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Evviva la vittoria al ribasso del PD, tra il Grillo azzoppato, il PDL sfatto e il centro sparito

La tornata elettorale appena conclusasi può indurre il commentatore a ripetere, col rischio di sfiorare il plagio, analisi di illustri commentatori, giornalisti, politologi e addetti ai lavori i quali si sono prodigati in un infinito dispendio di parole dette e scritte tra le quali il lettore troverà di certo quel che cerca.

Prendiamo per buone (o meno), dunque, le analisi sul voto lette e sentite in questi giorni post-elettorali per soffermarci, invece, sui comportamenti e le dichiarazioni dei diretti interessati.
 
Epifani sorride, moderatamente soddisfatto, ma senza enfasi, conscio che il “piglio tutto” del PD derivi, oltre che dalla maggior credibilità dei candidati in campo, dal disfacimento del fronte avverso punito in maniera clamorosa dall’astensione massiccia degli sfiduciati elettori. Neppure il Comune di Siena se l’è sentita di cambiare, nonostante lo scandalo MPS o, forse, perché ben conscio, l’elettore, che i timbri sullo scandalo non sono attribuibili al solo PD. E poi, è una gran soddisfazione riprendersi Brescia, espugnare la ex leghista Treviso e via dicendo. Ma il PD universalmente “vincente” non è altrettanto convincente. Insomma, si aggiudica tutto perché perde meno degli altri. Di argomenti per il prossimo congresso se ne trovano a iosa.
 
Veniamo ora a Grillo il quale, commentando il risultato disastroso del M5S, da comico diviene patetico tanto da riproporre alla memoria quel pugile suonato il quale, finito l’incontro in cui era andato ko a ogni round, rispondeva così alle domande: “Me ne hanno date, ma ne ho anche prese!”. Eccome se ne ha prese lui e il suo, tutto e solo suo, Movimento. L’uomo si aggrappa come può, dunque, alla presa di due piccoli comuni, facendone oggetto di propaganda che nemmeno il Duce alla conquista d’Abissinia… Ora, un comico è tale quando fa ridere e non rendendosi lui ridicolo; in tale ultima circostanza diviene, come detto, solamente patetico. Quanto successo gli sarà di lezione nel comprendere che la politica non è solo spettacolo? C’è da dubitarne. Staremo a vedere. Intanto si può consigliare al sempre meno comico Grillo di modificare come segue il logo del Movimento riproponendolo nel romanesco “Mo’ vi mento”, a sentire i suoi commenti sparati a vanvera.
 
Sul fronte della destra l’imbarazzo è palpabile: cadono come frutti avvizziti, uno dopo l’altro, gli Alemanno e i Gentilini, seguiti da una lista infinita, per giunta con infime percentuali di consenso, esplicite quanto eloquenti. Berlusconi, guarda caso, non commenta, affidando ai suoi portavoce la messa in onda della solita solfa: “Se manco io, non ci si stupisca del risultato”. Come dire che il PDL è composto da una massa di mediocri, incapaci d’intendere e di volere. Avrà ragione? A sentire il sottosegretario del Governo Letta, tale Michaela (con la acca) Biancofiore sostenere che in fin dei conti il PDL ha vinto a Pergole, c’è da concordare con Berlusconi.
 
La Lega Nord prova a competere al ribasso con Grillo. Perde dappertutto riducendo i propri consensi al lumicino. Ecco allora il vecchio Bossi, più scassato del solito, non solo nel fisico, minacciare la secessione al segretario Maroni, colpevole di non essersi dimesso dopo la conquista della Regione Lombardia, lasciandogli così mano libera nel riproporre il tristemente famoso cerchio magico alla guida del partito. Insomma, il simbolo leghista del “carroccio” rischia sempre più di trasformarsi in quel carro guidato da “monatti”, carico di cadaveri appestati di manzoniana memoria, diretto verso le fosse pronte a ospitare i dirigenti e gli amministratori del partito, sempre più radi.
 
Che dire del centro Montian-Forneriano? Le “botte” nei loro confronti continuano a pervenire non solo sul fronte elettorale, ma persino dai vari enti e istituti nazionali e internazionali che ancora analizzano i risultati miserrimi di quel Governo. Chi volesse ritrovare il “centro” Casinian-Montiano è pregato di far appello alla trasmissione TV “Chi l’ha visto?”. Buona fortuna.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.216) 13 giugno 2013 19:55

    Ultimo appello >

    Opinionisti e politologi di varia tendenza fanno a gara nell’interpretare gli esiti delle elezioni amministrative. Si va dalla qualità dei candidati, alla validità delle proposte, all’offerta di cambiamento, ecc..
    Due fatti non sono discutibili.
    La lievitazione dell’astensionismo e la regressione dei consensi targati M5S.

    In sostanza.
    A fronte di un paese che vieppiù impoverisce è sempre più corposa la quota di elettorato che non è più disposta ad “ascoltare” e si colloca al di fuori dei “circuiti” di confronto democratico. Non bastano buoni propositi ed annunci di soluzione.
    C’è solo la domanda di “risultati” tangibili.
    Ovvero.

    Per riaprire un “dialogo” occorre, prima, che gli indicatori economici non registrino ulteriori valori negativi. A cominciare dalla capacità di spesa di milioni di famiglie in difficoltà.
    Sarebbe la prima “reale” dimostrazione che la caduta è finita e che si può invertire la marcia.

    Ormai il nodo centrale non è la formula di governo, ma come ridurre “al minimo” il tempo utile per conseguire un primo “risultato” di sostanza.
    Questo è l’unico modo per ripristinare il livello di “ascolto” della maggioranza del paese. Non solo.
    E’ anche condizione preliminare ad ogni progetto di riforma istituzionale.
    Gestire il dissenso-fermento sociale non è performance da teatrino di Pantomima e Rimpiattino

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