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Freedom House, l’Italia e la semi-libertà di stampa

Freedom House, un’organizzazione indipendente che si occupa di valutare il livello di libertà civili in tutti i paesi del mondo, ha declassato l’Italia nella graduatoria della libertà di stampa. Da "stampa libera" a "stampa semi-libera". Una breve riflessione al riguardo.

Nel corso della puntata di Annozero dedicata a Indro Montanelli abbiamo assistito potuto assistere a un interessante dibattito sulla libertà della stampa in Italia. Contro le tesi di Marco Travaglio si è schierato Maurizio Belpietro, il quale pare convinto che nel nostro paese la libertà di stampa sia totale.

Credo che, per quanto concerne la libertà dell’informazione nel suo insieme, la questione andrebbe analizzata sotto due prospettive. La prima, e la più scontata, è la non ingerenza diretta di poteri terzi nel lavoro dei giornalisti.
 
La seconda è invece di carattere più sistemico: riguarda la capacità o meno di un sistema mediatico a valorizzare le voci di dissenso.
 
È questo un aspetto che si tende a sottovalutare e che, in Italia come nel resto del mondo, pesa più dell’ingerenza diretta, restando molto più difficile da individuare e combattere. A questo riguardo condivido pienamente la visione di Noam Chomsky, e di conseguenza non mi annovero nella schiera di quanti considerano personaggi come Fede, Belpietro o Vespa dei disonesti al soldo delle élites.
 
Semplicemente, se sono arrivati a dirigere giornali, riviste, telegiornali, se sono sbarcati in prima serata su Raiuno, è perché il loro pensiero coincide perfettamente con quello dei potenti. Tra tutti i giornalisti in circolazione, quelli che raggiungono posizioni di rilievo sono necessariamente quelli che meglio rappresentano gli interessi di chi comanda.
 
E, forse ingenuamente, io credo a Belpietro quando afferma di non ricevere pressioni per scrivere quel che scrive: se quelle pressioni fossero necessarie, lui non si troverebbe dove si trova.
 
Aveva ragione Montanelli dicendo di Berlusconi ciò che si potrebbe dire di qualunque sistema mediatico: quel che bisogna temere non sono le punizioni, ma i premi. E il premio, per chi si ritrova a pensarla come il padrone, è una poltrona facoltosa.
 
È però con sommo dispiacere che mi sono ritrovato a dover riconsiderare (o quantomeno a smussare) questa mia visione: Freedom House, un’organizzazione indipendente che si occupa di valutare il livello di libertà civili in tutti i paesi del mondo, ha declassato l’Italia nella graduatoria della libertà di stampa. Siamo ufficialmente l’unico paese europeo con una stampa non “libera”, ma “semi-libera”. Qualche posto sotto di noi, la Bulgaria, Timor Est e il Montenegro.

I motivi? 
 
“L’utilizzo sempre maggiore di tribunali e leggi anti-diffamazione al fine di limitare la libertà di parola, l’aumento di intimidazioni fisiche ed extragiudiziarie da parte di crimine organizzato e gruppi di estrema destra, e preoccupazioni riguardo alla proprietà dei media e all’influenza su di essi. Il ritorno del magnate dei media Silvio Berlusconi al governo ha risvegliato i timori riguardo alla concentrazione di organi privati e statali sotto un singolo leader”.
 
In Italia non ci troviamo quindi semplicemente con un sistema che valorizza e premia soltanto l’omologazione, né le pressioni esterne sui giornalisti si limitano a una telefonata del politicante di turno: è addirittura di intimidazioni fisiche che parliamo, di violenze mafiose e politiche.
 
I media tradizionali, quasi a voler sfatare questa accusa di Freedom House, hanno dato risalto alla notizia. Ma quel che ci vorrebbe in questo momento per darmi l’impressione di vivere in un paese veramente libero sono, come si suol dire, fatti e non parole.
 
Tanto per fare un esempio, ci vorrebbe la notizia che l’ODG siciliano si schiererà dalla parte di Pino Maniaci invece che da quella dei mafiosi.

Oppure la notizia che qualche partito di “opposizione” ha impugnato il dossier di Freedom House in parlamento, dimostrando una volta per tutte che quello del conflitto di interessi non è un problema inventato dagli antiberlusconiani italiani, bensì un’anomalia riconosciuta a livello internazionale e da fonte imparziale.
 
È davvero chiedere troppo?
 

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