero, se potessero alcuni parlamentari e loro accoliti, gradirebbero carcerazione preventiva a vita, isolamento e prigioni speciali, ovviamente private e gestite da privati così da lucrare prima durante e dopo (già adesso c’è chi fa affari con il reinserimento e la riabilitazione, pratiche comprese). Il motivo del rifiuto è il solito, e cioè evitare di criminalizzare le forze dell’ordine e reprimere il dissenso, limitare le possibilità di manifestare.Ora se non si spiega alle persone che per cambiare anche una semplice legge, eliminare un paragrafo, ci vogliono anni e non sempre ciò è possibile (vedi anche la mancanza di decerti attuativi e recepimento da parte di chi di dovere) se quindi non si sa nemmeno come funziona o deve funzionare lo stato, l’unico modo di farsi sentire è fare casino, creare disagi, richiamando in qualche maniera , anche violenta, l’attenzione altrui. Diversamente di te ,di me, di noi o di chi ha qualche problema, non importa a nessuno: del resto ci sentiremo sempre dire che ci sono i luoghi deputati onde indirizzare le nostre richieste ed esistono anche modi, civili e composti ,in cui far sentire le nostre voci e far valere le nostre rimostranze. Si apriranno quindi tavoli di consultazione, confronti, trattative, piattaforme e un sacco di cose e solo per prendere tempo e far in modo che ci si stanchi e si molli la presa. Ed è così che anche ciò cui teniamo, cadrà,almeno per la maggior parte di noi, nel famoso dimenticatoio.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 4 giugno 2013 13:00
      Fabio Della Pergola

      In qualsiasi altro paese le istanze democratiche, fra cui la semplice pretesa che un individuo in divisa sia identificabile in modo criptato, sono maturate e alla fine adottate. Probabilmente dopo lunghi tira-e-molla con le forze più retrive e reazionarie di quelle società. Non mi sembra, come ho scritto, che la Turchia sia un faro di civiltà giuridiche e culla della democrazia. Ciononostante la questione è passata anche lì.

      Quindi non sarei così pessimista. Nel dimenticatoio di cose ce ne sono davvero tante, ma nessuno si dimentica mai davvero delle cose che stanno nei dimenticatoi. E’, semplicemente, il cammino lento, costellato da passi indietro, della democrazia in progress.

    • Di (---.---.---.246) 7 giugno 2013 11:17

      "per cui se un manifestante rompe una vetrina (cioè vìola la legge) non appare, nel comune sentire (che è sensibilità alla REALTA’ delle cose, non alla normativa) grave tanto quanto il caso di una violazione di legge commessa da un tutore dell’ordine. "

      ...a me, me pare na strunzata...

    • Di (---.---.---.93) 7 giugno 2013 12:46

      E con questa bella pensata, direi di chiudere qui i commenti. Grazie a tutti e cari saluti.
      FDP

  • Di (---.---.---.26) 4 giugno 2013 15:32

    Invece di lamentarci dei manifestanti, che sono quasi tutti non violenti, dovremmo denunciare con maggiore enfasi le paghe umili e le risorse scarse riservate alle forze dell’ordine.

    I poliziotti, durante una manifestazione in piazza, difendono anche me che sono un manifestante pacifico. La risoluzione chiede solo che abbiano un numero identificativo nel caso si renda necessaria la loro identificazione da parte della magistratura.
  • Di Sandro kensan (---.---.---.95) 9 giugno 2013 16:54
    Sandro kensan

    Articolo interessante, ho linkato il testo e rilanciato sul mio blog.

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