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I principi della democrazia e la nuova legge elettorale

Per definizione, la parola democrazia significa potere del popolo per il popolo; cioè un metodo di governo dove tutti sono chiamati a gestire in prima persona la Collettività-Stato alla quale appartengono, secondo regole accettate da tutti.

La democrazia presuppone un potere costante nel tempo, che deriva dal basso, che è gestito e definito dai cittadini che lo detengono e che votano per eleggere i propri rappresentanti politici, i quali devono agire solo nell’ambito della volontà di chi rappresentano. Mai, e sottolineo mai, il rappresentante può detenere un potere “causa sui” ma solo in funzione di chi l’ha delegato e quindi deve sempre risultare subordinato ai suoi elettori. Quindi risulta un’apostasia della democrazia, l’asserzione che il rappresentante deve essere subordinato a patti sottoscritti con il partito che l’ha nominato per le elezioni.

Anche la nostra Costituzione all’art. 67 recita testualmente: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, che per logica, per filosofia e per giurisprudenza significa unicamente che il rappresentante del popolo deve dar conto solo a chi l’ha eletto (la Nazione) e non al partito dove s’è candidato.

Se una qualsiasi organizzazione politica fa firmare vincoli che delimitano la piena libertà di scelta del futuro parlamentare, commette un delitto contro la Costituzione, contro il popolo sovrano e allo stesso modo, chi prende impegni che subordinano le sue scelte a quelle di una qualsiasi organizzazione politica è altrettanto da condannare moralmente e politicamente.

Naturalmente questo discorso non è stato mai recepito da nessun partito e ancor di più da chi si propone, da anni, di mandare a casa tutti i vecchi partiti per realizzare la democrazia di base!

Secondo questa “ideologia”, la democrazia di base si realizza riunendo quattro gatti che decidono un programma e dopo averlo sbandierato su vari palcoscenici, si nominano dei candidati, si fa firmare a questi un impegno scritto e così se vengono confermati dal “popolo piegato a 90 gradi”, vengono imbeccati di volta in volta come votare e agire in Parlamento. 

Dovevamo aspettare il ventunesimo secolo per veder realizzata l’essenza della democrazia!? Dal “teatro dei burattini” ci sono giunte, dopo venticinque secoli, le regole per l’attuazione della democrazia. Comunque dopo la parte “destruens” occorre correttamente quella “costruens”, altrimenti ci allineiamo al coro dei logorroici che criticano tutto senza proporre nulla di concreto.

Per primo la democrazia diretta o della base presuppone un impegno diretto e un costante coinvolgimento dei cittadini; quindi affinché il potere rimanga sempre al popolo, deve essere quest’ultimo ad autoconvocarsi, nelle singole comunità della nazione (vedi Comitati di quartiere o zonali), con spazi e attrezzature disposte dallo Stato, per discutere, individuare i problemi e definire soluzioni di massima.

Seconda fase: da questi “Comitati”, organizzati autonomamente o anche dai partiti, si deve passare alle cosiddette “primarie”, per individuare i candidati di quei Comitati, per tutte le tipologie di elezioni da quelle amministrative a quelle politiche. A questo punto le candidature devono essere sostenute da un numero predefinito di firme che sottendono impegni ben precisi ed esclusivi con quegli elettori. I candidati devono essere individuati esclusivamente tra coloro che sono residenti nell’ambito del collegio elettorale.

A tal proposito i rappresentanti devono essere sempre di un numero congruo, e se mai aumentare il loro numero, soprattutto in Parlamento, affinché possa esserci veramente un legame possibile tra elettori ed eletti, quindi, la soglia dei 50.000 elettori per ogni parlamentare eletto è già eccessiva e in ogni qual caso non andrebbe ancora aumentato, riducendo il numero dei parlamentari. Tutt’altra cosa è la riduzione dello stipendio che non dovrebbe mai superare complessivamente i 5.000 euro, riducendo nel contempo gli stipendi faraonici degli impiegati dei due rami del parlamento, riportandoli a quelli dei loro colleghi impiegati statali. Ricordo, ai meno informati, che ogni ramo del parlamento ci costa ogni anno, tra stipendi ai parlamentari e agli impiegati, circa 1 miliardo e 300 milioni di euro. 

Terza fase: le elezioni vere e proprie devono avvenire con il sistema proporzionale, che garantisce le minoranze e contribuisce a mantenere vivo il dialogo sociale e il controllo delle maggioranze. Qualora non dovesse verificarsi, senza premi di maggioranza e altre sofisticherie, una palese maggioranza di voti per un partito o una coalizione, l’unica possibilità concreta, per garantire la governabilità, è il doppio turno che imporrebbe ai due partiti con un numero maggiore di preferenze di andare al ballottaggio, come avviene in Francia e come avviene da noi per le elezioni del Sindaco, nei comuni con una popolazione superiore ai 10.000 abitanti.

Naturalmente i seggi dovrebbero essere distribuiti al partito vincente e in “proporzione” fra tutti coloro che hanno avuto suffragi sufficienti (un due per cento) nel primo e nel secondo turno.

Quarta fase, a metà legislatura, con una sorte di referendum, da realizzarsi con sistemi informatici (rete Web) sottoporre l’azione del governo e di tutti i rappresentanti eletti, all’approvazione o meno degli elettori, per rafforzare ancor di più quel controllo e quel vincolo tra i rappresentanti e i cittadini.

Naturalmente la mia è solo una proposta e non vuol essere, sul cattivo esempio di tanti “strillozzi”, un nuovo vangelo della politica da imporre agli altri, ma bensì un contributo concreto e un invito per la discussione tra noi comuni cittadini.

La novità della mia proposta è quella che ogni decisione deve essere sempre condivisa e discussa tra cittadini informati e mai imposta dall’alto, dopo compromessi e spartizioni tra i vertici dei partiti.

Foto: Niccolò Caranti/Flickr

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