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I diritti del morente: diritti di tutti

Mi è toccato in sorte, poco tempo fa, un lutto molto grave. Nel giro di due giorni è morta mia madre. Era in ospedale. Sono stata con lei, nel giorno in cui è morta, quasi ogni momento. È morta avendomi accanto. Mia madre non sentiva dolore, ma era molto spaventata, e voleva andarsene, forse a casa, forse in un altro ospedale. Mia madre voleva potersi sedere, voleva bere.

Quando oramai era chiaro che mia madre non poteva nulla contro la morte, nei momenti in cui era più lucida, chiedeva solo queste due cose. Ma metterla seduta voleva dire ucciderla, e farla bere poteva soffocarla.

Quando mi è stato detto che mia madre, in fin di vita, non poteva essere accontentata, ho pensato: “un condannato a morte ha diritto alla sigaretta”. E così a mia madre, che chiedeva dell’acqua, io ho dato col cucchiaino un po’ d’acqua. Non ho potuto metterla seduta; le infermiere, molto gentili, mi hanno fatto capire che all’ospedale questo non si può fare: il loro dovere è tenere in vita il più possibile chi si sta curando.

Allora ho pensato alla morte del padre, descritta da Svevo nella Coscienza di Zeno. Quel padre che sta morendo e vuole aria, e tutti lì a calmarlo. E lui che alza la mano sul figlio, e non si sa se la sua è stata una carezza o uno schiaffo, perché la morte gli ha impedito un chiarimento.

Mia madre voleva due cose: sedersi e bere. Il diritto del morente. A cosa ha diritto un morente?

Non lo so, mi vengono in mente tante cose. Alcune riguardano, credo, il sentire comune: il morente ha diritto a non soffrire inutilmente. Altre sono personali, sono parte di una fitta rete di rapporti che ci hanno legato alla persona che sta morendo, forse davanti ai nostri occhi, sotto il tocco delle nostre dita. E così potrei elencare una serie di diritti del morente, potrei dire cosa vorrei per me; cosa ho voluto per mio padre e cosa per mia madre; cosa avrebbero voluto loro. Molte cose sarebbero diverse, i diritti del morente non sono standard.

Per questo il pensiero più ingombrante, che è giunto dopo la morte di mia madre, è stato che nessuno, nessuno per legge può definire con certezza ed esaustività i diritti del morente. Se prima pensavo che una legge equilibrata fosse sopportabile, oggi penso che lo Stato in questa cosa, davvero sacra per il mistero che la circonda, non deve avere parte alcuna.

Solo il malato, se e quando ancora può comunicare il suo pensiero, solo il familiare (o un amico) che lo conosce, solo il suo medico, non lo specialista che a un certo punto si ferma, ma il medico curante, possono insieme capire quali sono i diritti di quel morente, e solo quello, perché non si può procedere sempre per categorie.

“Il morente”. Il morente è ancora prima di tutto una persona, diversa da tutte le altre, forse vorrebbe essere curato con “accanimento”, forse vorrebbe che la sua agonia fosse la più breve possibile, forse vorrebbe essere sedato per non sentire più nulla, forse vorrebbe avere coscienza di quanto avviene, chi lo sa? Forse non lo sa nemmeno la persona finché non si trova in quella condizione, forse nemmeno i parenti o il medico curante, ancor meno lo sa un legislatore.

La persona, proprio quella lì, e non un morente generico, può essere molto credente e pensare che deve vivere finché sia possibile, finché si compia la volontà di Dio; forse è credente, ma pensa che la volontà di Dio non contempli macchine sofisticate che sostituiscono le funzioni vitali quando la vita cosciente da tempo non c’è più; forse invece è atea, o altro, e preferisce un diverso tipo di fine per la sua esistenza.

Insomma, nel dolore della perdita, ho capito ancor più di prima, ancor più profondamente, che il morente non esiste, esiste quella persona che muore e il suo individuale diritto, che va tutelato con amore, rispetto e coscienza del grande mistero che è in ogni persona che muore. Non so se questi siano elementi di cui il legislatore possa tenere conto.

 

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