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Gap politico, generazionale e di genere

Diventa mobiliante. Questa l’illusione del Polifonico Democratico.

Ma come si può aderire ad un Polifonico dove ciascuno canta per conto proprio e addirittura stona? (con tutto il rispetto dovuto a coloro che continuano, per passione e idealità, a crederci).

Certo: meglio la polifonia rispetto alla monofonia/monotonia dei berluscloni.

Il Polifonico Democratico dovrebbe, però, dar prova di sé dimostrando quel pluralismo (come valore aggiungo) degno d’un partito a vocazione maggioritaria.

Anche il PDL, del sempiterno e immarcescibile B (beato chi ci crede), costretto a mantenere viva l’agiografia del Premier, con tutto il corollario, a scopo celebrativo, delle fotografie che non invecchiano, dovrebbe cominciare ad immaginare qualcosa di diverso (al di là della gigantografia del suo leader). Sinora tutte le sollecitazioni al dibattito e al confronto sono state puntualmente intese come vulnus alla leadership. Reazione del tutto ovvia e naturale per un partito nato e gestito come proprietà privata.

Viviamo in un’Italia, a presunta vocazione maggioritaria e bipolarista, che persevera nella logica e nella propensione proporzionalista.

In un sistema maggioritario, autentico e di senso compiuto, la pluralità di voci e di presenze avrebbero dovuto portare all’arricchimento, all’evoluzione del pensiero e dell’azione, alla conformità fra rassemblement e società, alla capacità di rispondere in maniera adeguata alle sfide dell’epoca in cui si vive.

La politica italiana, spesso, resta fuori dal suo tempo e in contrasto con esso.

L’errore strategico, comune a tutti, sta nel credere di poter catalizzare ulteriori consensi, senza un umile avvicinamento alla società civile.

Il maggioritario all’italiana ha in verità circoscritto la capacità di rappresentanza. Quando andiamo a votare, sovente, ci orientiamo sul meno distante. Il che non coincide col più vicino a noi.

Sarebbe tempo che i notabili smettessero di sproloquiare su tutto, cogliessero – ogni tanto - l’opportunità di stare in silenzio e, nel contempo, riuscissero a cogliere le reali istanze e le necessità del paese reale.

Nel frattempo e nell’attesa, les élites dei gruppi dirigenti continuano a restare ingessate, incapaci di intuire questa urgenza.

L’assoluta assenza di percezione della realtà, da parte d’un mondo politico totalmente avulso dal contesto sociale, è causa di questo gap politico.

Il gap politico sconfina, anche e inevitabilmente, nel gap (quasi una vera e propria frattura) intergenerazionale e nel divario di rappresentanza di “genere” (discriminazione sessista).

Nel prospetto che segue la rappresentanza per fasce d’età alla Camera dei Deputati.

Camera dei Deputati

Fasce di età

Rappresentanti

%

25-29

4

0,63

30-39

57

9,05

40-49

168

26,67

50-59

256

40,63

60 e oltre

145

23,02

TOTALE

630

100,00

 

Dei 630: 497 sono uomini (78,89%), 133 donne (21,11%).

Minime tracce della singolarità femminile (sui cui interessi e sulla cui pelle domina incontrastata l’impronta maschile), ridotta la presenza giovanile.

La persistente gerontocrazia italiana, d’altronde, dimostra questo incessante e consolidato menefreghismo in tutti gli ambiti. Buona parte della classe politica manifesta interesse per l’oggi (il loro), appare chiaro che del doman non v’è certezza.

Se a questo aggiungiamo il tasso di disoccupazione giovanile (altro che bamboccioni!), i baronati in ogni ambito, le pari opportunità negate, il diffuso mancato ricambio generazionale, il precariato a oltranza, la “meritocrazia” familistica, il quadro desolante è pressoché completo.

Qualcosa comincia, forse, a muoversi. O perlomeno così pare.

A sinistra, se vogliamo continuare ad utilizzare lo spartiacque, Nichi Vendola ha messo in piedi la sua Fabbrica, i suoi Stati Generali, accompagnati dai “cahiers de doléances”. E, come tutti sappiamo, c’è molto di cui dolersi in questi anni. Soprattutto nei confronti di un oggettivo immobilismo. Bisognerà verificare la sua capacità aggregante.

Veltroni l’africano ha lanciato la sua bordata: utile per un confronto tra diverse opzioni, assai dannosa per l’ennesima ipotesi di un “papa straniero”, continua negazione dell’esistenza stessa del PD e conferma della sua inconsistenza.

A destra tutta un’altra musica: la monotonia corale (degli asserviti e dei serventi), solo temporaneamente interrotta, si affida ancora e sempre a nonno Silvio, narratore autodiegetico.

Timidi segnali provengono dall’altra destra, di FLI e delle sue diramazioni Fare Futuro e Generazione Italia. Sin qui oscillanti tra comprensibile cautela e mancanza di coraggio nella consequenzialità tra il pensare e l’agire.

Sono - tutte queste - piccole intuizioni del desiderio di rinnovamento e di (ri)costituente democratici? Oppure dovremo catalogarle come sfrenata voglia d’un ritorno al proporzionalismo?

Si vedrà.

Il consiglio resta il solito: aprite le porte, fate entrare aria nuova, sollecitate la partecipazione contro il disinteresse, lo stereotipo e il pensiero totalizzante.

Andate di nuovo tra la gente, uscite dalle roccaforti.

Organizzate Primarie itineranti: da Nord a Sud.

Cercate di capire lo stato di salute del vostro paese e il vivere delle persone comuni.

Date la possibilità a noi, cittadini prima di tutto e poi (anche) elettori, di scegliere i nostri delegati.

Dimostratevi meno cattedranti: prima di tutto ascoltate, poi parlate e fatevi carico d’un futuro che non sia solo il vostro.

 

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