Governo Monti: due parole
Qui non è questione di schierarsi, ma di prendere atto che siamo commissariati dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. La prima ha imposto delle misure che ritiene adatte per farci uscire dalla tormenta. Il secondo ne verificherà l’implementazione passo dopo passo. Terzo incomodo, il presidente del Consiglio uscente, Berlusconi. Che rendeva vane le nostre promesse a entrambi i soggetti.
Non c’è molto altro da dire su questa crisi di governo: si è semplicemente cercato di rimuovere il terzo incomodo, così da rendere credibili le nostre promesse di attuazione di quanto ci è stato dettato. Un compito a cui Napolitano non ha voluto (né potuto) sottrarsi dopo che la maggioranza è venuta a mancare sul voto del rendiconto dello Stato. Così che i mercati, fiduciosi che finalmente ci metteremo in moto sui binari disegnati dall’Europa, ci hanno consentito di tirare il fiato. Ma solo per questo. Inutile gridare alla «macelleria sociale»: l’alternativa è ben peggio, cioè il protrarsi di una situazione economicamente insostenibile, fino al fallimento. Inutile porre veti e distinguo. O meglio: utile solo a fini elettorali, quando saremo fuori dalla bufera; o per alzare la posta nella contrattazione dei ministri e dei margini (strettissimi) che ci sono consentiti per rimanere uno Stato sovrano.
Mario Monti sembra poter riuscire nella difficile impresa di formare un fronte di moderati, di ogni schieramento, che dovranno assumersi la responsabilità di dare vita a una maggioranza capace di far digerire al Paese le lacrime e il sangue. Dal Pdl al Pd, come si è sentito ripetere da più parti in questi giorni. Di Pietro non ci sta, la Lega nemmeno. Vendola a tempo. E dentro ogni schieramento ci si divide tra chi accetta di buon grado la soluzione, chi meno, chi per niente.
Che un simile governo sia concettualmente impresentabile è piuttosto chiaro. Del resto, deve limitarsi a eseguire: quindi non ci saranno grosse occasioni per scontri sui massimi sistemi. O così o si salta per aria. Sbagliato, inaccettabile, ma è così. Ci sarà tempo per distribuire le responsabilità del tracollo (in larga parte della maggioranza che ha governato per otto degli ultimi dieci anni; in parte minore, ma comunque significativa, alle opposizioni che non sono riusciti a presentare un’alternativa credibile per trasformare le macerie del centrodestra nella prima pietra di un edificio completamente nuovo): le elezioni serviranno anche a quello. Ma fino ad allora, e nella totale assenza di alternative praticabili, è inutile gridare al complotto della finanza cattiva, delle banche cattive, dei supermanager cattivi, alla politica che si fa dettare i programmi dall’economia, alla sovranità popolare tradita etc etc.
Peggio, è dannoso. Perché erode l’ultimo residuo di credibilità rimasto al Paese (sta già accadendo, con i continui litigi, le accuse tra compagni di partito, i cambi di casacca, le coalizioni che – costruite in anni di congressi e mezze parole – si liquefanno all’istante). Meglio pensarci quando avremo tempo e modo di farlo. Ora non è quel tempo.
Si ingoi il rospo, insomma. Fermo restando che quando questo esecutivo di transizione avrà obbedito (e magari cambiato una buona volta la legge elettorale), tutta l’attuale dirigenza non può che compiere un ulteriore atto di responsabilità nazionale: cambiare mestiere, e lasciarlo a qualcuno che abbia una faccia spendibile, giovane (meglio) o vecchio che sia. Così che, finalmente, si possa tornare a dare alla politica il primato che le spetta.
Questo articolo è stato pubblicato quiCommenti all'articolo
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox