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Guerra mondiale dei sussidi, paghi chi può

La corsa globale ai sussidi per la transizione tecnologica è in pieno svolgimento e costringe i governi a trovare risorse per non finire ai margini della grande trasformazione

 

 

Il governo del Regno Unito spenderà 500 milioni di sterline, tra sussidi e potenziamento infrastrutturale locale, per consentire agli indiani di Tata Group di realizzare su suolo britannico un impianto di batterie per veicoli elettrici del costo previsto di 4 miliardi di sterline. L’impianto, con una capacità annua stimata di 40 GWh (equivalente a circa mezzo milione di veicoli), dal 2026 dovrà rifornire di batterie il costruttore controllato da Tata, Jaguar Land Rover, oltre a Tata Motors. Ma dovrebbe non limitarsi a loro, visto che la gigafactory rappresenterà il 40% della domanda di batterie attesa da costruttori britannici entro il 2030.

UNA GIGAFACTORY PER IL REGNO UNITO

Il sito dovrebbe essere ubicato nell’Inghilterra occidentale e creare circa 4.000 posti di lavoro. Il Regno Unito ha battuto la concorrenza della Spagna come sede del nuovo impianto, dopo che Tata nove mesi addietro aveva comunicato a Downing Street che era orientata a costruire l’impianto all’estero. L’attuale premier britannico, Rishi Sunak, dopo aver detto che occorreva evitare una “corsa ai sussidi”, ha capitolato.

In aggiunta, il gruppo Tata potrà contare sul nuovo sussidio per le imprese energivore, noto come “British Energy Supercharger”. Misura che fa parte del complesso negoziato tra il gruppo indiano e il governo britannico per tenere in vita e riconvertire l’acciaieria di Port Talbot, in Galles, di proprietà di Tata. Nel frattempo, a Downing Street si attende conferma da BMW che le nuove Mini elettriche saranno prodotte nell’impianto di Cowley, vicino Oxford. Anche in questo caso, potrebbe servire un incentivo.

La costruzione della gigafactory potrebbe essere la prima pietra per contrastare il declino del settore automotive britannico, la cui produzione lo scorso anno è scesa a 800 mila veicoli, minimo dagli anni Cinquanta, contro il picco di 2 milioni prodotti negli anni Settanta. L’evoluzione all’elettrico e l’uscita del Regno Unito dalla Ue, con tutto quello che ne consegue in termini di incertezza sui mercati di sbocco, hanno già portato nel 2020 alla chiusura dell’impianto di costruzione dei motori Ford di Bridgend e nel 2021 alla chiusura del sito di Swindon da parte di Honda. A livello minimale, l’accordo pare almeno essere in grado di stabilizzare la catena di fornitura di Jaguar Land Rover, che oggi ha una quota di mercato del 25%.

Per inquadrare meglio il percorso a ostacoli, è utile sapere che il Regno Unito ha disposto il divieto di vendita di motori a combustione dal 2030 (e no, non è colpa della malvagia Ue), e che i produttori dovranno rispettare degli obiettivi di quote dell’elettrico venduto a partire dal prossimo anno. Inoltre, gli accordi post-Brexit richiedono che i veicoli elettrici contengano almeno il 45% di parti prodotte in Ue o Regno Unito, altrimenti scatterebbe una tariffa del 10%.

Tuttavia, la nuova gigafactory pare nascere con una robusta ipoteca asiatica sulla testa, visto che Tata pare si avvarrà della collaborazione dei cinesi di Envision, che già collaborano con i giapponesi di Nissan per la realizzazione della gigafactory da 12 GWh a Sunderland. Non si deve scordare che la Cina è il player dominante nella fornitura globale di batterie, con una quota di mercato del 78% a fine 2022. L’Europa rincorre, con oltre 30 impianti in costruzione o pianificati, di cui tre in Francia e nove in Germania.

TENDENZA GLOBALE SEMPRE PIÙ EVIDENTE

Al di là del caso britannico, quella che ovunque appare sempre più evidente è la realtà di forti sussidi pubblici per attrarre insediamenti nelle nuove tecnologie, con i costruttori in grado di fare shopping di aiuti pubblici. Ad esempio, il governo giapponese ha fatto sapere di essere disposto a sussidiare la costruzione di un impianto di chip che Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (TSMC) vorrebbe costruire nel paese.

Sarebbe il secondo, sempre nella Prefettura di Kumamoto, oltre a quello attualmente in costruzione e che dovrebbe iniziare la produzione massiva il prossimo anno, in cui stanno investendo anche Sony e il produttore di componentistica auto Denso. L’impianto ha un costo stimato di 8,6 miliardi di dollari, il governo giapponese se ne sta accollando circa la metà.

A inizio luglio, Stellantis e LG Energy Solutions hanno vinto il braccio di ferro col governo canadese, a cui avevano chiesto almeno di eguagliare i sussidi erogati dagli Stati Uniti nel quadro dell’Inflation Reduction Act, dopo aver fermato a maggio il cantiere della gigafactory di Windsor, in Ontario. Il governo federale e quello provinciale hanno ceduto, promettendo incentivi di produzione per 15 miliardi di dollari canadesi, pari a circa 11 miliardi di dollari, per lo più sotto forma di crediti d’imposta pluriennali. Il casus belli pare sia stata l’entità dei sussidi concessi a Volkswagen per una gigafactory, sempre in Ontario, allineati all’Inflation Reduction Act, mentre quelli promessi a Stellantis e LGES erano stati negoziati prima dell’entrata in vigore dei sussidi di Biden. 

È in atto una corsa globale ai sussidi, dunque. Tutto è iniziato con il programma Made in China 2025, che punta a spingere più in là la frontiera tecnologica di Pechino. Poi è giunto l’Inflation Reduction Act per rivitalizzare la manifattura americana sul nuovo paradigma tecnologico e costruire un vantaggio strategico sulla Cina.

Volenti o meno, i governi nazionali sono costretti a sussidiare gli impianti, pena vederli migrare altrove. Lo spartiacque è tra paesi che possono permettersi di pagare i sussidi, e quelli che non hanno risorse. Superfluo immaginare da quale lato del confine l’Italia rischi di cadere. Per ora registriamo il grande progetto del ministro delle imprese e del Made in Italy (per gli amici, MIMIT), Adolfo Urso, che ha chiesto al Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, di contribuire a portare la produzione italiana di auto a un milione di unità, dalle 470 mila del 2022. Urso ha donato a Tavares una copia della costituzione italiana, con evidenza degli articoli 1 e 41. Temo serviranno ben altri tipi di doni, per raggiungere l’obiettivo.


Aggiornamento il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, sulla situazione dei costi dell’auto elettrica in Europa, e sul “negoziato” col governo italiano. Che cercherà i fondi per i sussidi nel ridefinito RePower EU.

 

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