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Herlitzka al Teatro Nuovo con Thomas Bernhard

Da martedì 16 aprile (in replica fino a domenica 21 ), il Teatro Nuovo di Napoli ha ospitato la tournée de Il soccombente, ovvero il mistero di Glenn Gould dal romanzo di Thomas Bernhard.

In scena, Roberto Herlitzka, uno degli attori più intensi del panorama teatrale e cinematografico italiano. La versione teatrale del romanzo, tra le opere più famose di Bernhard e capolavoro della letteratura mondiale del Novecento, è affidata a Ruggero Cappuccio. La regia è firmata Nadia Baldi. Il progetto pone l’accento soprattutto sulla solitudine, l’illusione, l’alienazione in una realtà che forse non è mai esistita, ma che continua ad essere vivida nella mente del narratore.

Si trova così il pretesto per una meditazione su successo, fallimento e fama di tre musicisti che da giovani si incontrano a Salisburgo per partecipare al corso condotto dal Maestro Horowitz. L’amicizia con Glenn Gould, famoso pianista canadese la cui perfezione musicale fu lampante dalle prime note al pianoforte, porterà gli altri due compagni, Wertheimer e il narratore anonimo interpretato qui da Herlitzka, ad abbandonare lo studio forsennato e la carriera pianistica. Sarà l’impeccabile esecuzione delle Variazioni Goldberg di Bach, che riecheggiano nella mente del narratore quasi come un fantasma del passato, a dimostrare il virtuosismo del canadese. Insieme all’eccellenza e al genio di Gould però, emerge anche il senso di inferiorità del narratore e dello stesso Wertheimer, definito da Glenn Gould “il soccombente” in quanto persona che “va in fondo alle cose”. E sarà infatti l’unico dei tre a soccombere alla propria sconfitta artistica con il suicidio.

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Il narratore ci permette di ripercorrere la vita, i fallimenti, la mediocrità che hanno poi caratterizzato il suo percorso personale attraverso la memoria che, in forma quasi scolastica, trascrive emozioni ed eventi del passato sui muri di ardesia, emblema dell’isolamento nel quale si è rinchiuso da tempo il protagonista.

L’incontro con Gould susciterà infatti nei due virtuosi del pianoforte sentimenti ambivalenti: ammirazione per quel genio canadese, “prova vivente dell’esistenza di Dio”, e al contempo odio, per l’assoluta consapevolezza che il suo successo avrebbe minacciato la loro stessa carriera, determinando l’inesorabile fallimento.

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Herlitzka, con intensità e precisione, si muove qui in un luogo adimensionale, fatto di chiaro-scuri, luci fioche quanto basta per vederci nel buio, quasi a rappresentare la mente umana indebolita da frustrazioni e ossessioni. Il suo monologo, a tratti tragicomico, è di una crudezza tale da suscitare nel pubblico una certa inquietudine. Allo stesso tempo, analizza le loro vite, impietosamente dipinte, con una sorprendente lucidità.

In scena accanto a Herlitzka, una Marina Sorrenti che, con i suoi “disse”, “pensai” pronunciati a mezza voce, sembra rappresentare il fantasma della coscienza del narratore. Allo spettatore viene data così l’illusione di trovarsi nella mente del pianista. L’attrice segue il ritmo, prima lento poi concitato, dei pensieri, a tratti folli, del protagonista. Trascrive numeri, nomi e scene del passato sulla lavagna della memoria, quasi fosse una seduta psicoanalitica. Spesso infatti, l’attrice o Herlitzka stesso si siedono sulla poltrona da barbiere che troneggia sulla scena, quasi fosse il divano nello studio di uno psicologo.

Tutto, dalla messinscena, alle ambientazioni videografiche di Davide Scognamiglio, alle musiche di Marco Betta, porta il pubblico a sprofondare con gli attori in una ricerca spasmodica del significato.

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