• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > I No Tav. Né moderni, né anti, né post

I No Tav. Né moderni, né anti, né post

Cercare di etichettarli come anti-moderni, come luddisti nemici del vapore e del progresso, non è grossolano od impreciso: è falso oltre che anacronistico.

Non siamo più moderni e da molto tempo; dalla prima guerra mondiale perlomeno: la grande crisi della modernità, del suo scientismo e della sua pretesa analiticità, nasce nelle trincee; è figlia delle stragi provocate dal cannone, dalla mitragliatrice e dai gas.

Il nazismo è la più clamorosa delle reazioni anti-moderne: per quanto possa usare le macchine e la scienza per i propri fini, le odia quanto odia la razionalità illuminata che le ha generate; per quanto possa adottare le forme e gli stili della classicità (pensate alle architetture di Speer), si rifà ad ideali e miti (la terra; il sangue) pre-classici. E già tanto dionisiaco da meritare di essere inserito tra i precursori del post-moderno o, se volete, da essere considerato una ramo,fortunatamente morto, dell’evoluzione post-moderna.

Post-moderni siamo stati fino a pochi anni or sono; post-moderne sono state tanto le società in cui siamo cresciuti quanto le nostre vite. I miti moderni erano già morti e sepolti quando eravamo in fasce; la bomba atomica, questa super-realtà che abbiamo rimosso dalla nostra coscienza, aveva già spazzato anche le ultime vestigia della incondizionata fede positivista nel progresso. Sopravviveva la modernità nelle arti, ma ridotta a maniera, nel senso deteriore del termine; una terra di mezzo, in attesa di nuovi paradigmi che sembravano non arrivare, fatta della ripetizione e dell’ esasperazione di modelli che erano già antichi. Una terra di mezzo fatta di rinunce è stata quella in cui abbiamo vissuto ed è ancora quella in cui viviamo; amara rinuncia ai grandi ideali e scettica rinuncia alle grandi teorie come a qualunque altro tentativo di interpretazione della realtà. Rinuncia, addirittura, alla contemplazione del reale o perlomeno alla sua descrizione in termini meno che epidermici, lungo archi temporali più che istantanei; rinuncia dunque, oltre che alla scienza come ideale, anche alla storia, la propria e personale assolutamente compresa, come prassi. Rinunce che hanno fatto del narcisismo la vera condizione post-moderna: il narcisismo di un Ego che non può, senza tempo né reale, arrivare a farsi Sé.

Narcisisti siamo ancora, eppure non siamo più solo post-moderni: la nostra sensibilità è cambiata, proprio negli ultimi due decenni, per effetto delle nuove tecnologie; a causa di questi strumenti della modernità di cui ci siamo impadroniti, magari per scopi e con “ideali” post-moderni. La rete, per quanto fatua sia l’onniscienza che ci mette a disposizione, ci spinge a conoscere; a sapere. Per quanto evanescente, la sua cultura istantanea ed estensiva, onnicomprensiva seppure  superficiale, è tanto aperta da consentirci di diventarne protagonisti; ci strappa la maschera dell’autosufficiente ironia post-moderna e ci invita a partecipare. Per farlo dobbiamo operare delle scelte; comunque rischiare: qualcosa che da post-moderni non avremmo mai fatto. Dobbiamo agire e per farlo abbiamo bisogno di canoni e guide, avere dei termini di paragone e darci degli obiettivi. Riferimenti ideali che mutiamo dal passato, ma, in questo ancora post-moderni, senza le ideologie in cui erano inseriti: è questo che origina il pragmatismo, ideale o virtuale quanto volete, di questa post-post-modernità che non ha ancora nome definitivo.

Cercare di etichettare i No - Tav come anti-moderni, come luddisti nemici del vapore e del progresso, non è, quindi, grossolano od impreciso: è anacronistico; qualcosa che può fare solo una classe dirigente come la nostra, vecchia nelle idee più di quanto lo non sia (ed è mediamente decrepita) anagraficamente.  I No-Tav, se uno ha la pazienza post-post-moderna di informarsi leggendo i loro comunicati, motivano la loro opposizione alla linea ad alta velocità contestandone i costi, non solo ambientali, e sottolineando la pochezza dei benefici che la sua realizzazione comporterebbe la per l’Italia intera, prima ancora che la Val di Susa. Si approvino o no i loro metodi (e io conservo tutto il mio scetticismo a riguardo), si accettino o no le loro conclusioni, non si può negare il pragmatismo della loro posizione; la loro a-ideologica post-post-modernità.

Dello stesso carattere è anche il loro movimento: un tribù, certo tra le meno effimere, come le tante che in rete si creano e disfano attorno ad un tema; che lottano, per quanto possano essere virtuali, per l’ottenimento di questo o quel risultato assolutamente pratico. Sono le tribù di cui parlava Michel Maffesoli in un suo libro di pochi anni fa; nuovi, spesso ancora confusi, luoghi di aggregazione di un umanità che sta faticosamente liberandosi dallo sterile individualismo post-moderno.

Di uomini e donne che, finita l’età dell’eterno presente, sono tornati a guardare criticamente al passato e a volgere gli occhi al futuro.

Quali che siano i loro errori e le loro ingenuità, una ragione di speranza per chi si è rifiutato d’arrendersi al “precipito chiudersi dell’orizzonte” della seconda metà del secolo scorso.

Ovvio che chi quell’orizzonte serrò, o aiutò a serrare, non li ami.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares