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I beni culturali da problema a risorsa

Nell’ambiente è chiamato Mr McDonalds. Nomignolo appiccicatogli addosso per la sua passata esperienza come direttore Italia della grande catena di fast food. La nomina di Mario Resca, come Direttore Generale al Ministero per i Beni e le Attività Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale, ha suscitato un vespaio di polemiche. Polemiche che non hanno fermato il lavoro di Resca iniziato da circa due anni e che ha dato i primi.

Tra le iniziative promosse fino ad ora si ricorda quella sulla digitalizzazione del sito archeologico di Pompei con Google StreetView, su Musei in Musica a Roma, sull'apertura straordinaria e gratuita della Pinacoteca di Brera e del Cenacolo vinciano nel giorno di Sant'Ambrogio.
 Ci sono poi i progetti che sono stati attivati nel 2010, che confermano - è nel Dna di Resca - una grande attenzione alla modernizzazione e alle nuove tecnologie, dai Google Books - per digitalizzare un milione di libri conservati nelle Biblioteche Nazionali - agli applicativi Google maps per Mobile; nuovi bandi per i servizi aggiuntivi entro il 30 giugno, lo sviluppo del Progetto Reti Amiche in collaborazione con Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Lottomatica e Banca San Paolo-IMI, il ciclo di mostre itineranti Viaggio in Italia: la grande arte delle collezioni nazionali, per portare la grande arte nei comuni italiani, spesso esclusi dal circuito delle esposizioni, nuovi percorsi turistico-culturali dedicati fra gli altri a Magna Grecia, Via Francigena, Etruschi.
 Fra i progetti Internazionali infine spazio alla mobilità delle collezioni d'arte promossa in ambito internazionale attraverso l'Organizzazione Mondiale del Commercio, momenti di cooperazione internazionale con i ministeri della cultura francese, spagnolo e cinese, grandi mostre con aree geografiche prioritarie quali USA, Cina, Emirati, Giappone.

L'obbiettivo riaffermato è comunque quello di aumentare il numero dei visitatori - soprattutto connazionali - del 10% entro il 2012.

Nonostante tutte queste iniziative direttore il settore dei beni culturali in Italia è ancora in una situazione difficile… e di profonda crisi.

Se è vero, come noi diciamo continuamente e ce lo dicono anche all’estero, che abbiamo il maggiore patrimonio culturale per quantità e qualità. Se è vero questo… allora abbiamo un grosso problema, se prendiamo a riferimento i dati dei visitatori dei siti, dei musei italiani … si nota un fenomeno in controtendenza da noi rispetto al resto del mondo dove il turismo culturale è in aumento e sta portando ricchezza e sviluppo per il territorio.

In questi mesi mi sono confrontato con molti dei nostri uomini di cultura, molti che hanno fatto scudo contro la mia nomina perché non vengo da questo mondo ed è vero, poi sono andato in giro a vedere musei e luoghi d’arte confrontandomi con i ministeri della cultura di molte nazioni ed è ho capito che l’Italia ha come identità di paese la cultura, ma ce lo dicono gli altri… gli altri se lo aspettano, ma noi in realtà non ci crediamo visti i numeri e lo stato di degrado in cui versa il nostro patrimonio culturale….da noi “dire pezzo da museo” è un modo dispregiativo, negli altri paesi il museo è un luogo dove ci si incontra, ci si confronta e si fruisce delle testimonianze del passato e del presente in modo positivo e facile. I nostri musei invece sono invecchiati.

Fino a qualche decennio fa bastava mostrare i pezzi in modo più o meno allineato, oggi invece bisogna creare le condizioni perché le persone, i visitatori, le famiglie possano fare un’esperienza positiva; condizioni che vanno dagli orari spesso non adatti a chi lavora o alle famiglie, ai giorni di chiusura e apertura che forse non sono adatti a molti musei, alla pulizia esterna a come vengono valorizzati dal punto di vista espositivo gli oggetti. Spesso i nostri musei sono esposizione più o meno piatte dove il profano non capisce se si trova di fronte un capolavoro o meno. E’ la parte emozionale che non è messa in evidenza se non per gli esperti, ma questi sono solo il 5%, l’altro 95% dei visitatori è gente normale che si avvicina all’arte e alla cultura perché ha degli stimoli che vengono da dentro; negli altri stati il museo è un luogo di aggregazione dove ci sono ristoranti e librerie di grande richiamo, il personale è ben vestito, motivato e sempre sorridente, mentre da noi i dipendenti sono poco motivati è anche annoiati; le esposizioni non sono accattivanti o emozionanti, spesso non sono ben spiegate e quasi sempre non sono in doppia o tripla lingua; non ci sono mezzi tecnologici che rendono più facile la visita e soprattutto non c’è comunicazione sufficiente ed efficace.

Quindi le strategie?
Strategie: la prima di medio periodo è quella di riorganizzare dal punto di vista fisico i nostri musei quindi organizzare i servizi aggiuntivi… la legge Ronchey quindi non è superata? No, non è superata ma bisogna migliorarla, è un inizio ma bisogna investire di più nei servizi aggiuntivi e segmentare i programmi per i bambini, i giovani, le famiglie.

Questo è un richiamo alla didattica…
…si ma alla didattica interna, se le scolaresche vanno al museo devono trovare strumenti e condizioni che consentano loro di apprendere meglio e in modo più “friendly”; dobbiamo fare in modo che l’esperienza di una visita al museo sia positiva non solo per quello che troviamo ma come lo troviamo …comunque la seconda considerazione… già le strategie… la seconda strategia riguarda gli eventi. Penso a molti eventi organizzati e comunicati di più e meglio in modo da far rivivere i nostri musei.

Quindi per lei le mostre evento sono importanti come momento di richiamo e creazione di turismo culturale?
Certo. Penso alla mostra a Palazzo Marino a Milano dove qualche anno fa è stato esposto un solo Caravaggio. Quell’evento ha fatto settemila visitatori al giorno, grazie ad una comunicazione e ad un marketing eccellente, in questo modo Caravaggio è diventato uno strumento di comunicazione formidabile che ha aperto un dibattito esterno molto forte. Questo esempio ci dice che abbiamo un potenziale enorme non sfruttato. Io sono qui per scelta come “servizio civile”, avendo fatto cose nella mia vita lavorativa che hanno sempre funzionato, io sono specialista in “turn around” cioè di cambiamento di una situazione da negativa a positiva. Questo relativo ai beni culturali è un caso che ha bisogno di specialisti in turn around.

Insomma lei sta parlando di investire di più, cambiare la mentalità in un momento in cui proprio al settore dei beni culturali si operano tagli profondi. Come vanno d’accordo queste due cose?


I tagli si fanno tenendo conto delle priorità. Se noi dimostrassimo con un piano industriale, con una strategia convincente che questo settore può funzionare, forse domani potremmo dire che i tagli sono inutili e invece vale la pena investire in questo settore, dobbiamo essere più convinti e più convincenti. La vera strategia è quella di capire perché il nostro visitatore non viene e quindi mettere in campo gli strumenti adeguati per lanciargli il messaggio e dirgli “ti vogliamo. Mettere al centro della nostra attenzione il potenziale visitatore. Poi bisogna fare in modo che i nostri dipendenti e direttori si adeguino a questo sistema motivandoli e responsabilizzandoli di più.

Un lavoro che si dovrà fare in sinergia con le Soprintendenze che per quanto vecchie e come le ha definite Giovanni Scichilone “bad company”, ironizzando invece sulla good company rappresentata da un nuovo modello diretto da manager esterni come lei, sono pur sempre luoghi di tecnici e funzionari spesso autonomi da autorità esterne… politiche
In queste settimane si è parlato molto di tutela anziché valorizzazione; invece le due cose vanno di pari passo, per questo gli esperti devono dirmi se un pezzo è più importante e da tenere rispetto ad un altro e quindi da loro deve arrivare la strategia del valore culturale delle cose che abbiamo.
D’altro canto oggi questi grandi esperti di cultura non credo che abbiano la cognizione dei numeri, di come fare per portare a casa più risultati e valore aggiunto al nostro patrimonio culturale. Io non sono esperto di cultura ma non è questa la mia funzione io devo cercare di internazionalizzare la nostra cultura. Quindi l’altra idea è quella di portare mostre all’estero ed aprire nostri musei nei paesi più sviluppati…dobbiamo essere più convinti di quello che abbiamo.

