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 Home page > Tribuna Libera > I blocchi dei tir. Prima di qualunque cambiamento, la contro-rivoluzione

I blocchi dei tir. Prima di qualunque cambiamento, la contro-rivoluzione

Guardare alle cose italiane da lontano, spesso mi permette di coglierne il senso meglio di quanto lo possa fare chi, vivendo nel paese, è inevitabilmente distratto dalla messe dei dettagli. A volte, però, commetto dei grossolani errori.

Ho certo sbagliato mentre scrivevo, durante la lunghissima agonia del governo Berlusconi, una serie di interventi in cui avvertivo del rischio di una deriva populista e auspicavo, ricordando che nulla era ancora perduto e le nostre risorse erano pressoché intatte, chiunque fosse la personalità cui avremmo affidato il timone della nostra malridotta nave, la massima coesione sociale.

Era facile, infatti, prevedere che il mutamento di rotta resosi necessario dopo decenni di immobilismo avrebbe scontentato molti; ancor più facile capire che tanti italiani, chiamati dopo anni di illusioni a contribuire per tappare le falle del nostro erario, avrebbero innalzato alte proteste.

Non ho nulla da correggere, dunque, di quel che ho scritto; anche il mio ottimismo, che pure ha vacillato, si sta dimostrando giustificato: la discesa dei tassi del nostro debito è un’ indicazione del fatto che siamo sulla buona strada e che, se non siamo certo fuori dai guai, con un po’ di fortuna possiamo davvero farcela.

Dove ho sbagliato di grosso è stato nel pensare tra me e me, condizionato forse dai miei pregiudizi (ne ho anche io, come tutti), che a surriscaldare il clima, in questo inverno che si preannunciava difficile, sarebbero stati i movimenti di studenti e lavoratori.

I sindacati nazionali in particolare, invece, hanno dimostrato un rimarchevole senso di responsabilità: hanno contestato anche duramente il governo, ma sempre in modo costruttivo, cercando l’accordo e non lo scontro; soprattutto, hanno mantenuto le loro iniziative strettamente dentro il solco della civiltà politica, non solo della legalità, dando concreta dimostrazione della tenuta della nostra compagine sociale e della saldezza delle nostre istituzioni.

Hanno contribuito, con il loro comportamento, a diffondere il messaggio che, qualunque siano le sue difficoltà contingenti, l’Italia resta una grande democrazia a cui si può continuare a dare, in tutti i sensi, credito.

Un messaggio che ora alcune categorie, proprio tra quelle che tradizionalmente votano per i partiti d’ordine, stanno cercando di negare; un’immagine positiva del paese, che la protesta dei camionisti, in particolare, può far svanire prima ancora che sia stata pienamente recepita dai mercati.

I blocchi stradali, infatti, non solo provocano disagi ed un danno diretto alla nostra economia; le code davanti ai distributori o lungo le autostrade sono esattamente quel che vuole vedere chi ha scommesso contro l’Italia.

Rappresentano, per quanto questo possa essere falso, un paese “sudamericano”, in preda al caos, incapace di riformarsi, contro cui speculare è quasi doveroso; un paese del cui debito è meglio liberarsi perché non lo ripagherà mai.

Difficile capire chi ci sia dietro alla minoranza di autotrasportatori che sta protestando; non so quali riferimenti politici abbia l’associazione Trasporto Unito né so nulla di Maurizio Longo, il suo Segretario. Per certo, se Unatras, la maggiore delle associazioni della categoria, col Governo aveva già raggiunto un accordo, la situazione dei camionisti, per quanto difficile, non deve essere tale da giustificare delle iniziative tanto esasperate.

Forse sono, questi padroncini, semplicemente uno dei tanti gruppi di sfascisti che stanno alzando clamorosamente la voce di questi tempi: i rappresentanti di una delle tante minoranze di italiani che, dopo essere state in buona sostanza complici del suo sfacelo, ritengono di poter prosperare a dispetto dell’Italia; che pensano che il bene del Paese, se pure ha la minima importanza nelle loro considerazioni, venga comunque dopo il loro.

Non dei delinquenti, dunque, o la massa di manovra di uno dei tanti nemici non troppo occulti della Repubblica, ma solo degli stolti; dei poveretti come i tanti altri che, mentre la nostra nave ancora minaccia d’affondare, si preoccupano della qualità della propria cabina.

Resta il fatto, quali che siano le ragioni delle loro proteste, che esistono strumenti diversi dal blocco stradale, per far sentire la propria voce in una democrazia. Di più ancora: che nessuna ragione giustifica l’illegalità; che in nessun caso si possano violare i diritti degli altri per imporre il proprio.

Chi plaude a simili metodi, chi pensa di poter cambiare lo stato delle cose con la violenza (e quella che i camionisti stanno esercitando in questi giorni è una forma di violenza, altro che storie) o si illude che tanto peggio sia tanto meglio, sta sbagliando tutto; se pensa che questo possa essere l’inizio di una trasformazione radicale della nostra realtà, commette il mio stesso errore: una società ridotta a somma di egoismi corporativi e una politica fatta di slogan (poco cambia che siano ripetuti fino all’ossessione dalle televisioni o siano urlati nelle piazze), possono sempre e solo essere il terreno su cui crescono, prima di qualunque possibilità di cambiamento, le nostre cicliche, eterne, controrivoluzioni.

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