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Gli italiani e l’impegno civile ai tempi della crisi

Se c'è un settore che in Italia non risente della crisi, pur fra alti e bassi, questo è il volontariato. 

Ce lo rivela una indagine svolta da Istat su 19 mila famiglie, per un totale di 49 mila cittadini. Nell'ultimo decennio le persone che svolgono attività di volontariato sono passate dall’8,4% del 2001 al 10% dello scorso anno. Una crescita lenta ma costante, che tuttavia presenta anche delle ombre. Da un lato, si assiste a un nuovo fermento di partecipazione e di mobilitazione civile che ha toccato forse la punta massima di impegno in occasione dei recenti referendum popolari; dall’altro, i dati mostrano il rafforzamento delle diseguaglianze partecipative, nel senso che aumenta l’impegno di quanti vengono considerati "socialmente centrali" mentre diviene sempre più marginale chi, per condizione sociale, gode di minori opportunità di coinvolgimento. Anche a livello di partecipazione politica.
 
Nel concreto, le risultanze mostrano una maggiore attitudine al volontariato da parte di chi ha uno status sociale e occupazionale elevato. Inoltre, maggiore impegno è riscontrabile nei piccoli centri urbani rispetto alle grandi città, con gli uomini (soprattutto quelli di età compresa fra i 45 e i 64 anni) più attivi delle donne.
 
La questione generazionale, assieme a quella di genere, costituisce un importante spunto di riflessione di cui bisognerà tener conto in vista dell'Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà fra le generazioni previsto nel 2012, al fine di rimuovere definitivamente ogni ostacolo al pieno sviluppo delle dinamiche solidali di tipo privato e familiare.

Altro dato rilevante è quello relativo alla disparità territoriale e occupazionale di chi è impegnato nel volontariato. Dai dati Istat, infatti, si evince una maggiore propensione nel Nord rispetto al Centro e al Sud. Per quanto riguarda la posizione occupazionale, invece, i maggiori livelli di partecipazione si riscontrano fra i dirigenti, gli imprenditori ed i liberi professionisti, e i minori fra le casalinghe, gli operai e le persone in cerca di occupazione. Analogo dislivello si desume dall'analisi del titolo di studio posseduto dai volontari.

Meno incoraggiante è lo scenario riguardante la partecipazione associativa non compresa nelle attività di volontariato. Per quanto riguarda, ad esempio, la partecipazione a organismi di advocacy (ecologia, pace, diritti civili) viene confermato il basso livello di impegno già ravvisato nelle rilevazioni precedenti. La quota degli interpellati dall’indagine Istat che dice di aver partecipato negli ultimi 12 mesi ad almeno una riunione di associazione è appena l’1,8%.

Decisamente migliore è il dato sulla partecipazione alle iniziative di associazioni culturali e ricreative: il 9,6%. Pure in questo caso, la partecipazione è più diffusa fra gli uomini rispetto alle donne, e fra quanti possiedono un titolo di studio o uno status occupazionale elevato. Desolante è il quadro dell'attivismo sindacale: solo l’1,3% di coloro che hanno svolto almeno una volta nel 2010 un’attività sociale gratuita, con picchi più alti tra i maschi di età compresa tra i 45 e i 59 anni e tra coloro che hanno status occupazionali medio-alti, specialmente gli impiegati.

A livello di "supporto esterno", nel 2010 è cresciuto il numero di italiani che hanno sostenuto finanziariamente un’associazione di volontariato, attestandosi intorno al 17,8%. Si tratta di un fenomeno meno segmentato dei precedenti, con un differenziale anagrafico e di genere più lieve ma con notevoli disparità di tipo geografico, con oltre il 20% dei donatori situati nelle regioni settentrionali.

Anche dando uno sguardo attento all'ultima Relazione al Parlamento sul Servizio Civile, emergono dati assai contrastanti sul fenomeno della partecipazione attiva dei cittadini, in questo caso dei più giovani: la domanda crese, ma l'offerta diminuisce. Il 2010 ha infatti segnato un record nella copertura dei posti messi a bando, che ha raggiunto il 96,2% del totale con un incremento del 2,45% rispetto all'anno precedente. Per il solo bando nazionale di ottobre 2010, sono arrivate 70.199 domande a fronte di 19.627 posti disponibili. In tal caso, a differenza dei dati generali sulle attività di volontariato, al Sud si registra il maggior numero di domande, pari al 60,3% del totale.

Tuttavia, per effetto dei tagli continui del Governo al fondo nazionale del Servizio Civile (solo 170 milioni di euro stanziati nel 2010, con una riduzione di quasi il 20% rispetto al 2009 e del 36% rispetto al 2008), l'offerta di posti è in costante diminuzione e il 2010 ha segnato uno dei picchi più bassi nella decennale vicenda del Servizio Civile nazionale con appena 14.144 volontari in servizio, dei quali il 54,5% nel Sud Italia. In prima fila c’è la Campania con 2.659 volontari, seguita dalla Sicilia con 2.555 volontari. La regione con più volontari al Nord è la Lombardia con 1.029, mentre al Centro è il Lazio con 1.506. Rispetto al 2009, quando furono in servizio 30.377 giovani, la riduzione è stata del 53,4%.

Per quanto riguarda, infine, gli ambiti di impiego dei volontari, oltre la metà di essi (7.622 pari al 54,25%) sono impegnati nel settore dell'Assistenza, con un decremento del 6,8% rispetto al 2009. Seguono i 3.216 nel settore Educazione e Cultura (22,9%), i 2.422 del Patrimonio (17,2%), i 526 dell'Ambiente (3,7%) e i 267 della Protezione civile (1,9%). Confrontando il numero complessivo di volontari avviati nel 2010 al Servizio Civile, si legge nella Relazione parlamentare, il dato certamente più significativo è rappresentato dalla quota dei volontari (84,2%) inseriti nel settore Ambiente nel Mezzogiorno d'Italia, che rappresentano quasi la totalità dei volontari avviati in Italia in questo ambito.

Insomma, il volontariato in Italia continua ad essere, fra mille carenze economiche e legislative, una risorsa difficile da estirpare. È l'humus su cui poggia l'avvenire della nostra società, una sfida costante per le istituzioni, perchè incarna e testimonia con i fatti il valore irrinunciabile della solidarietà, specialmente in questa epoca di frustrazioni collettive e di gravi miserie umane. Senza la cultura del dono, prendono il sopravvento il declino e la disumanizzazione. E come l'attuale bufera finanziaria dimostra, la sola economia di mercato non basta più a preservare la rete delle relazioni, nel piccolo come su larga scala, dal baratro nel quale stiamo sprofondando. Bisogna dunque consentire a tutte le strutture della cosiddetta "cittadinanza attiva" di assumere stabilmente protagonismo, perchè senza uno "zoccolo duro" di valori nessuna comunità è mai riuscita a mantenersi viva.

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