Quindi lei è a favore dei prestiti che creano ritorno economico oltre che di immagine e cultura?
Lo scambio avviene e sta già avvenendo. Non c’è dubbio che mandare le nostre opere all’estero significa mostrare la nostra parte migliore all’estero. E di per se, questo è un fatto non solo culturale ma anche economico. Io sono a favore di queste politiche, se il Louvre ha fatto un museo a Dubai ha avuto comunque un sacco di soldi…Insomma se il museo statale italiano vive di soldi pubblici, poiché lo stato darà sempre meno finanziamenti bisognerà trovare altre strade per continuare ad esistere. Bisogna sviluppare la capacità di attrarre fondi da donazioni e fare del museo un’impresa, con ristorazione, merchandising e quant’altro; tutto questo fa si che i direttori dei musei siano si esperti d’arte ma dovranno avere anche capacità di gestione manageriale.

Musei che si autostengono sostanzialmente?
All’estero questo già accade i privati fanno donazioni ai musei che devono fare un buon lavoro per continuare ad essere finanziati instaurando così un circolo virtuoso che consente di avere musei che funzionano. In Italia, invece, è difficile anche fare una donazione ad un museo!

Direttore, un discorso giusto questo, ma come si applica in Italia dove molte regioni come l’Abruzzo non hanno grossi musei e spesso hanno invece una rete di musei di medie e piccole dimensioni che difficilmente possono fare politiche di autogestione.
La cosa vera è che noi abbiamo 4000 musei che sono troppi e molti sono marginali con costi troppo alti. La gente va dove c’è altra gente, quindi bisogna razionalizzare questo patrimonio e forse dobbiamo riorganizzare il sistema per avere musei più grandi che abbiano più capacità d’attrazione. Negli anni sono stati costruiti molti musei anche interessanti e di qualità ma che spesso sono poco conosciuti e non facilmente raggiungibili. Credo che vada fatta una mappatura di tutti i musei dal punto di vista di contenuti, di logica e di percorsi per ripensare una strategia più adeguata. Dire che lo stato ha pochi soldi e poi aspettarsi finanziamenti a pioggia che ripianino i debiti, oggi purtroppo non è più pensabile… ci sono molti musei in Italia che non hanno i soldi per pagare le bollette…ma io dico chi si è occupato di questo negli ultimi quarant’anni … io arrivo qui per ultimo e guardo, io vado per conto mio nei musei per cercare di capire qual è l’esperienza del visitatore normale…bé io sono molto preoccupato perché anche la famosa tutela non solo quella artistica ma anche fisica del nostro patrimonio non c’è. Insomma la situazione è preoccupante e quindi mi domando tutti coloro che si sono scandalizzati del mio arrivo dove erano in questi anni in cui si è consumato il degrado del nostro patrimonio!!!

Direttore un’ultima domanda che effetto le fa sentirsi chiamare Mr MacDonalds…
Io ho lavorato in Rizzoli, Mondadori, Versace, Mcdonalds è la mia esperienza... più colorita. Però in questo caso io ho preso un’azienda in difficoltà e ne ho fatto un’industria che oggi ha 14mila dipendenti con 350 punti vendita; un lavoro che mi ha dato molte soddisfazioni. Quando sono stato chiamato a questo incarico avevo una sorta di timore reverenziale ad avvicinarmi a questo mondo, in questi mesi però dopo aver constatato la situazione, questa sensazione è sparita perché c’è un grosso bisogno di dare una mano… Io su questo voglio aprire un dibattito che dovrà servire a riaccendere i riflettori sul nostro patrimonio culturale.

di Angela Ciano*

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*Angela Ciano è nata a L’Aquila. Laureata in Lettere Moderne con indirizzo artistico è giornalista professionista dal 2001. Ha iniziato a lavorare in questo settore nel 1992. Dopo la prima esperienza come giornalista televisiva a TV Uno dell’Aquila, ha collaborato per molti anni con la trasmissione Verissimo di Canale 5 curando le “storie” dall’Abruzzo; ha curato la redazione dell’Aquila per Rete 8 ed è diventata caporedattore di TeleAbruzzo. Dal 2007 cura l’Ufficio Stampa e la Comunicazione per la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici per l’Abruzzo e per la Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila. Ha ricevuto numerosi premi giornalistici: Premio Internazionale Emigrazione, Premio Guido Polidoro, Premio Addetto Stampa dell’Anno nel 2009. Tra le sue pubblicazioni si segnala “Palazzo Farinosi – Branconi, Potere e Splendore di una Famiglia Aquilana”, edito per la Regione Abruzzo.

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